_________________________________________ Settembre 2005 _____

IMPORTANTE AVVERTENZA

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Prima di procedere ai documenti raccolti nella presente sezione si vogliono esprimere alcune avvertenze.

In questa sezione è presentato l'inevitabile sviluppo dell'opera «Il Dio laico: caos e libertà»: in essa verranno presentati gli elementi formali di quella che si potrebbe definire – in ultima analisi – una vera e propria «metafisica evoluzionistico scientifica».

A tal pro si vuol precisare un aspetto fondamentale: tutti i lavori pubblicati nel sito vertono su un'inedita ipotesi interpretativa fondata e sviluppata nell'ambito di una posizione rigidamente «agnostica» tramite un approccio epistemologico scientifico totalmente collocato in una cornice metafisica laica.

Tale analisi, che prende le mosse da tutta una serie di tematiche proprie della concezione evoluzionistico scientifica moderna – specialmente nei suoi riferimenti di ordine biologico sociologico e cosmologico – è stata condotta in modo sostanzialmente indipendente dai testi biblici, essendo fondata su riscontri e valutazioni epistemologiche estranee da tale contesto. Questa stessa disposizione è stata mantenuta «anche e soprattutto» nel proporre un'esegesi alternativa di Genesi 1,3. Gli strumenti conoscitivi e le modalità di analisi utilizzate in questa fase sono proprie dell'ortodosso metodo scientifico, in particolare delle varie discipline scientifiche richiamate nel corso del lavoro. Quest'attenzione è posta a garanzia di un'analisi sempre vertente su evidenti riferimenti scientifici, in grado di collocare la presente interpretazione nell'ambito mondano più concreto, rifuggendo ogni riferimento a qualsivoglia contenuto fideistico.

Malgrado questo, le particolari finalità dell'opera originaria non potranno ritenersi compiute se non ci si accingesse, o – se si vuole – arrischiasse, a produrre quel che, ci si augura, potrà rappresentare lo strumento d'eccellenza da impiegare contro certi oscurantismi ideologici.
Per giungere a questo fine è necessario definire formalmente, ex novo – ma, sia chiaro, solo per fini strumentali – un'inedita «metafisica evoluzionistica». Questa finalità implica un deciso slittamento di livello, un'estrapolazione speculativa che può essere facilmente confusa con una sorta di fuga irrazionale nel metafisico o, ancor più, un venir meno di quella prassi agnostica, di quell'oggettività e rigore metodologico che si è cercato di mantenere sinora: un rischio di cui si ha piena consapevolezza.

Proprio al fine di evitare al massimo questi rischi si vuol definire preventivamente ed esplicitamente le posizioni epistemologiche e le prospettive ultime da cui il presente intento prende le mosse – ed a cui è diretto.

In estrema sintesi, la successiva analisi, condotta – come accennato – da una posizione rigorosamente agnostica, è così formalizzabile dal punto di vista logico filosofico:

1) Collocazione metafisico filosofica: si ammette l'esistenza di un ente reale, realtà fisica naturale in cui esistiamo come enti biologici coscienti. Si adotta dunque una metafisica «realista».

2)  Ipotesi inerenti l'origine dell'ente reale: le ipotesi prese in considerazione sono, ovviamente, le due posizioni metafisiche ribadite nella secolare discussione filosofica:

a)   Esistenza di un unico ente, reale, fisico, autonomo: la realtà fisica eterna, sostanzialmente incorruttibile (Unico Ente Assoluto).

b)  Esistenza di due enti: un ente reale, fisico, non autonomo, (Ente Creato), realtà generata da un ente eterno, increato, indicato con il termine di «Creatore»/«Dio» (Ente Assoluto), posto quale causa causarum dell'ente creato.

La posizione agnostica afferma la perfetta impossibilità logico epistemologica di addivenire ad una qualche conoscenza capace di dirimere la questione. Essa soprassiede dunque da qualsiasi asserto in relazione ai suddetti punti – facendo epoché – rifuggendo ogni velleità di poter dimostrare l'una o l'altra delle due ipotesi in questione. La discussione procede allora su di un piano diverso, meno ambizioso, ma forse ancor più praticabile ed importante nella definizione dei profili metafisici «solitamente intesi» delle due precedenti ipotesi.

L'ipotesi 2.a) di cui sopra, che esprime l'ipotesi atea, non necessita di ulteriori precisazioni. Non presenta in sé intrinseche differenziazioni tali da esigere analisi e distinguo di sorta pertinenti per i fini preposti.

Diverso è il caso della posizione 2.b), che esprime l'ipotesi teistica, la quale risulta, in realtà, maggiormente sfaccettata e complessa. Nell'ambito di questa opzione è collocato tutto il precedente lavoro di analisi con cui si è definita la distinzione tra religioni e teoetotomie.

Questa netta classificazione è filosoficamente importante poiché permette una valutazione inedita delle ipotesi 2.a) e 2.b), rimuovendo le teoetotomie dal loro essere considerate riferimento implicito e canonico dell'opzione 2.b).
In altri termini: l'agnostico è ora in grado di valutare la questione filosofica di fondo contando sì sui due versanti contrapposti, 2.a) e 2.b), ma prendendo consapevolezza che il campo del teismo, opzione 2.b), non è più rappresentato – come è avvenuto per millenni – da un unico modello del sacro, capace di monopolizzare tale opzione metafisica, quanto da due modelli tra di loro antitetici, in feroce competizione filosofico epistemologica.

Questo aspetto è del tutto inedito: sinora ogni tentativo di valutare filosoficamente le due opzioni è stato condotto alludendo, quasi senza eccezione, all'insieme di istanze, dinamiche e fattori propri delle teoetotomie, facendo scontato riferimento alle modalità filosofiche tipiche di questo particolare modello metafisico.

Nel precedente lavoro si è posto come esempio di teoetotomie le odierne confessioni occidentali: cattolicesimo, protestantesimo ed altri esempi etno antropologici.
Si è analogamente riportata tutta una serie di credenze quali testimonianze etno antropologiche della classe delle religioni. Questi riscontri hanno contribuito in modo insostituibile a definire l'inedita interpretazione del Gn 1-3 già presentata, quanto mai efficace a risolvere tutta una serie di pesanti accezioni ed evidenze poste dalla scienza moderna rispetto alle tradizioni esegetiche ortodosse.

A questo punto si cercherà di ottenere un risultato ulteriore, che ha come obiettivo proprio il prototipo delle teoetotomie occidentali: il cattolicesimo. L'intento a cui è dedicata la seguente sezione è di focalizzare tutto il corpus analitico, tutte le risultanze interpretative sinora maturate in una critica ancor più profonda dei fondamenti teologici di questa teoetotomia – intesa come prototipo di tutte le confessioni di ceppo biblico.

Perché questa ulteriore finalità? E perché proprio adesso, al termine di una ricerca condotta in modalità totalmente distinte da un confronto teologico di tal fatta?

Il perché è presto detto: si vuol mostrare, anche in questo particolare contesto, come un'alternativa non teoetotomistica, religiosa possa essere contrapposta alla secolare e tradizionale esegesi biblica, base della teoetotomia cattolica. Non è una novità il fatto che sui testi biblici siano state edificate più dottrine simili: Cattolicesimo, Chiesa Ortodossa, Protestantesimo, Calvinismo etc. Ma tutte queste confessioni sono – indistintamente – delle perfette "teoetotomie" secondo i canoni classificativi sinora sviluppati del sacro: tutte infatti condividono un comune modello di fondo, al di là di singoli aspetti dottrinali, in modo tale che agli occhi di ciascuno, sia esso ateo che agnostico o credente, il paradigma teoetotomistico rappresenti a tutti gli effetti l'autentico «canone esegetico» dei testi biblici. Il fine – dichiarato – è di condurre ad un confronto intestino contro questi sistemi, proponendo una interpretazione alternativa «anche» in questo frangente.

Ovviamente, l'obbiettivo non è quello di «definire» una nuova fede, magari antitetica alle precedenti ma sempre e comunque da intendere quale «ulteriore» fede. La finalità è un'altra, come si è detto puramente strumentale: si vuol dimostrare, seppur solo su un piano squisitamente logico filosofico, come l'infondatezza delle teoetotomie di ceppo biblico non si esprima «solo ed esclusivamente» riguardo a fondamenti ed evidenze di ordine generale, quanto addirittura in relazione alla loro stessa base testuale, che finalmente potrà mostrare di saper veicolare contenuti radicalmente opposti a quanto inteso sinora.

Sia chiaro. Non si ha come finalità la definizione circostanziata di un quadro interpretativo capace di «affermarsi» da uno status «superiore» a quello eminentemente metafisico – dunque non si equivica minamamente sul suo essere, sempre e comunque, espressione speculativa di emerite congetture, per lo più assolutamente ardite: ma solo di concedere allo stesso, seppur in modo minimale e strumentale, contenuti «teologicamente necessari e sufficienti» per assumere il ruolo di alternativa teologica delle teoetotomie.

«Ogni teologia», nessuna esclusa, è infatti condannata ad essere vittima inerme delle più fondate critiche filosofiche procedenti dal mondo laico, se ne è perfettamente consci – e ne abbiamo, da bravi agnostici, di nostre, e terribilmente caustiche, nelle tasche, procedenti da un ligio e corretto attenersi a considerazioni di ordine scientifico epistemologico. Nessuna teologia potrà mai superare questo terrificante ed oggettivo fuoco di sbarramento, neanche una congettura teologica... che voglia mediare elementi dal paradigma evoluzionistico quale quella che si va presentando.

Ma non è da questo ambito che dobbiamo parare i colpi, poiché non è nostro intento proporre ulteriori metafisiche teologiche da «opporre» al mondo laico: ma di presentare un contributo ulteriore da schierare al suo fianco.

Qui si vuol solo dimostrare come sia possibile un intervento «terapeutico» esteso e ficcante, ma «intestino, interno» al Teismo, contro le teoetotomie. I concetti alla base del Sacro tout court, formulati fantasticamente dall'uomo, seppur con inferenze rivelatesi infondate ad un esame oggettivo della realtà nel corso della sua storia, vertevano su due fondamentali concetti metafisici: in ordine cronologico e genetico si ebbe all'inizio lo sviluppo dell'idea di una qualche modalità di accesso ad una qualche dimensione d'oltretomba e – successivamente – si passò a contemplare l'esistenza di un ente creatore. Abbiamo diffusamente trattato dell'origine e delle valenze tipiche di questi contenuti nelle altre sezioni del sito.

Questi stessi concetti sono stati successivamente sconvolti, piegati, forzati e laidamente manipolati in cornici orrende, le teoetotomie, finalizzate ad ottenere potere socio politico, a piegare, tramite dell'odioso concetto di colpa, pena, subordinazione etica, le coscienze di milioni e milioni di uomini con un'intensità ed un'efferatezza che nessun movimento laico ha mai neanche minimamente sognato di poter realizzare, generando orrori e prostrazione in tutta la storia umana. Ebbene: «questi» orrori teoetotomistici sono il nostro dichiarato avversario.

Non si vuol qui perorare flosoficamente le due suddette «utopie», non si è così sprovveduti; ma solo far sì questa pur folle – ma ammaliante – speranza originaria dell'uomo non possa più esser gestita e ghermita dal laido e squallido condizionamento operato nei sistemi teoetotomistici. Non è dunque il mondo laico l'avversario dichiarato del paradigma religioso; anzi è un prezioso alleato, da cui si mediano anzi – come si vedrà nelle prossime pagine – contributi insostituibili!

Qualsiasi critica laica, considerata pienamente legittima nei suoi fondamenti, e di cui si conosce più che a sufficienza la capacità di intaccare «anche» una teologia religiosa non è affatto un problema... dato che nessun teoetotomista potrà mai usare certi strumenti contro il paradigma religioso senza andare incontro ad un vero e proprio «harakiri» – soprattutto in considerazione del fatto che gli stessi strumenti che potranno... avanzare perplessità su una teologia religiosa, in proporzione... sarebbero in grado di devastare irrimediabilmente qualsiasi, sedicente istanza teoetotomistica. Ed anche questo, stante i peculiari fini «terapeutici» che ci si è preposti, ci aggrada...

Qui, lo si ripete, non si ha dunque in animo di risolvere il quesito di fondo teismo/ateismo. Si fa agnosticamente epoché! L'intento è solo di confutare, sul loro stesso campo, le concezioni teoetotomistiche... «anche» nel quadro dell'esegesi biblico evangelica. Ecco il senso di indicare questo intento come una «simulazione esegetica».

Il fine è quello, umile, agnostico ed epistemologicamente condiviso, di valutare i contenuti di «meri» asserti umani, nella fattispecie di tipo metafisico teologico, non di vedere chi riesce ad urlare con più voce una sedicente... «verità di fede». Una contraddizione in termini quest'ultima.

L'importanza di questo originale obiettivo si coglie riflettendo su un altro aspetto: su come proprio questo particolare canone esegetico teoetotomistico abbia costituito, nelle sue particolari manifestazioni, il riferimento elitario di ogni critica addotta dal mondo laico, dall'ateismo e dall'agnosticismo. Questa assuefazione culturale è talmente profonda che tutta la critica laica del teismo è stata sostanzialmente rivolta ai particolari caratteri di questo modello del sacro. Una sterminata letteratura oramai secolare sta a dimostrare questo aspetto.

Ogni autore che abbia sottoposto a generica critica l'universo del teismo, magari cercando di porre obiezioni in relazione agli antropomorfismi, alle contingenti condizioni di ignoranza, superstizione, irrazionalità socio culturali, ad istanze e relazioni etologiche tra culture umane e senso del sacro, ha ovviamente potuto attingere da una letteratura antropologico culturale ampissima. E questo è quel che è effettivamente avvenuto. Ma quando la discussione si rivolge non ad una critica contingente di questo o quel sistema di credenze, ma ai fondamenti teologico filosofici del teismo tout court, lo scontato modello di riferimento è sempre e comunque rappresentato dal «modello teoetotomistico di fondamento biblico» inteso quasi come punta di diamante del Teismo tout court. E questa è una grave distorsione filosofica del tema in sé.

Ad esempio, le obiezioni continuamente reiterate contro l'evoluzionismo dai creazionisti americani, e non meno le obiezioni teologiche dell'enciclica H. Generis in merito all'origine dell'uomo, i problemi etici relativi all'adozione delle nuove biotecnologie nel campo della fecondazione assistita, a temi sociali come la profilassi sessuale, all'uso degli anticoncezionali contro l'AIDS o nell'ambito del controllo delle nascite, all'eutanasia etc., sono sempre e comunque formulate ed applicate in ossequio a tale modello ed ai principi che da esso derivano: senso distorto del divino, soteriologia fondata su una antropologia dell'uomo intrisa di degrado ontologico, autoritarismo patriarcale sessuo repressivo, subordinazione etica dell'individuo etc. Queste evidenze costituiscono la testimonianza più immediata, da qualsiasi parte si voglia inquadrare la questione, a sostegno del fatto che l'ideale teoetotomistico rappresenti nel senso comune il prototipo canonico ed universale del Sacro tout court, la sua chiave di interpretazione più raffinata ed elegante proprio per il suo rappresentare il canone interpretativo dei testi biblici.

Ma il Teismo, il Sacro tout court, non coincide affatto – oramai è palesemente dimostrato – con il paradigma teoetotomistico. Sacro tout court e paradigma teoetotomistico non sono la «stessa cosa» né è possibile usarli indistintamente, come sinonimi l'uno dell'altro. Il Sacro tout court è qualcosa che trascende radicalmente le teoetotomie, che traborda estesamente oltre i loro ambiti, e dalle quali non è affatto rappresentato in modo esaustivo – essendo anzi irrimediabilmente degradato in esse. Ed ancor più, il Sacro tout court, la teologia tout court, – intesa dunque nella sua accezione puramente filosofica e dunque non dottrinale – non coincidono minimamente con il «modello teoetotomistico a fondamento biblico» sinora professato da queste confessioni di fede.

Solo un'assuefazione infelice e contingente ha fatto cadere l'uomo medio – ma non meno il filosofo, gli addetti ai lavori – in questa clamorosa svista. Ebbene, si dimostrerà l'infondatezza anche di questo luogo comune, purtroppo profondamente radicato nel settore degli addetti ai lavori, di questa convinzione assolutamente fossilizzata in tutta la cultura occidentale, in tutta la sua filosofia, giust'appunto intesa quest'ultima – e non solamente nel passato – come ancilla fídei.

Un motivo dunque decisivo per spingerci ad addentrarci in quest'intento. C'è, comunque, da considerare anche un altro aspetto, altrettanto decisivo: la teoetotomia cattolica si «fa forte» del fatto che, anche volendo soppesare filosoficamente ombre e luci di teoetotomie e religioni, il paradigma teoetotomistico dalle stesse sostenuto godrebbe di una condizione di intangibile monopolio ed unicità nel suo porsi come «interpretazione canonica ed efficace» di ciò che è unanimemente inteso quale più elevata, raffinata e pura espressione del Sacro, del trascendente dell'intera storia dell'uomo: i testi biblici. Una tradizione teologica a cui si rivolgono, condizionati da secoli di oscurantismo ideologico, milioni e milioni di persone.

Ogni presuntuoso filosofeggiare religioso, per quanto dotto, si arenerebbe dunque irrimediabilmente davanti al potere di tale evidente testimonianza di superiorità teoetotomistica. Filosoficamente questo potrebbe anche risultare indifferente: ma politicamente, socialmente, culturalmente e psicologicamente, ovvero «praticamente», ciò non lo è affatto. L'universale presa psico culturale che il Sacro ha sull'uomo è infatti da tenere in debita considerazione, e ciò, praticamente, gioca nettamente a favore del paradigma teoetotomistico. Storia ed antropologia dimostrano, purtroppo, questo dato di fatto.

La strategia che si applicherà qui è dunque diversa. Radicalmente diversa.

Quel che non si può avversare, combattere, negare, distruggere dall'«esterno»… lo si può infatti… facilmente neutralizzare, confutare dall'«interno».

Una gemma di saggezza cinese… «Conoscere il nemico… per colpirlo al cuore».

Ecco delineata la strategia da seguire: condurre una critica «interna», «intestina», in modo da superare i limiti di un attacco filosofico «esterno» al teismo, veemente quando si vuole ma viziato del fatto che anche il polo ateistico rappresenta una mera «posizione di fede», epistemologicamente non sostenibile – in linea di massima. Ecco dunque delinearsi la superiorità di un approccio «interno ed agnostico», si noti bene agnostico, il quale – scevro com'è da ogni subordinazione intellettuale ad autorità dottrinale, e principalmente dall'alto del gap dell'intrinseca solidità epistemologica goduta dalla posizione agnostica su ogni altra, teistica o atea che sia –, potrà condurre una critica diretta, decisa, filosoficamente irreprensibile del paradigma teoetotomistico, così da porne in totale evidenza l'infondatezza. Un'infondatezza che si estrinseca «anche e soprattutto» nel mostrare come sia possibile una ben diversa esegesi dell'identica base testuale biblica.
Si vuol far notare, proprio a tal pro, come si sia fatto ricorso unicamente ai testi ammessi come «autentici» dal Magistero cattolico, con tanto d'«Imprimatur», pur nella consapevolezza che, da un punto di vista puramente storico, letterario ed interpretativo non subordinato a fattori dottrinali, sarebbe stato quanto meno ovvio far riferimento ai numerosi documenti alternativi ai quattro Vangeli canonici – in particoalre i Vangeli apocrifi, i Vangeli Gnostici ed i manoscritti scoperti nelle grotte di Qunram nel 1947 etc. – così come fatto da importanti correnti di pensiero esegetico alternativo. Documenti questi che costituiscono una fonte oggettiva di controversie pertinenti in merito all'esatta interpretazione ed autenticità dei fatti a cui si riferirebbe tutta questa tradizione letteraria medio orientale, che sono stati «volutamente ignorati» vista la particolare finalità del presente intento.1

Il presente intento è duplice e ben definito:

1) dimostrare la validità filosofico esegetica del paradigma religioso nel contesto del teismo tout court, ed ancor più...

2) dimostrare la capacità del paradigma religioso di condurre un'esegesi biblica che prenda le mosse da Gn 1-3 e giunga sino al Nuovo Testamento confutando – con evidenze e riscontri di un'estensione e risalto inusitati – ogni presunzione di esclusività del classico paradigma interpretativo teoetotomistico riguardo «lo stesso, identico canone» – e non di una base testuale diversa. Una meta più mirata e limitata, ma altrettanto significativa.

In questo modo la sostituzione concettuale e filosofica dei termini formali della questione potrà essere completamente efficace: totale. Il primo risultato può essere evidentemente apprezzato dal filosofo e dal teologo – ovviamente, non di parte. Il secondo invece ha risvolti più pratici, costituendo un'ulteriore evidenza di una specifica applicazione socio-culturale di tali istanze filosofiche.

Si ha la convinzione che con questo contributo l'ateo e l'agnostico – costoro innanzi tutto, visto che la comune posizione dei credenti non è inquadrabile in termini di oggettività e fondatezza filosofica, essendo questi comunque subordinati a contesti fideistico confessionali – potranno finalmente affrontare il tema in oggetto nell'espressione filosofica più pura, rigorosa ed oggettiva.

Ateismo da un lato, e teismo – religioso – dall'altro. Ecco il quadro filosofico da tenere in considerazione nel momento che ci si accinga a valutare le corrette espressioni di queste distinte metafisiche. In tale quadro le teoetotomie non sono più neanche prese in considerazione, declassate come sono filosoficamente a quel che in realtà sono sempre state: «un vano culto, anacronistico ed infondato,… meri precetti di uomini» – parafrasando gli stessi Vangeli.

Il quadro che si vuol proporre è far sì che un qualsiasi essere cosciente, vuoi che abbracci l'opzione atea che quella teistica, possa trovarsi al cospetto di un'unica, identica prassi: l'esercizio della propria, responsabile indipendenza etica. Questo, ovviamente, è un'esperienza già alla portata all'ateo, all'agnostico non credente, i quali – pragmaticamente e filosoficamente – si trovano nella condizione di poter esprimere la propria indipendenza etica grazie al rinnegamento del polo teistico o dal non accogliere una qualche confessione di fede. Un risultato questo, oggi come oggi, totalmente precluso ad ogni credente.

Il quadro cambia radicalmente qualora si riesca a delineare uno scenario filosofico in cui il teismo non sia rappresentato da un paradigma teoetotomistico ma dall'opzione religiosa, la quale, si noti bene, è in toto coincidente con la prassi e i fondamenti laici che informano sia la posizione agnostica che – seppur su di un piano epistemologico minore – quella atea. L'ammettere l'esistenza o meno di un creatore diventa quindi «indifferente» dal punto di vista etico, nella prassi esistenziale. In entrambi i casi l'etica dell'individuo, la disposizione verso l'esistenza mondana è sostanzialmente coincidente: eticamente autonoma. Così facendo teocrazie e sistemi di fondamento teoetotomistico vengono privati del loro strumento di coercizione psico-sociale d'elezione, gli strumenti di condizionamento più o meno occulto delle coscienze irrimediabilmente disinnescati – con tutte le implicazioni del caso, sia a livello individuale che sociale.

Accettare o meno l'opzione teistica non condurrà più, ineluttabilmente, a dover accettare – di conseguenza – il modello teoetotomistico, in cui l'individuo è costretto a rinunciare all'esercizio della propria indipendenza etica. La professione di fede, atea o teistica che sia, diventa d'un tratto insignificante. E l' epoché, la sospensione di giudizio, il soprassedere agnostico all'accettazione delle due contrapposte ipotesi metafisiche – Dio/non Dio, questo è il dilemma… – non implicherà più alcun irrimediabile «stallo» etico od ulteriore quesito, dilemma esistenziale per nessuno.

Detto in altri termini: credere o meno in un Dio Creatore non è più così determinante e condizionante per quel che riguarda la prassi mondana, le scelte etiche personali. La questione resta eminentemente filosofica. Se si vogliono filosoficamente scandagliare i due opposti scenari, questo può essere allora fatto in modo epistemologicamente corretto in una prospettiva agnostica: ma ciò non ha implicazioni etiche dirette. Non è più necessario esprimere o meno una fede e di conseguenza attuare un'etica – di salvezza, nel caso teistico – o un'altra. E questo è valido, a livello filosofico, sia che si parli di un concetto «deistico», dunque puramente filosofico di Dio, sia che si parli del Dio dei Vangeli – colto finalmente in un quadro religioso.

Ecco come si può svuotare, disinnescare, neutralizzare in modo radicale ed esteso l'oppressione etica delle teoetotomie senza cadere in affermazioni infondate, restando su di una posizione perfettamente agnostica. Sotto il profilo pragmatico solo con un confronto così profondo e puntuale si potrà condurre, a livello sociale, un'opposizione efficace alle teoetotomie – qualunque esse siano, in particolare quelle di ceppo biblico. Ovvero solo quest'ulteriore risultato permetterà di superare le secche filosofiche davanti alle quali l'ateismo si è inevitabilmente arenato.

Per ottenere questo risultato occorre però «arrischiarsi» a definire un profilo metafisico alternativo. Solo mostrando la possibilità di questa alternativa si disporrà di una base teorica – e quando si parla di aspetti teorici in questo ambito ci si riferisce ad aspetti teologici – capace di porsi come tale. Quest'intento giungerà dunque a compimento solo sviluppando filosoficamente un'altra modalità interpretativa e mostrando come giungere ad un'interpretazione valida dei Vangeli – lo si ricorda, sempre e comunque mantenendosi su di una posizione rigorosamente «agnostica».

A questo punto occorre riportare qualche cenno su questa eventuale interpretazione alternativa. Tutta l'analisi sinora sviluppata si fonda sulle risultanze più attuali dell'indagine scientifica. In particolare risulta essenziale la concezione evoluzionistico indeterministica della scienza moderna, che si pone in totale contrapposizione con le concezioni tradizionali, eminentemente fissiste e deterministiche, le quali costituiscono giust'appunto il paradigma metafisico tipicamente espresso nelle comuni concezioni teoetotomistiche.
Il paradigma epistemologico scientifico moderno può dunque sfociare in un ambito metafisico inedito, il quale però deve essere in grado di esibire una decisa concordanza con i fondamenti del primo – specialmente nelle sue implicazioni bio-evolutive. Da tale metafisica può derivare infine un'eventuale teologia. Ma questa potrà essere solo una «teologia filo-evoluzionistica» – e questo carattere «filo-evoluzionistico» dovrà in un qualche modo esprimersi nella misura in cui si potrà applicare questo nuovo paradigma metafisico nell'esegesi dei Vangeli.

Bene: quali sono i tratti caratterizzanti di una tale inedita modalità esegetica? I punti notevoli sono i seguenti:

3)  Natura dell'universo fisico e natura umana: si accolgono dunque i fondamenti della teoria evoluzionistica e, in particolare, si tengono in evidenza i seguenti aspetti – e le relative implicazioni:

a)  Tutte le dinamiche naturali risultano intese come casualmente immanenti che concordano con quanto si assume progressivamente nell'analisi scientifica dei processi naturali, «ininterrottamente» dispiegatisi per tutta la storia dell'universo osservabile, senza alcuna soluzione di continuità.

b)  L'universo fisico si descrive quale infinita teoria di processi causali complessi, spontanei, a dinamiche evolutive non lineari – sensibili alle condizioni iniziali –, assolutamente non pre-determinabili a priori nelle singole manifestazioni e realizzazioni, di natura essenzialmente indeterministico evolutiva sia a livello fisico che biologico.

c)  L'essere umano non gode di origini ontologicamente distinte dalle altre forme di vita, derivando anch'esso da un processo evolutivo continuo e complesso, intrinsecamente imperscrutabile a priori, a cui bisogna far riferimento per definire i termini antropologici in cui cogliere la sua natura e le caratteristiche della coscienza umana «anche» in un'eventuale accezione metafisica – qualunque sia la sua collocazione (principio valido in entrambe le ipotesi 2.a) o 2.b).

d)  La specie umana non rappresenta il fine teleologico delle dinamiche naturali. Né è uno specifico ente biologico la cui emersione sia pre-determinabile dallo svolgersi dei naturali processi bio-evolutivi (sia a livello biologico che cosmologico). Nessuna teleologia specificatamente incentrata sulla specie umana è dunque proponibile.

e)  La realtà naturale è intesa in un quadro monistico, in cui l'ente creato non risulta essere oggetto di elementi e dinamiche sovrannaturali di alterazione/degrado ontologico della stessa o di sue parti, sia al presente che nel passato, rifuggendo ogni concetto metafisico di commistione tra istanze naturali e sovrannaturali di qualsiasi tipo.

f)  Non sono contemplati interventi divini di supervisione e indirizzamento forzato delle dinamiche evolutive, che procedono dunque assolutamente indisturbate secondo le loro caratteristiche naturali in ogni tempo e luogo.

g)  Ulteriori dettagli antropologici.
Le qualità biologiche e psico-intellettive dell' Homo sapiens sapiens (la sua auto-coscienza, la sua psiche, le sue modalità etologiche) si costituiscono in modo non dicotomico in un «continuum» lunghissimo, che si estende nelle più remote forme pre umane ed ad orizzonti cronologici antichissimi e risultano presenti, ancor oggi, in forma larvata o frammentarie in forme di vita non umane. L'uomo non appare sulla scena della vita da «un preciso momento» in poi: il raggiungimento di uno stadio «umano» è un fatto intrinsecamente non definibile e individuabile – sia a livello filogenetico che ontogenetico.
L'emersione della specie umana è da intendere nello stesso tempo quale mero fenomeno naturale bio-evolutivo e, ancor più, processo intrinsecamente non pre-determinabile a monte delle contingenti dinamiche bio-evolutive attuatesi sulla Terra in unione ad altre contingenti dinamiche cosmologico evolutive.

d)  L'«antropologia» scientifica moderna esclude per l'uomo l'applicazione di ogni «accezione ontologica monadica» tale da poter ricorrere al concetto di «anima/pneuma» così come si è avuto in tutte le confessioni conosciute – anche in considerazione del fatto di come non è possibile definire nell'ottica evoluzionistica quei caratteri di «origine separata» e «unicità ontologica» dell'essere umano rispetto alle altre forme di vita esatti da dottrine che affermano tale unicità umana al fine di contemplare solo per l'uomo l'infusione dell'«anima/pneuma». Questo deriva ovviamente dalla sua origine bio-evolutiva2 (punti 3.c) e 3.d) precedenti), ed in particolare dalle peculiarità psico-cognitive che stanno mostrando, grazie alle odierne neuroscienze, come l'essere umano non possa essere inteso quale «monade ontologica» rispetto alla realtà naturale.
L'essere umano è infatti da intendere come sistema biologico/cognitivo totalmente «aperto», che esprime ed assume dall'«esterno» decisive componenti della propria valenza umana. In questa accezione è dunque preclusa ogni possibilità teorica di fissare – se non per convenzione e/o come «indebita» reificazione, al più da intendere quale «finzione filosofico metafisica ideale» atta a risolvere circoscritte esigenze mondane – «limiti ontologici» tali da collocare da un lato l'ente «persona/anima» e dall'altro, dinnanzi alla stessa, «ad essa contrapposta», la «realtà esterna»: il «mondo là fuori».3
Ogni «dualismo» ontologico, ogni «animismo» dualistico di tal fatta è dunque decisamente rifuggito. Si noti come questo non sia un soverchio problema, non essendo tali valenze ed istanze «necessarie» in una metafisica teistica – specialmente in un modello religioso.

4)  Le valutazioni espresse nel punti 3.a-3.b) implicano decisamente il rifiuto di ogni tentativo di attribuire all'ente Creatore tutte quelle qualità che la teologia tradizionale, lo gnosticismo classico hanno speculativamente cercato di delineare in merito ai suoi eventuali intrinseci attributi sia in relazione al mondo. Tutti aspetti che risultano pesantemente condizionati da istanze e precetti teoetotomistici contingenti quanto improbabili.

a) In particolare si vuol sottileare, seppur per inciso, il risalto di un preciso aspetto esistenziale nella valutazione questi scenari. Ci si riferisce a quell'irriducibile malinconia di fondo, quella sostanziale insoddisfazione intellettuale ed interiore tristezza, amarezza che specialmente la moderna concezione scientifica sembra lasciarci in grembo.

Le risultanze dello studio scientifico delle dinamiche naturali si prestano inevitabilmente ad essere oggetto di pregnanti valutazioni metafisico esistenzialistiche, sovente contrastanti. Gli strumenti interpretativi della scienza ci mostrano un quadro veramente sconcertante della natura: da un lato, dinamiche stupefacenti ed intriganti, spesso geniali ai nostri occhi, sono capaci di aprirci le porte di mondi e concetti assolutamente inattesi, di sintesi mirabili quanto intriganti nella loro raffinatezza e semplicità, nella loro sfolgorante complessità ed eleganza, rispetto alla quale l'intelletto umano si esalta e resta ammaliato, affascinato e muto.
Nello stesso tempo la stessa natura lascia esterrefatti davanti a dinamiche violente ed efferate che, apparendo ai nostri occhi quale oceanica indifferenza della natura, sembrano stagliare un totale «non senso» nelle vicende di ogni specie vivente; un orizzonte remoto, incombente di indifferenza e noncuranza che rendono indecifrabile ed incomprensibile ogni dolore, ogni slancio, ogni sofferenza.
Come scrisse Jacques Monod: «L'uomo finalmente sa di essere solo in un universo immenso e indifferente... Non ha né destini né doveri prestabiliti4
L'uomo è ineluttabilmente immerso in un oceano violento, turbinoso, fatto di palese indifferenza, ed in tale indifferenza della natura deve cogliere, fino all'ultima goccia, l'essenza della sua contingente e... «polverosa» condizione esistenziale. Un sentimento che genera melanconia, stordisce ogni slancio, facendo incombere la vacuità di ogni nostra più interiore emozione, sentimento, pensiero, essendo ciascuno di noi irrimediabilmente condannato a svanire nel nulla raggelante di una dissoluzione cosmica irrimediabile.
Si può cogliere il senso di questa umile, coraggiosa presa di coscienza in un brano di Charles Darwin: «Non ho intenzione di scrivere in senso ateistico, ma riconosco che non posso vedere, così come altri le vedono e come anch'io desidererei vederle, le prove di un disegno e di una benevolenza divina verso di noi. Mi pare che nel mondo ci sia troppa sofferenza. Non posso persuadermi che un Dio benigno e onnipotente avrebbe creato intenzionalmente gli icneumonidi con la precisa intenzione che si nutrissero del corpo vivente di bruchi, o che avrebbe deciso che un gatto dovesse giocherellare col topo. Non credendo ciò non vedo la necessità di credere che l'occhio sia stato progettato espressamente. D'altra parte, considerando questo meraviglioso universo, e specialmente la natura dell'uomo, non mi soddisfa la conclusione che tutto è il risultato della forza bruta. Incline a considerare ogni cosa come il risultato di leggi intelligenti e a lasciare i particolari, buoni o cattivi, all'azione di ciò che possiamo chiamare caso.» - Darwin a Asa Gray, Down, 22 maggio 1860, Life and letters, vol. II, p. 105.5
Ad esso fa eco R. Dawkins: «L'universo che noi contempliamo ha esattamente le proprietà che ci aspetteremmo se, alla base, non vi fosse alcun progetto, alcuna finalità, se non vi fosse né il bene né il male, null'altro che crudele indifferenza. Come cantò il melanconico poeta inglese Alfred Wedward Housman:

Perché la Natura, la Natura
senza cuore e senza ragione
nulla sente e nulla sa.»6

Spesso si evoca questo dissacrante sentimento, questa percezione oceanica di insensatezza e «non senso» nell'indicare il teismo, nell'invocare un'esistenza consolatoria di Dio, per riparare il proprio animo, la propria angoscia all'ombra delle fantasticherie di contingenti teologie, in realtà vere e proprie illusioni di massa, «oppio dei poveri» diceva argutamente Marx, vuote di ogni senso di obiettività. Vere e proprie menzogne necessarie per non guardare in faccia la realtà, ma per fuggire dalla realtà. Si pensa si debba evitare di cadere in questa dinamica: un aspetto che l'analisi religiosa dei Vangeli proporrà è proprio quello di delineare un sentimento del Sacro diverso proprio nelle sue istanze esistenziali più profonde, tali da trascendere queste malsane considerazioni.
Il concetto religioso del Sacro, come si vedrà, è in grado di definire tutto uno spettro di inediti concetti e implicazioni filosofiche ed istanze psico-cognitive. Esso non si basa sulla molla della paura, della necessità di una personale salvezza da perseguire ad ogni costo: ma su di una fiducia di fondo, per quanto coscientemente intesa come «utopistica», dura, che non assilla l'individuo in relazione a dimensioni ultraterrene o ad investimenti di analoga portata, quanto lo spinge a concentrarsi sull'esistenza mondana, pur in una prospettiva religiosa, per realizzare innanzi tutto qui, sulla Terra, un «utopistico» trascendimento dell'urgenza e dell'eventuale indifferenza ed efferatezza del reale.
La filosofia ed il sentimento di fondo di una «teologia evoluzionistica», in sintesi, non può minimamente delinearsi con gli stessi, ingenui e fallaci colori ideologici delle teologie comuni: nulla dell'universo è finalizzato sull'uomo. Questa è la realtà scientifica. Che piaccia o meno.
L'uomo è scalzato dal suo status incantato di apice della creazione: deve cogliersi come espressione di dinamiche casuali, non direttamente scaturite da una lucida e puntuale volontà creativa, di essere fine di un disegno divino, deve infine scendere dal suo narcisistico piedistallo teleologico. Ma forse proprio ai piedi dello stesso egli potrà cogliere qualcosa di inedito. Qualcosa che, come si è già fatto intravedere, farà sì che l'uomo possa ambire ad una dignità ulteriore e… forse, trascendere la sua perfetta ed evidente finitude. Vedremo come.

5)  Le valutazioni espresse nel punti 3.c-3.h) implicano il rifiuto di ogni velleità di definire le modalità fattuali con cui congetturare ogni ideale accesso dell'individuo in eventuali dimensioni post mortem; un'ipotesi questa da soppesare in tutta la sua difficoltà ed spregiudicatezza, nella sconcertante assenza di qualsivoglia ragionevole riscontro.

a)  A riguardo, e questo è un punto particolarmente importante, c'è da considerare come l'ipotesi di un'esistenza d'oltretomba, congettura comunque costante – forse primaria ed essenziale, originante, più del concetto stesso di Creatore, di ogni ipotesi teistica – in ogni ipotesi teistica, risulta assolutamente aliena da qualsiasi considerazione approfondita della realtà che ci costituisce, in cui siamo collocati. Una «teologia evoluzionistica», figlia com'è di un approccio eminentemente scientifico, non può minimamente sottacere questa cruda evidenza, questa grave lacuna. Questo assunto risulta quindi alieno da ogni possibile riscontro scientifico: dunque una pura «utopia». Nell'economia di tale ipotesi teologica dunque, questo assunto deve essere considerato nella giusta prospettiva, e dunque ridotto a «pura congettura ideale, perfetta utopia» – del tutto flebile ed improbabile, pur anche nell'ipotesi di voler speculare sull'eventuale d'incertezza epistemologica a cui è soggetta ogni affermazione scientifica, esercizio qui rigettato perentoriamente.
Nell'economia del presente intento tale ipotesi è dunque contemplata – in modo assolutamente minimale – come mera necessaria modalità esegetica dei Vangeli, dunque «solo ai fini della simulazione inerente la loro interpretazione religiosa».
Non si ha in animo di forzare alcuna ulteriore considerazione in tal senso.

Sia chiaro, in conclusione, che la possibilità di giungere – si ripete, solo da un punto di vista rigorosamente formale – ad una eventuale sintonia tra questa probabile «teologia evoluzionistica» e tali testi non rappresenta affatto una validazione del lavoro già definito. Ma è indubbio che questo risultato potrà rappresentare, specialmente ai sensi di quel confronto epistemologico più volte evocato nelle pagine precedenti – in particolare nella sezione APPROFONDIMENTI –, uno strumento filosofico concorrente all'esegesi tradizionale, un'alternativa finalmente oggettivizzata da riscontri non di parte o metodologicamente inadeguati alle consuete interpretazioni di tali testi – con tutte le implicazione che ciò può assumere sul piano filosofico.

Questo fine, lo si ribadisce senza tema di esser ripetitivi, è pienamente comprensibile solo alle luce della particolare strategia in atto: proporre lo scontro contro le teoetotomie procedendo «dall'interno del teismo», pur se da una posizione rigorosamente «laica ed agnostica», e contando sul principio evoluzionistico che asserisce come «la competizione biologica più feroce e si ha tra specie viventi che concorrono per un'unica nicchia ecologica disponibile»,.

Questo potrà essere condotto unicamente scendendo nello stesso campo dell'avversario, del teismo teoetotomista ortodosso, promuovendo una accezione del Sacro, dei tipici concetti di creazione e quant'altro costituisce il suo armamentario concettuale, il suo sistema di riferimento e non più assumendo passivamente gli anacronistici e contingenti concetti e fondamenti delle teoetotomie occidentali (cattolicesimo etc.); ideologie e precetti acriticamente intesi quali espressioni consone del Teismo tout court così come hanno fatto sinora anche gli esponenti più noti e conosciuti dell'ateismo – da Marx a Freud etc. Formulando ex novo un'inedita concezione teologica, basata questa volta sulle concezioni cosmologico/biologiche derivanti direttamente dall'odierna concezione scientifica della realtà, si potrà porre «poi», senza mezzi termini, un confronto epistemologico netto, «intestino», procedente dall'interno dello stesso polo teistico.

Si deve dunque intendere il presente proposito come una vera e propria «simulazione esegetica», finalizzata a definire con maggior oggettività e lucidità – o se si vuole per estendere, in modo strumentale, la critica a certe modalità interpretative opinabili – il campo di collocazione ed interpretazione di questi temi metafisici.

Si è infatti convinti di come, definendo un'inedita «teologia evoluzionistica», ed ancor più dimostrando come tale teologia possa costituire una valida interpretazione dei testi sacri sinora gelosamente gestiti dalle odierne teoetotomie, si possa contare su di un vero e proprio «cavallo di Troia», in grado di annidarsi all'interno dei bastioni sinora eretti dalle stesse «verso l'esterno», «verso l'ateismo», per difendere quel teismo tout court che si sentivano di rappresentare degnamente con i propri dogmi e posizioni dottrinali dall'evolvere della conoscenza scientifica, dalla critica della filosofia più libera e pura. Un «cavallo di Troia» con cui sgretolare quelle difese dall'unico punto, inatteso, verso cui sono totalmente vulnerabili: dal loro grembo teologico. E proprio qui si dovrà imporre un confronto epistemologico interiore, nei confronti del quale non varranno più né autorità costituite né la sufficienza, e non meno tracotanza, di sentirsi portavoce d'elezione del teismo in generale. Una presunzione oramai smascherata.

I creazionisti, e «scienziati» come il nostrano Antonino Zichicchi, sono dunque serviti: l'evoluzionismo è capace di essere compatibile «anche» con una metafisica teistica, ed ancor più il paradigma evoluzionistico è in grado di proporre un'interpretazione dei testi biblici, Vangeli inclusi, inedita, compiuta ed efficace, nonché pertinente in relazione alle istanze procedenti dalle più importanti discipline scientifiche odierne.

Una situazione inedita... netta: un unico testo da interpretare da un lato, dall'altro una tradizione interpretativa teoetotomistica ed un'inedita interpretazione religiosa in competizione tra di loro. Un unico fatto e due ricostruzioni, due modelli dello stesso: l'una in totale disaccordo con tutte le scienze moderne ed esponente di un paradigma fissistico dualista. L'altra coerente con il paradigma evoluzionistico monista della scienza odierna. Null'altro. Non ci si arroga alcuna prerogativa di poter esprimere una qualche Verità: qui si è avuto in animo solo di analizzare asserti, modelli, affermazioni inconciliabili tra loro, ipotesi metafisiche in «competizione» l'una con l'altra nell'interpretazione di un singolo, unico e crudo fatto.

Ma una sola potrà restare... Il confronto epistemologico può dunque essere portato alle sue più estreme conseguenze...

 

VR

 

Note:

 

1 Catechismo della Chiesa Cattolica, (C.C.C.), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, Roma, 1992, par. 120-133, pag. 46 e ss..

2 Il problema è noto come «Soul inside flag problem»: davanti ad una collezione di reperti fossili di pre-ominidi, ominidi ed uomini – ad esempio in un museo di storia naturale – è impossibile definire, se non per imposizione soggettiva, contingente, l'esistenza di tutte le caratteristiche necessarie per attribuire, a partire dalla specie rappresentata da un preciso reperto fossile – indicata apponendo la bandierina con su scritto «Soul inside» – in avanti, i caratteri di «umanità» a cui l'esegesi cattolica (teoetotomistico fissista) concede l'infusione dell'anima spirituale.
Per inciso, nel 1996 il pontefice Giovanni Paolo II pubblicò una lettera di «riconciliazione» tra cattolicesimo ed evoluzionismo presentata come ammissione dello stesso nel contesto dottrinale cattolico: sarebbe stato interessante che a tale clamoroso proclama – in sorprendente controtendenza con l'H. Generis del 1950! – sia seguita l'esposizione delle modalità con cui poter mostrare questa possibilità d'intendere in un paradigma evoluzionistico tutta la serie di istanze, fissismo e monogenismo etc., su cui si basano i fondamenti di tale dottrina – così come dimostrato nelle altre sezioni del sito.

3 Quest'aspetto è quanto mai importante, come vedremo, nel definire il senso socio-culturale «mondano» su cui verteranno molti aspetti dell'esegesi che si andrà a presentare: il concetto di individuo «sistema aperto», non monadico, l'importanza del contesto socio esistenziale mondano nell'economia dell'intero corpus evangelico sembrano concordare proprio con quest'accezione ontologico antropologica.

4 Monod Jacques, Il caso e la necessità, Arnoldo Mondadori, Milano, 1970, pag. 143.

5 John C. Greene, La morte di Adamo, Feltrinelli, Milano, 1984, pag. 348.

6 Richard Dawkins, La natura: un universo di indifferenza, Le Scienze n. 329, gennaio 1996. pag. 60-61.

 

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