CAPITOLO 1


PROLOGO                  _____________                    Back    

 

... e venne al mondo

Veri e propri fiumi d'inchiostro sono stati scritti sulla nascita di Gesù, a testimonianza... che forse non ci si è capito più di tanto. Secondo i Vangeli, Gesù sarebbe nato da Maria, una vergine promessa sposa ad un tal Giuseppe di Nazareth, falegname, senza che questa «conoscesse» alcun uomo (Mt 1, 18-24; Lc 1, 27; 2, 13).

Si vorrebbe sorvolare su tali brani perché poco interessano quelle condizioni ginecologiche di Maria su cui tanto si è pruriginosamente insistito in ambito teologico, ma visto che sull'argomento – in generale – sono state sviluppate tematiche decisamente fuorvianti e in considerazione di interessanti aspetti psico sociologici che sembrano emergere da una diversa analisi della narrazione, si farà una qualche umile valutazione – nella consapevolezza che ciò non potrà essere altro che «un'ulteriore ipotesi».
Visto che il dichiarato fine è quello di «contrapporre ipotesi ad ipotesi»… l'intento non si rivelerà del tutto peregrino, dati i risultati.

Primo punto: in tutte le «interpretazioni teologicamente rilevanti» sinora condotte Gesù sarebbe Figlio di Dio, Dio.
Si premette come le pagine dei Vangeli vertono coerentemente sull'ipotesi metafisica di come, diciamo agnosticamente «forse», in ogni uomo si celi una valenza divina. Qui però si afferma un'ulteriore e profonda eccezione, ben più impegnativa: «Gesù è Dio».

Quest'affermazione dunque implicherebbe che «L'Essenza Creatrice, Increata, dell'Universo» sarebbe «rinchiusa», «catturata» in un corpo materiale. Dio, «Essenza Creatrice, Increata, dell'Universo», dunque si sarebbe «fatto» uomo, specie animale dell'ordine dei Primati, mammifero, di sesso maschile. Quell'incommensurabile entità extranaturale, perfettamente esterna al mondo fisico, filosoficamente ed ontologicamente parlando «causa increata» dello stesso, si sarebbe «incarnata» nelle membra naturali di una forma di vita eterotrofa apparsa nel palcoscenico dell'universo circa 13,5 miliardi e rotti di orbite terrestri dopo la presunta creazione dello stesso, inezia temporale, in uno sperduto, anonimo sistema planetario… posto alla periferia di una delle sue innumerevoli galassie.

Si trattenga ogni facile ironia: l'importanza rivestita da quanto è stato millantato a partire da questi brani è più urgente di ogni sano, «laico» scetticismo, che farebbe buttare tutto all'aria. Tali asserti contengono elementi formali tali da far scaturire profondi interrogativi e mute perplessità – perplessità rese ancor più forti alla luce di molte considerazioni epistemologico scientifiche espresse negli altri lavori presentati – riguardo l'ortodossa esegesi, secondo la quale – lo ricordiamo – l'incarnazione di Dio deve intendersi come «divino proposito di condurre qui sulla Terra il passaggio fondamentale di una lotta “universale”, “cosmica” contro quelle forze del male che starebbero imperversando nel creato».

Si è debitamente sottolineato come, innanzi tutto, non esista a tutt'oggi alcun elemento concreto capace di sostenere o far avallare una qualsivoglia concezione «dualistica» della realtà naturale. Le dinamiche attualmente in atto nell'universo conosciuto sono del tutto analoghe a quelle che hanno operato nel passato dell'universo fisico. Nessuna soluzione di continuità è invocabile, neppure in una metafisica che contempli una creazione divina. «Se» l'universo è da intendere come tale «allora» l'universo, così come è ed appare ai nostri strumenti scientifici, è oggi come oggi «tale e quale il Creatore lo avrebbe originariamente creato».

Nell'universo dunque spirerebbe ancora inalterata l'originaria volontà creatrice, senza alcun possibile degrado ontologico. Qualsiasi metafisica che proponga quest'ultimo fatto sarebbe assolutamente contraddetta dalle evidenze scientifiche di cui oggi disponiamo. La fisica moderna è riuscita infatti a confermare sostanzialmente la storia passata del nostro universo dall'attualità sino a frazioni infinitesime di secondo ( sec. o giù di lì) dopo il cosiddetto Big Bang a suggello di un'identità della realtà fisica che oggi cogliamo con le nostre osservazioni che si spinge inalterata sino a quegli istanti remotissimi. Tutto quanto seguì quest'evento si è svolto infatti in una sostanziale «continuità fisico ontologica».

Si è inoltre dimostrato come le dinamiche evolutive non possano realisticamente essere intese in un contesto deterministico tale da delineare la specifica emersione della specie umana sulla Terra quale «meta teleologica ultima ed univoca di un originario gesto creativo». L'uomo, la specie Homo s. s., «non è» il fine biologico ed ontologico della creazione tutta. Punto.

Non è neanche possibile proporre – né è teologicamente «necessario»! – alcun sedicente fenomeno di corruzione ontologica di qualsivoglia ente o fenomeno dell'universo tale da dirigere sin dall'originale intento creativo l'attenzione divina su una Terra di lì da venire, sugli eventi che coinvolgeranno la specie umana; né è possibile – né è teologicamente «necessario»! – cogliere questi ultimi come strozzatura «soteriologica» nell'ambito di un «sedicente scontro universale tra Bene e Male» in atto sin dalle origini del creato.

Dunque, «se» si vuol perorare una metafisica che preveda un Creatore ed un gesto creativo, «se» si vuol ammettere una qualche escatologia e soteriologia che pongano in qualche modo la Terra al centro di un un seppur locale interesse divino, «allora»... «nulla di quanto solitamente proposto da tutte le teologie dualistico teoetotomistiche conosciute è proponibile».
Ogni metafisica di questo tipo è totalmente da rifiutare in quanto «scarsamente verosimile», se non decisamente infondata. Ma questo rifiuto andrà ad acquistare maggior vigore qualora si andrà a mostrare come tutta questa serie di assunti sia assolutamente «inutile», ed ovviamente teologicamente «non necessaria».

Ecco l'essenza dell'attuale intento: mostrare la infondatezza di certe metafisiche proponendo in loro vece analoghe metafisiche – ovviamente dai contenuti radicalmente diversi, spesso antitetici al fine di giungere ad un confronto epistemologico «interiore» allo stesso polo metafisico.

Comunque sia, pur considerando l'inutilità e l'infondatezza di tali scenari, si provi pure a porne qualcuno: vedremo come pur ammettendo «per assurdo» queste concezioni si possano avanzare obiezioni davanti alle quali i classici scenari vengono sconfessati senza appello.

Quale sarebbe dunque «il motivo» di questa precisa scelta? Perché proprio la Terra, quel tempo, quel contesto storico geografico? Perché fronteggiare una presunta, sedicente realtà sovrannaturale personale negativa, in grado di aleggiare sull'intero sconfinato universo proprio muovendo da queste irrilevanti regioni del creato, ed ancor più agendo in quel particolare momento storico culturale? Perché non affrontare questa negativa entità in altri luoghi, in altri tempi e modalità? È vero che non possiamo pretendere di «conoscere, afferrare le volontà ed i disegni del Creatore», ma questo limite non può seguitare ad essere rivolto solo a critici, ad atei, a dissidenti. Ovvero sempre e solo «agli altri».

Infatti, «se» nessuno può «conoscere, afferrare le volontà ed i disegni del Creatore», «allora»... questa condizione deve essere «democraticamente condivisa», assunta anche su di sé – ovviamente ci si rivolge a chi sinora ha gestito indisturbato questi temi ad onta di questa saggia affermazione.

«Se» non si può «conoscere, afferrare le volontà ed i disegni del Creatore», «allora» con quale autorità, principio, evidenza o quant'altro si «perorano» determinati scenari escatologico soterologici rispetto ad altri scenari altrettanto efficaci, se non più plausibili? In base a quale autorità, principio, evidenza o quant'altro affermare una specifica «volontà redentiva, che si esprima in un disegno divino in cui l'uomo è chiamato a partecipare in certe precise modalità» nei confronti di un'altra?1

«Se» non si possono «conoscere, afferrare le volontà ed i disegni del Creatore» e «se» ci si trova nella condizione di poter disporre di una diversa interpretazione, assolutamente equivalente, della stessa fonte testuale, «allora» è proprio l'attestare una qualche «superiorità» della propria congettura rispetto a qualsiasi altra che presuppone ed implica una palese presunzione di «conoscere, afferrare le volontà ed i disegni del Creatore»! Una presunzione di «conoscere, afferrare le volontà ed i disegni del Creatore» che si fa sfacciatamente esplicita qualora poi si affermi e reiteri una concezione metafisica addirittura in aperta incompatibilità con diverse evidenze scientifiche – nelle modalità ed i limiti già dettagliati.

Ecco il senso del confronto epistemologico metafisico che si rende possibile «accettando» lo scontro interno al teismo, il confronto positivo tra «interpretazioni diverse» in competizione per un'unica «nicchia metafisica»! Ma torniamo agli interrogativi di cui sopra.

Perché attendere 13,5 miliardi di anni? Non era meglio – o possibile – affrontare e risolvere la cosa prima, magari sin dagli «inizi» di tale sinistro influsso? L'origine di quest'entità negativa – o della sua perversa azione – è forse «recente» rispetto a queste voragini del tempo? Beh… si può immediatamente obiettare che, secondo l'interpretazione ortodossa del Magistero cattolico… quell'entità già era all'opera ai tempi dei biblici protoparenti.2

Ancora: perché attendere migliaia di anni? Perché coinvolgere in tutto ciò milioni e milioni di esseri viventi – di cui, si noti bene, sarebbe stato impossibile, come già sottolineato, predire l'avvento e la collocazione cosmica dati i meccanismi bio evolutivi naturali? Od infine… tale maligna presenza è da intendere come cosmologicamente limitata al nostro sistema planetario, alla sola Terra? Etc.

Non si vuol insistere; lasceremo, per ora, sospesi questi interrogativi; piuttosto si vuol notare come «nessuna» di queste obiezioni è in grado di ricevere, a tutt'oggi, alcuna seria e credibile risposta da parte del Magistero, o di qualsivoglia teologo. Si naviga a vista… nella nebbia della più totale ignoranza, nel mistero.

Questa sola, devastante considerazione, ed ancor più il senso profondo di questi ovvi quanto fondati quesiti, rafforzano l'idea di identificare una ben diversa meta nella leggendaria missione di Gesù Cristo: la risoluzione di un accidente contingente, circoscritto che coinvolgeva esclusivamente la specie umana a partire da un dato orizzonte storico in poi. Una «locale degenerazione» in grado d'inficiare, almeno qui sulla Terra, per quel che ci riguarda, quell'obiettivo della creazione, l'origine di forme di vita autocoscenti create «libere ed autonome» a «norma e somiglianza di Dio», nell'infinitesimale luogo spazio temporale del nostro pianeta. Nulla più; ma una «locale degenerazione» che, ricordiamo la parabola del buon pastore, (Mt 18,12-14), non rimase ignorata. Ipotesi per ipotesi... è un'eventualità possibile.

Bene, torniamo al Dio fattosi «Uomo». Gesù dunque sarebbe dovuto apparire, probabilmente, di statura contenuta, bruno di pelle, di razza Caucasoide, Indo Iraniana, o giù di lì; respirava, disponeva dei citocromi della fosforilazione ossidativa, consumava ossigeno, si cibava, beveva, hem… «evacuava», aveva – doveva avere se veramente uomo! – un tessuto nervoso analogo al nostro, caratteri psico percettivi umani, ciglia, capelli, ormoni e quant'altro: gli amminoacidi delle sue strutture proteiche erano levogiri, come tutti gli amminoacidi naturali attualmente presenti sulla biosfera, aveva sequenze di DNA prossime per qualche percentuale ad altre forme viventi animali e, come ciascuno di noi, ovviamente, cromosomi sessuali X e Y. Ci dicono infatti i Vangeli che era di «sesso maschile».

E qui sorge un primo grave problema a cui l'esegesi classica ha rivolto molto interesse, visto che tale argomento poteva essere utilizzato per sostenere proprio la soprannaturalità di tale singolare essere umano: come può infatti una donna, che possiede solo cromosomi sessuali di tipo XX, partorire un essere umano di sesso maschile senza «conoscere uomo»? Da dove verrebbe infatti il cromosoma Y, assente nelle cellule di ogni donna?

La biologia contempla fenomeni in cui si originano nuovi individui da esseri viventi sessuati senza accoppiamento sessuale: la partenogenesi, in cui si ha la fusione tra due cellule sessuali femminili sorelle, l' autogamia, dove si assiste alla fusione di due nuclei di una cellula sessuale aploide binucleata. La somatogamia, dove un nuovo individuo proviene da una cellula somatica etc.

Alcuni di questi fenomeni, propri sia del mondo vegetale che animale3, sembra siano stati riscontrati, seppur con una frequenza estremamente bassa, anche nell'uomo. Si ha, ad esempio, la documentazione di un caso di partenogenesi occorso ad una certa Margarethe Jones, di Edimburgo, Scozia, che avrebbe – il condizionale è d'obbligo – dato alla luce una figlia senza alcun intervento fecondatore da parte di gameti maschili.4

Nella specie umana comunque però tale evento, qualora giunto a sano compimento, non potrà che condurre al concepimento di un individuo di manifesto sesso femminile. Nell'uomo la determinazione del sesso è dovuta, nei casi normali, alle sorti della segregazione che avviene nel sesso maschile: i cromosomi sessuali, detti eterocromosomi X e Y, sono presenti nella formula XY nel sesso maschile, detto pertanto «eterogametico», mentre nella forma femminile normale si riscontra la formula sessuale («omogametica») XX.

Nell'uomo il peso genetico della determinazione del sesso è sostenuto principalmente dall'eterocromosoma X, che con la sua presenza od assenza sostanzialmente determina il sesso maschile o femminile. Dai processi meiotici che si verificano nell'ovogenesi si potranno quindi originare esclusivamente cellule uovo femminili che conterranno eterocromosomi di tipo X.

Contemplando, nel tentativo di spiegare la discussa maternità verginale di Maria, simili eventi biologici, come proposto da vari autori al fine di «desacralizzare» questo misterioso evento, ci si troverebbe infatti dinnanzi ad un insormontabile problema. Dall'unione di due cellule uovo femminili, o da un'anomala mitosi di una cellula uovo seguita da una fusione nucleare delle due cellule formatesi, potremo avere, se i processi si fossero succeduti con regolarità, uno zigote il cui corredo cromosomico sarà formato da 44 autosomi più i due eterocromosomi X (44 autosomi + XX).

Questi speciali eventi genereranno inevitabilmente soggetti di sesso femminile. Anche nel caso che si verificasse un'irregolare fusione o segregazione degli eterocromosomi, a seguito della quale si osservasse la «perdita» di un eterocromosoma X, avremmo un genotipo risultante di formula 44 autosomi + X0 (dove lo 0 sta a denotare la mancanza di uno degli eterocromosomi) od, al contrario, un individuo dalla formula 44 autosomi più XXX, – nel caso di un'anomala duplicazione dell'eterocromosoma X. In entrambi i casi l'individuo risultante sarà però di fenotipo femminile. Presenterà cioè struttura somatica ed organi genitali, benché imperfettamente sviluppati e funzionali, di evidente tipologia femminile.

Nel primo caso (44 + X0) tale individuo verrà ad essere affetto dalla cosiddetta «sindrome di Turner»: si presenterà di bassa statura, con orecchie basse, ampio torace a scudo, capezzoli distanziati, mammelle sottosviluppate, utero ridotto ed un sistema genitale atrofizzato, ma con spiccate caratteristiche somatiche femminili.5

Nel secondo caso si avrà ugualmente un soggetto di sesso femminile ma mentalmente ritardato.6

Non è quindi assolutamente possibile ricorrere ad una spiegazione biologicamente fondata che possa basarsi su questo tipo di anomalie genetiche.

Non ci sarebbe dunque alcuna alternativa. Il fatto che una donna partorisca un individuo maschio «senza alcun contributo sessuale maschile» è a tutt'oggi scientificamente inspiegabile. Non si scappa dunque: o si ipotizza un «intervento sovrannaturale» come fa l'esegesi classica, si opta per un'interpretazione «mitologica» della nascita di Gesù o... in modo molto poco elegante, si ricorre al classico e laido caso del «terzo uomo».

Potremmo a questo punto ricordare, e non è peregrino farlo, come in realtà esistano molte leggende e mitologie, anche anteriori ai Vangeli ed in particolare ben note nelle stesse zone geografiche di origine degli stessi, in cui divinità, profeti, o comunque figure centrali in composizioni mitologiche sono generate, partorite tramite eventi virginali. Non esiste dunque alcuna esclusività nei Vangeli: anzi, il fatto che molti di quei miti siano anteriori e prossimi alle stesse zone geografiche può lecitamente far inferire in merito ad una qualche osmosi di tali ipotesi mitologiche.7 Questo tipo di critiche e sospetti, che si reputa debbano essere sicuramente prese in seria considerazione nella valutazione di tali testi, non saranno comunque assunte in questa sede. Si cercherà invece di proporre una alternativa ulteriore, più intestina, collocata ad un livello più prossimo a quanto sostenuto dalle attuali classiche interpretazioni dottrinali di teoetotomie come il cattolicesimo e delle altre confessioni di fede di fondamento evangelico. Osserviamo più attentamente i Vangeli.

Mt 1, 18 dice: «... Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo...» e più in là «... la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che chiamò Gesù». (Mt 1, 25)

Più oscuro è l'apostolo Luca: secondo quest'evangelista, Maria giunge a conoscenza della sua futura maternità di un figlio «eccezionale», opera di un padre anch'egli «eccezionale», nulla più (Lc 1, 26-38).

Per inciso, in tale brano si trova un'affermazione che, come vedremo successivamente trattando del matrimonio, assumerà un'importanza decisiva: ci si riferisce a Lc 1, 34; Procediamo oltre.

Tenendo in considerazione entrambi i brani, potremmo trovare mutuo ed immediato riscontro sul fatto che, per entrambi gli evangelisti, Giuseppe «non sarebbe» il «genitore» di Gesù, ma «sarebbe» «padre di Gesù e casto sposo di Maria».

In realtà ben poco sappiamo di costoro: due esseri «insignificanti», dispersi nell'immenso impero romano, due abitanti di una piccola, aspra regione della periferia dello stesso: lui falegname, figlio di tale Giacobbe e di cui Luca e Matteo ci danno addiritture due genealogie – guarda caso… rigidamente maschiliste! –, risalenti addirittura al Re David ed Abramo ma che, confrontate tra loro, risultano diverse. Di Maria poi non sappiamo nulla di più: una vergine della Galilea che appare all'orizzonte della storia, come Giuseppe, filtrando dal più perfetto anonimato.

Era stata promessa a Giuseppe, ed ancor «prima di conoscere» il suo sposo, si ritrovò irrimediabilmente madre. È un moto spontaneo o, come intenderebbero molti, un pensiero blasfemo pensare ad un probabile «adulterio»?

C'è da dire che Vangeli da parte loro non riportano minimamente il più vago accenno ad una tale ipotesi. Per giunta poi non sembra affatto che questa ipotesi fosse stata una realtà sottaciuta. Mi spiego: ci sarebbe un palese problema di «discrezione» e se permettete… di acume in tale eventualità.

Mettiamo – per assurdo – che questa sia la... squallida realtà. (Sia chiaro che in questa sede «non si sta perorando» questa interpretazione). Ma la constatazione che viene immediata alla mente, semmai fosse questa la spiegazione reale è la seguente: è realistico cercare di nascondere tale eventualità «inventando» un'inverosimile storia di angeli e seducenti «spiriti santi»? Se gli autori avessero voluto far passar sotto silenzio un sì grave fatto, avrebbero fatto meglio ad ignorare il problema dell'autentica paternità di Gesù attribuendola senz'altro a Giuseppe stesso. No, il nocciolo del discorso sembra essere un altro. Qui si parla esplicitamente di un caso completamente fuori della norma che però può – e a nostro avviso «deve» – essere «letto» in una duplice sfaccettatura. Ben diversa da quella ortodossa!

Qui si afferma innanzi tutto come Gesù fosse stato concepito da una vergine senza alcun evento di fecondazione naturale; ma con il concorso, l'opera addirittura di un sedicente «Spirito Santo». Abbiamo già detto dell'esistenza di altri miti in cui la nascita dell'eroe sia descritta in analoghe, misteriose modalità. Dunque nessuna originalità.

Ma questa constatazione non esaudisce il tema che si vuol invece porre in risalto: è per questo che si opta per un'altra strategia di critica. In quei brani sembra celarsi un messaggio meno immediato, quanto essenziale nel contesto dell'opera di Gesù, a cui a quanto pare non ci si è mai rivolti.

Il fatto saliente è che dall'analisi di questa narrazione, invece di perdere tempo ad indagare e disquisire sulle presunte condizioni anatomico verginali di Maria «prima, durante e dopo» il parto, è possibile cogliere aspetti ulteriori della narrazione muovendo da ben distinti assunti. Ed ecco che ritorna il nostro intento finale: proporre letture degli stessi testi «profondamente diverse nella loro collocazione complessiva» – pur concedendo un'ipotesi prettamente teistica.

Maria dunque era stata promessa a Giuseppe dai suoi genitori così come prescriveva la legge ebraica.

Ci sarebbe da fare anche qui un'importante considerazione – normalmente ignorata. È possibile che il matrimonio tra i due, così come avviene ancor oggi in moltissime culture in cui spesso degli adolescenti vengono promessi sposi a prescindere dalle loro decisioni, fosse stato «molto pragmaticamente» concordato per motivi che poco si addicono ad un libero e diretto rapporto d'amore, così come è normalmente inteso – ancor più come, forse, «ci piace» intendere e innanzi tutto come nella normale esegesi si intende. Dunque è possibile che questo sia stato uno di quei matrimoni combinati dalle rispettive famiglie, spesso carenti, se non del tutto vuoti, di «amoroso» sentimento che si riscontrano nelle culture umane, come probabilmente si aveva in quella ebraica di quei tempi. Sarebbe oltremodo realistico prendere in considerazione questa chiave di lettura del fatto, finendo così con l'alterare – decisamente al ribasso – la normale considerazione di quest'unione matrimoniale. Ma in questa sede, anche in considerazione che questo non cambierebbe il particolare senso dei fatti ed avvenimenti che si sta cercando di illustrare, non si speculerà su questo, pur legittimo, scenario.

Si accoglierà invece – anche al fine di «marcar stretta», nel suo stesso campo l'esegesi ortodossa – la stessa prospettiva, facendo dunque leva su tutta quella serie di istanze e valenze che vengono poste comnemente all'evidenza ammettendo l'esistenza di un autentico e vincolante sentimento individuale, ovvero di quel «romantico e condiviso sentimento d'amore» tra i due che anche nell'interpretazione classica dovrebbe essere all'origine del «perfetto e santo matrimonio umano».

Malgrado questa concordanza interpretativa restano comunque da analizzare alcuni aspetti – questa volta decisamente interessanti. Allora, come avveniva tutto ciò in quei tempi e cosa significava per una ragazza nubile questo fatto? È importante sottolineare questi aspetti prima di procedere.

Dopo la cerimonia dell'accordo tra il pretendente ed i genitori di lei, c'era un'attesa di circa un anno, terminata la quale, i due potevano convolare a nozze con una festa nuziale e, finalmente, convivere insieme. Perché si attendeva un anno tra l'accordo e le nozze? Nella società ebraica in realtà vigeva un fortissimo principio patriarcale. Antropologicamente parlando ed a prescindere dalla convinzioni ed ai contenuti ufficialmente addotti di questa consuetudine, la legge ebraica, così come avviene in tante analoghe culture patriarcali, salvaguardava in questo modo la formazione dell'istituto famigliare patriarcale garantendo al maschio, molto pragmaticamente, che i figli che avrà dalla sua vergine sposa saranno realmente «carne della sua carne», nel contesto di un fondamento etico chiaramente sessuo repressivo, tramite tutta una serie di «tabù» sessuali. (Lv 20, 10-21; Nm 5, 12-31; Dt 22, 13-29; 23, 1; 24, 1-5)

Se, ad esempio, la donna avesse avuto rapporti sessuali durante l'anno di attesa, o fosse rimasta incinta per mano di un altro uomo, sarebbe stata considerata a tutti gli effetti «adultera» e quindi lapidata (Dt 13, 29). L'istituto famigliare era dunque pragmaticamente protetto e salvaguardato nell'ambito di una serie di norme e proibizioni incentrate sull'affermazione del potere superiore del maschio.

La famiglia era un istituto che ruotava intorno alla superiorità del sesso maschile e dipendeva solo ed esclusivamente dai voleri del maschio/marito; presupponeva ad esempio l'affermazione del «tabù» della verginità femminile – si noti come non si menziona in alcun modo un parallelo per il maschio –, e ciò era sostenuto da sanzioni quali la lapidazione degli adulteri per «... togliere il male di mezzo ad Israele». (Dt 22, 20-22)

Siamo nel pieno di una società autoritaristico patriarcale sessuo repressiva. Basta scorrere la pagine dell'Esodo e del Deuteronomio, le due fondamentali basi bibliche della legge ebraica, e tenere in mente l'estesa letteratura psicoanalitica e antropologico sociale per trovare tutti i caratteri fondamentali, i contenuti peculiari di tale modello socio culturale. È il maschio ad avere la prerogativa di gestire, unilateralmente, la propria famiglia, di disporre di tutti gli strumenti legali atti ad estrinsecare la propria autorità, il proprio dominio socialmente riconosciuto sul resto della famiglia.

Ma torniamo ai nostri brani. Giuseppe, giunto alle soglie della definitiva coronazione della sua aspirazione di «fondare» una famiglia o, più romanticamente, sul punto di concretizzare il sogno di essere marito della vergine, dolce Maria – è così che ci è stata descritta e forse ci piace romanticamente immaginare questa donna, magari influenzati dalla nostra tradizione culturale – vede distruggersi nella maniera più dolorosa tutte le sue più intime e dolci aspettative. Maria, la sua amata Maria, la sua promessa sposa, resta incinta durante il periodo di fidanzamento... e non a causa sua! E non basta: mentre il suo ventre si sta irrimediabilmente gonfiando, tendendo, sostiene di non aver «conosciuto» uomo! Chi mai crederebbe ad una simile storia – ovviamente questo termine è un eufemismo? Giuseppe, a quanto pare, lo fa.

La legge era «totalmente» dalla sua parte, a suo favore, aveva l'opportunità, addirittura il dovere, di porre fine alla vita di Maria e della sua creatura per «togliere il male da Israele», per punire l'abominio clamorosamente evidente agli occhi di Jahweh.

Eppure, secondo quanto narrano i Vangeli, Giuseppe non fece nulla di questo: anzi disobbedì alla legge di Jahweh! Salvò la vita di Maria e della misteriosa creatura che celava in grembo nell'unico modo possibile: assumendosi la paternità legale di quella creatura, incolpandosi agli occhi della gente di essersi accostato a Maria durante l'anno di fidanzamento, ma salvandola dall'inevitabile lapidazione.

Immaginiamo di essere nei suoi panni: il dubbio, legittimo, di esser stato vittima accondiscendente di un losco inganno lo avrebbe potuto perseguitare per tutta la vita. Avrebbe potuto vedere in chiunque il segreto, misterioso amante di Maria. Come inquadrare la figura ed il ruolo di Giuseppe in questa vicenda?

Non è affatto irriverente osservare da un punto di vista umano, molto umano, tale vicenda; anzi, vedremo come ciò potrà condurci ad un'interessante interpretazione di tutto questo, ad onta ad esempio di tanti solenni ma fumosi studi teologico mariani così tanto diffusi nella teologia cattolica – anche odierna. Giuseppe non sembra essere innanzi tutto, come potrebbe apparire maliziosamente, sulle prime, un ingenuo credulone.

Possiamo anzi trarre dalla sua figura un'inattesa dignità e grandezza umane. Egli fece una scelta interiore estremamente importante e tragica: col cuore spezzato, ignorando il suo amor proprio calpestato, il suo leso «onore» di israelita, la sua dignità sfregiata, dinnanzi ad una Maria che seguitava a sostenere quell'assurda storia, probabilmente a testa china, tra le lacrime, conscia della tragicità ed incredibilità della situazione – o, come forse piace a taluni immaginare, magari indotti da tanta produzione pittorica dei secoli passati, in un teofanico distacco… con muta testardaggine, imperterrita –, decise di accettare quel pesante fardello a lui estraneo, ignorando la Tôrâh, rifiutando i suoi diritti maschilistici.

Maria era senza alternative, senza scelte. In caso di rifiuto da parte di Giuseppe, senza il riconoscimento della paternità da parte sua, non avrebbe potuto avere alcuna chance di essere accettata dalla comunità e sopravvivere. Sarebbe stata inesorabilmente lapidata, o quanto meno scacciata dalla società, il che equivaleva a cadere in una spirale di degrado, umiliazioni, prevaricazione e violenza inaudita. Un fatto questo fondamentalmente sottaciuto, ignorato.

Eppure il significato del gesto di Giuseppe è grandissimo. Un israelita qualunque, un uomo qualunque, che magari sognava solamente una famiglia rispettabile, come tanti altri, vede miseramente crollare i suoi più ambiti e cari progetti. Eppure, benché distrutto dal dolore, ammutolito dalle cruda realtà dei fatti, con ancora nelle orecchie le… incredibili affermazioni di Maria, in sostanza dell'artefice di tutto il suo dolore, Giuseppe sfodera un atteggiamento notevolissimo.

Egli riesce così a cogliere un aspetto del tutto particolare della vicenda. Aveva nelle sue mani il destino di Maria: essa sicuramente sapeva che solo lui poteva salvarla ed a lui, saggiamente, si aggrappò. Egli aveva dalla sua parte la legge, la possibilità di «fare giustizia»; eppure, Giuseppe ignorò la legge, non si abbassò a togliere l'adulterio dalla società ebraica tra il plauso ed il riconoscimento di tutti gli israeliti, in ossequio alla ferrea legge di Jahweh. Accettò di salvare Maria, la creatura che aveva in grembo, disse «Sì!» a quell'incredibile epilogo, accettò lo scherno, affrontò forse il sentimento di «disprezzo» della gente del suo paese, accollandosi l'incapacità di portare «virtuosamente» illibata la sua sposa al consono epilogo del fidanzamento, la cerimonia nuziale. In un muto, interiore dolore, forse distrutto nelle sue più intime aspirazioni, andò incontro alla vita, a quella misteriosa ed aliena creatura che stava crescendo nel ventre di Maria. La sua vita si trovò ad una svolta cruciale.

Molto realisticamente, la figura della sua sposa cambiò radicalmente ai suoi occhi, come distrutte, perse furono a quel punto le sue aspirazioni, i suoi propositi. Eppure, il diverso futuro che inaspettatamente iniziò a delinearsi ai suoi occhi non riuscì ad impedirgli di esprimere, malgrado tutto, un'umanità grandissima. Maria poteva averlo ingannato, o meno, fatto sta che aveva distrutto i suoi sogni, la positività della propria immagine ai suoi occhi: era lì, inerme, totalmente nelle sue mani. Giuseppe si trovò ad un bivio, senza alcuna via di scampo: consegnare Maria all'umiliazione dell'adulterio, all'orrenda punizione della lapidazione, porre fine al suo apparente «peccato» o salvarla assieme alla creatura che portava in grembo.

Ebbene, Giuseppe l'aiutò, ignorando il «peccato» consistente nell'infrangere la severa legge ebraica, di aver negato il prezzo di sangue che la legge divina del suo popolo, del suo Dio, esigeva dinnanzi al ventre teso di Maria. Ma quest'atto di autentico amore, di fiducia, di attaccamento alla vita oltre ogni altra ragione, ogni altra legge, sono il sigillo commovente e sconcertante di saggezza ed umanità. La vita gli chiese di essere padre, non genitore, di un essere umano che non «era suo», che non era sangue del suo sangue, di costruire e dare perfetto fine ad un nucleo famigliare d'un tratto radicalmente diverso da quello che egli sognava... e lui accettò.

Solo ed esclusivamente suo fu il merito, ma anche l'onere di accettare, rendere possibile al di là di ogni proprio stato d'animo, la costituzione ed il riconoscimento di tale nucleo famigliare. Non poteva più «avere» la Maria che sognava, magari da vezzeggiare, da amare dolcemente da bravo marito; eppure, malgrado ciò egli acconsentì, seppur il suo amore fosse morto, di prenderla in moglie, riconoscerla quale sua compagna e... complice d'amore.

Il suo sogno d'amore era svanito: egli l'avrebbe, come dice Matteo, sì salvata, ma nel contempo «ripudiata in segreto» (Mt 1, 19). Ecco dunque un'ulteriore chiave di lettura – niente affatto contorta e azzardata quanto realistica – di questa vicenda che, pur non esaurendo il significato della stessa, dà un ineguagliabile ed inedita comprensione di tale evento. Abbiamo qui un Giuseppe che, in un contesto affatto approssimabile a quello canonico in cui il tutto è stato colto sinora, va ad assumere un ruolo fondamentale nell'intera comprensione della nascita di Gesù. Un Giuseppe che assume un ruolo non meno rilevante di quello che il contesto teologico va ad esigere dalla figura di Maria vergine madre: un ruolo anzi particolarmente «attivo e responsabile».

È lui che, riformulando, suo malgrado, tutti i suoi propositi, accettando, qui similmente a Maria, un destino imperscrutabile ed imprevedibile, apprestandosi ad un futuro in cui un nuovo sentimento, pieno di dolcezza, amore, umanità, dignità ed integrità psichica – ma, forse, non meno di gelosa, interiore e distaccata solitudine, comunque partecipata con Maria –, va a tracciare una figura di «padre», di uomo, di maschio, inedita ed innovativa, umana, d'incommensurabile spessore, che per alcuni versi adombra anche quello della vergine.

Una definizione chiara, netta, che scava un baratro nei confronti delle comuni considerazioni di tale evento e che, come vedremo poi, sarà d'incommensurabile aiuto nella comprensione di alcuni aspetti del matrimonio sottolineati da Gesù. Una figura infine che è destinata in breve a scomparire dai Vangeli: già a Cana Giuseppe è letteralmente «scomparso», assente. Mentre è possibile ritrovare Maria fin sotto la croce, dinnanzi al sepolcro abbandonato, dunque sino al termine dell'esistenza mondana di Gesù, di Giuseppe non si hanno più notizie già dall'inizio della predicazione di Gesù.

Che fine fece Giuseppe? Non è strano, in una società patriarcale quale quella ebraica, invitare ad una festa di nozze tutti i componenti di una famiglia fatta eccezione del padre, il riconosciuto capofamiglia? Dov'è Giuseppe? Era forse morto? Oppure... aveva «lasciato» Maria e suo figlio?

Non sappiamo assolutamente nulla di significativo in proposito ma sembra veramente strano che i Vangeli, così pedissequamente precisi in aspetti forse minori dell'infanzia e della nascita, del concepimento di Gesù, si riducano ad omettere d'un tratto tali particolari. Giuseppe sembra, come tutte le figure che orbitano attorno a Gesù, tornare nell'anonimato dopo aver recitato un ruolo ben preciso nel contesto della narrazione, ruolo che noi dobbiamo correttamente interpretare; eppure in questo caso la sua «assenza», d'un tratto palese nella lettura degli evangeli, sembra assumere un significato ben preciso.

Accettando un'interpretazione di questi brani evangelici che faccia salva l'ipotesi di una nascita vera e propria di Gesù da una Maria vergine, di un'interpretazione cioè che permetta di associare aspetti mitologici ad un fatto magari autentico, per quanto fumoso ed incomprensibile, questa valenza della figura di Giuseppe non può essere in alcun modo taciuta od ignorata.

E nell'alveo di tale ipotesi apprestiamoci ad un'ulteriore serie di considerazioni intriganti.

Primo, perché l'esegesi cattolica che, similmente alla nostra ipotesi, propende storicamente per un'interpretazione fortemente «letterale», concreta, della verginale nascita di Gesù, esprime una così distinta considerazione dei due sessi? In altri termini: perché si «rifiuta» il corpo maschile e l'atto sessuale? È una differenza questa che ha riscontro nei Vangeli stessi, nei contenuti filosofici da essi sostenuti?

Dio, che accetterebbe di venire al mondo tramite il corpo di Maria, attraverso la sua vagina, che si nutre tramite il suo metabolismo, «rifiuterebbe» il sesso maschile, l'essere prodotto innaturale dell'unione di una cellula sessuale maschile con un ovulo femminile? E perché mai?

È proprio questo il contenuto filosofico in cui deve essere letta la prodigiosa nascita di Gesù, l'autentica chiave di lettura di quest'evento misterioso? Per quale ragione allontanare così tenacemente Maria e Dio dal normalissimo e naturale atto dell'accoppiamento… dallo sperma maschile?

Così come «Dio si incarna ex novo nell'utero di Maria» si sarebbe potuto incarnare «nel nucleo di un naturale zigote» «naturalmente» presente nel grembo della stessa. No, non sono blasfemie, ma semplici e immediati interrogativi.

Perché e come quest'intento esprimerebbe, secondo l'esegesi cattolica, un esplicito proposito verginale di Maria da mantenere «prima, durante e dopo» il concepimento e la nascita di Gesù?8

È questa l'unica interpretazione in grado di conservare lo spessore sovrannaturale di Gesù, la sacralità della sua origine, della sua nascita, la purezza, l'incorruttibilità della sua persona, della sua natura, l'eccezionalità delle figure che ruotano attorno alla sua prodigiosa «venuta»? Non necessariamente.

Come abbiamo accennato, in questa storia Maria è una figura completamente «passiva», sia nel concepimento stesso che nel fatto del venir «accettata» da Giuseppe. Giuseppe a sua volta è estraneo al concepimento di Gesù: «passivo», allo stesso modo. Malgrado questo entrambi hanno un ruolo «attivo» nella sua accettazione. Un ruolo decisivo. Si sottolinea, per inciso, come non si sia disposti a considerare come reali i fatti delle apparizioni angeliche a Maria, l'annunciazione ad opera dell'arcangelo Gabriele e le visioni in sogno fatte da Giuseppe così come sono narrate nei testi. Il loro contenuto di fantasia è palesemente evidente. Né tali accezioni risultano teologicamente necessarie.

Questi «eventi» sembrano essere solo rappresentazioni fantastiche a sfondo mitologico: concediamo pure che Maria sperimentò autenticamente una gravidanza «anomala», se si vuole pur'anche «prodigiosa», senza alcun naturale rapporto sessuale e che Giuseppe credette, per quanto sorprendentemente, a tale versione dei fatti. Già e tanto!

Si parlava ad esempio del ruolo decisivo nell'accettazione di questa gravidanza da parte di Maria e Giuseppe.

Maria o i suoi genitori avrebbero potuto al limite interrompere di nascosto tale gravidanza; Giuseppe, ripudiandola, l'avrebbe consegnata al massacro ed all'onta della lapidazione. Eppure entrambi accettano il fato con una scelta che riempie di dignità ed amore le loro figure, i loro ruoli.

Ed ecco una nuova importante sfaccettatura. Da Maria nascerà l'«Uomo», prototipo dell'«Uomo nuovo» del Regno dei Cieli, l'«Uomo Dio», Gesù, il Cristo. Un concepimento che sfugge all'uomo eppure frutto della sua scelta: una scelta duplice rappresentata efficacemente dalle due figure di Maria e Giuseppe; l'una, che accetta positivamente ciò che scaturisce prodigiosamente dalla sua stessa natura, dalla sua stessa carne. L'altro, Giuseppe, che accetta positivamente, al di là di ogni prerogativa, al di là di ogni legge, in completa, sofferta autonomia, ciò che scaturisce dal suo cuore, dall'intimità e schiettezza del suo animo, della sua ragione.

«Accettando» in cuor loro questo destino, proponendosi coscientemente nei loro limiti, nelle loro singolarità, alla prodigiosa espressione della natura, Giuseppe e Maria permettono la nascita di un Uomo Dio. Dalla sintesi tra le scelte coscienti di due esseri umani, scelte complete, positive nei confronti della propria natura, della vita, nasce Gesù, l'Uomo Dio: sintesi perfetta tra ragione, autonomia etica, natura e sovrannaturale, divino. Questa è una delle possibili sfaccettature di tale evento.

Un'altra, altrettanto decisiva, è che Gesù, il Figlio di Dio, Dio, prototipo dell'«Uomo», nasce al di fuori dell'istituzione della famiglia patriarcale di Jahweh. E, per estensione, al di fuori della famiglia patriarcale teoetotomistica. Ecco il nocciolo che si voleva enucleare!

Quest'istituzione, che ha il fine di dare al maschio il potere di decidere il concepimento da parte della «sua» donna, arrogandosi il diritto di fecondare la «sua» femmina, che per legge è diventata «sua» esclusiva proprietà, di cui diventa padrone addirittura dell'esistenza, della sessualità, è radicalmente aborrita da parte di Dio. Dio nasce «al di fuori» di quest'istituzione. Non nasce per volontà del maschio ma vive in questo mondo grazie all'accettazione della donna prima, dell'uomo poi. («… i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati». Gv 1, 13) La famiglia di Gesù, in sintesi, «non contiene nulla dell'istituto famigliare patriarcale».

Maria non «è» di Giuseppe, Gesù «non appartiene» a Giuseppe; Gesù «non è» frutto della «famiglia costituita da Giuseppe e Maria». Maria e Giuseppe non vivono la loro esistenza comune procedendo dalle scelte ed i propositi che, nei loro tempi, nella loro società, conducevano all'instaurazione di tale edificio sociale, di tale «accordo», o «simbiosi», come vedremo più avanti.

I sentimenti, le aspettative e le speranze con cui Maria e Giuseppe si apprestarono a dar compimento alla loro «anomala» famiglia sembrano diventare radicalmente diversi da quelli dei loro iniziali proponimenti, di quella mutua attrazione e convenzioni che li avrebbe portati al fidanzamento, all'iniziale proposito di reciproco, esclusivo, geloso possesso ed appartenenza matrimoniale. L'intento di impostare il proprio futuro su quell'unione, sull'esclusività reciproca, e poi sul vincolo di sangue dato dal frutto della loro unione, sono aspetti totalmente assenti nel particolare rapporto di fatto instauratosi tra i due. Le tre figure, seppur condividendo un unico destino famigliare, si stagliano l'una a fianco all'altra, nella particolarità ed unicità di una collocazione reciproca profondamente diversa e, malgrado ciò, di rapporti che sembrano esprimere ambiti differenti dell'esistenza, della natura, dei sentimenti umani.

Abbiamo Maria, madre, sposa, non moglie, che accetta sino in fondo il suo ruolo genitale, che accoglie totalmente il frutto di un mistero che nello stesso tempo le sfugge ma di cui è intimamente e totalmente partecipe. Un frutto non del suo desiderio di essere moglie, ma del suo amore per la vita.

Abbiamo Giuseppe, padre, non genitore, che accetta sin nel profondo questa anomala paternità, frutto non dei suoi diritti e desideri, di una prerogativa di esser maschio, autore e sovrano dell'istituto famigliare. Frutto non del suo potere socialmente riconosciuto di «dare» la vita bensì della coscienza della «biofila» necessità, e non diritto istituzionale, di dar compimento a quell'essere, a quell'entità così totalmente estranea ai suoi umani attaccamenti quotidiani; frutto dunque della cosciente accettazione del suo essere «padre» di quell'essere misterioso, imperscrutabile, esterno e sconosciuto.

Abbiamo infine il figlio, così oscuro ed indifeso, così ancora inatteso ed irrealizzato, che da un profondo mistero originario si affaccia, d'un tratto naturalmente, in una realtà a lui «esterna», a cui accedere ed esser riconosciuto, e da cui poi muovere per realizzarsi, senza legami e retaggi, verso la sua perfezione, il suo essere Dio Uomo.

Questa «strana» famiglia diventa dunque prototipo, ma prototipo di quel ben diverso modello di nucleo famigliare che, come vedremo, verrà poi sostenuto da Gesù nel corso della sua predicazione: prototipo di un nucleo famigliare che si colloca anche come rievocazione mitologica del mistero dell'uomo, delle sue origini.

In tale contesto, nella formazione del nucleo maschile nel ventre di Maria vergine, opera come dicono i Vangeli dello Spirito Santo, sembra innescarsi una visione che riconduce al mistero del divenire ontologico dell'uomo, della sua esistenza. Un mistero che si esprime ben al di là dell'aspetto puramente biologico, in cui i ruoli e le figure di Maria e Giuseppe restano precisamente delineate a tutto tondo in una espressione «biofila» – come si esprimeva ripetutamente Fromm – nei confronti della loro esistenza che permette loro di superare l'oggettiva passività del loro destino con l'attività e coscienza delle loro personali scelte.

Una contraddizione questa che stimola ulteriori considerazioni. Non sembrerebbe «indiscreta» questa presunta irruzione del sacro nell'esistenza dei due? Perché queste forzature? Qui il discorso si allarga, convergendo tuttavia verso un'unica, coerente risposta.

Nella nostra esistenza mondana ci troviamo coinvolti in una serie di eventi, vincoli, leggi naturali che scandiscono la nostra esistenza, le nostre storie, le nostre fortune ed i nostri dolori. Siamo parte di una natura finita, di fenomeni fisici, chimici e biochimici che condizionano il nostro comportamento, che governano il nostro essere biologico. Siamo dunque spettatori ed artefici di eventi che condizionano l'esistenza nostra e di altri esseri viventi. I sogni, i progetti di ciascun uomo possono essere continuamente «calpestati», inficiati o meno, dalla realtà dell'esistenza, dalla reale, «indelicata» unicità della realtà. Ciascun uomo deve confrontarsi con questa realtà, percepirla e valutare le sue scelte, le sue visioni e percezioni, in continuo riferimento con la stessa ed ai suoi fini personali, in una dinamica di scambio, di crescita interiore spesso inconsce, che lo condurranno ad acquisire una sempre maggior «aderenza», una sempre maggiore «oggettività» e conoscenza.

Ebbene Maria e Giuseppe comprendono, uno dopo l'altro, che i ruoli che la realtà propone loro d'impersonare, in ossequio ad un profondo principio di vita, sono d'un tratto nettamente diversi da quelli che essi avevano magari immaginato nel corso dei loro proponimenti.

Lo Spirito Santo che «viola» Maria, la necessità di Giuseppe di gestire l'inattesa, «misteriosa» gravidanza della sua promessa sposa, sembrano rappresentare questa dinamica/principio dell'esistenza, questa realtà «esterna» ai sogni ed alle mete dell'uomo che lo stimola comunque ad una espressione informata da un assoluto, univoco principio di vita. Le loro scelte denunciano dunque una luminosa manifestazione di umanità, una testimonianza della positività dell'accettare, senza limiti e pregiudizi, coscientemente ed amorevolmente, le sollecitazioni che provengono dalla nostra esistenza, dalla nostra storia.

Questo è il motivo di fondo che sarà ossessivamente ripetuto: accettare liberamente e coscientemente, razionalmente, la natura «al di fuori ed al di sopra della legge», usanze e tradizioni assumendo come discriminante esclusivamente la nostra capacità di autogestire, con umiltà, responsabilità, ponderatezza, amore, la nostra esistenza, le vicende che ci coinvolgono nel corso della vita: così, solo così si è «Uomo».

Allontaniamoci dunque dalle pedanti ed indegne disquisizioni anatomiche riguardo la presunta verginità di Maria, così basilari per certe dottrine. È sterile e fuorviante incentrare su questo aspetto l'attenzione teologica e filosofica sulla nascita di Gesù, e nel contempo ignorare conclusioni che solo una più ampia visione d'insieme di tutte le figure della vicenda ci permettono. L'integrità o meno di un «imene» non è capace di caratterizzare la purezza, la personalità di una donna, fosse anche Maria madre di Gesù Dio.

Cosa può significare un «imene integro» quando tutto l'organismo viene a essere sconvolto fisiologicamente da una creatura presente nel grembo di una donna? Assolutamente nulla. Solo nell'ottica di un laido ideale sessuo repressivo, autoritaristico patriarcale, ci si può ridurre a speculare così assiduamente su di un lembo di carne, spurio residuo di dinamiche di sviluppo embriologico, che non ha funzione alcuna al di fuori di quella che una certa cultura «decide» a priori di attribuire. I Vangeli si limitano ad affermare che Maria partorì Gesù senza conoscere alcuno, tanto meno Giuseppe. Nulla più. Nulla dice dei loro rapporti intimi, della loro eventuale vita sessuale coniugale, su cui glissa con somma discrezione. Eppure su questi inconsistenti aspetti si è vergognosamente speculato come non mai.

Perché questa speculazione, quest'assillante esigenza? Il fatto è ora inquadrabile in nuovi contenuti: su questi brani dei Vangeli si è infatti formato il nocciolo filosofico della più raffinata cultura sessuo repressiva della storia umana. La figura di «Maria vergine» è stata presa a simbolo dell'inumana e nel contempo pruriginosa accezione di «castità» – ovviamente non esclusiva di questa dottrina teoetotomistica – che troveremo alla base dell'intera filosofia cattolica e che informerà poi ogni ideale di ascetismo, di virtù, di purezza verginale, dell'esclusività del matrimonio. Un ideale che ha parallelamente sacralizzato, corroborato teologicamente il nesso tra peccato, corruzione e sesso; aspetti ideologici chiaramente inumani, innaturali, ma essenziali nella definizione dell'ideale sessuo repressivo e patriarcale scaturito dall'infondata interpretazione teoetotomistica di questi testi. Lo stravolgimento esegetico dei testi evangelici condotti dalla tradizione culturale teoetotomistica medio orientale ed europea dei secoli passati raggiunge qui il suo apice filosofico.

Eppure i Vangeli non riportano, con discrezione, alcun fatto od evento in grado di avvalorare tali paranoiche conclusioni. Solo un atteggiamento preconcetto può condurre a questi laidi risultati. Sarà chiaro, più avanti, come, e probabilmente chi, innescò tutto questo. Per ora continuiamo ad occuparci dell'interpretazione di tali brani. Permettiamoci però un piccolo esercizio intellettuale, tra il serio ed il faceto, presentando alcune considerazioni congiunte tra gli aspetti più eminentemente biologici e contenuti teologici.

Dunque, il Gesù-Dio che si annida nel ventre illibato della vergine Maria, che si sviluppa a carico del suo metabolismo evocando tutta una serie di vistosi sconvolgimenti biochimici e fisiologici, che altera cicli mestruali, provoca tempeste ormonali, trasformazioni istologico tessutali, che andrà a causare l'ingrossamento delle ghiandole mammarie e la secrezione lattea etc., si dovrebbe adoprare, secondo l'esegesi canonica, per preservare il «sacro imene», dalla naturale, inevitabile lacerazione che lo stesso subirebbe durante l'espulsione del feto nel parto. Essendo intesa, anche nella nostra «simulazione esegetica», l'identità Gesù-Dio, costui, in forza dei suoi presunti poteri divini, lo avrebbe potuto «anche» saper fare, ma il tutto risulta oltremodo forzato, contorto, teologicamente non elegante.

Nell'esegesi classica, pur di corroborare un ideale filosofico lacunoso, un'istituzione, si obbliga Dio a mille peripezie per venire semplicemente, naturalmente, umanamente, al mondo. Ma non basta: si giunge a far dire ai Vangeli cose che mai hanno detto, si forza d'imperio il significato di frasi che potrebbero essere intese in accezioni ben diverse, si elevano a dogmi di fede accezioni di cui non esiste alcuna pur minima traccia.

Ricordiamo, ad esempio, alcune affermazioni connesse con il dogma dell'Immacolata Concezione e l'interpretazione esegetica sostenuta dalla Chiesa Cattolica riguardo passi dei Vangeli dove si parla di Maria della famiglia, dei parenti di Gesù.

Luca riporta la narrazione dell'annunciazione dell'angelo a Maria. All'annuncio dell'angelo: «Ecco, tu concepirai nel grembo e darai alla luce un figlio...» (Lc 1, 31-33) Maria dice: «Come avverrà questo poiché io non conosco uomo?» Quest'affermazione è stata interpretata come esplicita dichiarazione del proposito di Maria di restare illibata per sempre, di ripudiare ogni contatto carnale con qualsiasi uomo per tutta la vita.9

A prescindere dall'assurdità dell'intento di sposarsi per una donna che avesse deciso di rimanere illibata per tutta la vita, affermazione che può esser accettata – così come è fatto sinora – esclusivamente piegandosi in modo assolutamente prono ed irrazionale ad un cervellotico e masochistico principio di autorità dogmatica, ciò è comprensibile solamente nel particolare ambito di una mentalità sessuo repressiva, cultrice dell'ideale della castità, della virtù dell'ascetismo. Ed è parimenti comprensibile come sia possibile giungere a collocare la figura di una Maria vergine «prima, durante e dopo» il parto, la «necessità» del dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, del suo essere addirittura concepita «senza la macchia del peccato originale» solo al fine di incarnare il ruolo di consono «involucro», puro, senza macchia – il nesso con il sesso è esplicito! – necessario per la venuta di Gesù Dio. Tutti aspetti la cui origine, le cui finalità possono essere «comprensibili e necessari in quell'ottica», ma non per questo «comprensibili e necessari tout court» ed ancor più «necessarie», anzi «necessariamente vere».

In un contesto religioso, profondamente distinto da quello canonico sinora conosciuto, la frase di Maria può essere colta in molto più verosimile e comprensibile in un'accezione... ovvia e significativa. Stando ai testi, è evidente come Maria si meravigli di quell'annuncio «non avendo fin lì conosciuto uomo» e non conoscendo, nelle immediate prospettive, nessun uomo tale da generare in lei un simile essere, essendo essa promessa all'umile falegname Giuseppe. Nella frase infatti il verbo è coniugato al tempo «presente». Punto. Ora, anche senza ricorrere alla figura reale di un angelo annunciatore, aspetto decisamente superfluo, potremmo interpretare esaurientemente tale brano concludendo che Maria pone il suo «ovvio» stupore alla constatazione interiore, fisiologica, del misterioso evento che sta iniziando a coinvolgere la sua persona.

Nulla si dice qui dei suoi intenti futuri. Sarebbe stato ben diverso se il verbo usato fosse stato coniugato al «futuro»: allora sì che la frase avrebbe potuto intendere una perpetua rinuncia al contatto sessuale, alla «conoscenza» d'uomo.

Ma così non è!

L'interpretazione canonica risulta quindi testualmente infondata e formalmente criticabile nel contesto interpretativo globale dei Vangeli. Ha fine, valore solo ed esclusivamente per sacralizzare il moralistico ideale della donna vergine, quindi «pura», che si riserva al marito, aborrendo ogni altro uomo. Qui si sacralizza, ipertrofizza e sublima il tutto ponendo Dio come «marito», e contemporaneamente si sacralizza, ipertrofizza e sublima il desiderio dell'uomo che «sceglie» la «sua» vergine e pretende da questa assoluta ed eterna fedeltà e sottomissione alla sua esclusività di «maschio sovrano e fecondatore». Questi miti, la necessità di delineare queste figure e questi concetti, rappresentano lo specchio ideologico del principio maschilista contemplante la soppressione ed il controllo della sessualità della donna, l'identificazione del sesso, della sessualità come corruzione interiore dell'uomo; attività perciò permessa e sacralizzata solo nel contesto del controllo istituzionalizzato della sessualità nel matrimonio.

Ma non esiste alcun elemento oggettivo nei Vangeli – ed in generale nell'intero corpus biblico – capace di far intendere tali interpretazioni come «vere»: nessuno può provare poi che tali approcci «debbano» risultare autentici. E comprensibile che li sia intesi come tali fin quando non si era a conoscenza di una qualche chiave di lettura alternativa. Ma questa situazione è ora superata – come si vedrà più avanti nei capitoli riguardanti proprio il matrimonio. Un'interpretazione religiosa dei Vangeli porta infatti a risultati esegetici del tutto efficaci… in cui però «mancano totalmente» tali contenuti. Tale interpretazione si pone come alternativa finalmente coerente con le concezioni scientifiche attuali e teologicamente positiva, in grado di enucleare un significato radicalmente incommensurabilmente diverso da quello precedente.

Ad ulteriore esempio della parzialità della ortodossa modalità esegetica e sempre rimanendo nel tema della presunta verginità di Maria, i teologi cattolici hanno sudato freddo di fronte ai passi evangelici dove si potrebbe riconoscere un qualche riferimento a presunti «fratelli e sorelle» di Gesù.

Giusto due parole su questo particolare. Facendo attenzione all'esegesi classica di tali brani, (Mc 6, 3; 3, 31-32; Mt 12, 46-48; Lc 8, 19-20) si possono infatti mettere a fuoco il «metodo» e le «finalità» perseguite nella stessa, le forzature che contrassegnano l'intera costruzione filosofica e teologica condotta su di essi. Secondo tali brani, si potrebbe esser legittimamente autorizzati a pensare a fratelli o carnali di Gesù o eventuali figli avuti magari in precedenza (?) da Giuseppe.

Tale eventuale interpretazione potrebbe ovviamente essere lecita, corretta, nell'eventualità di un'interpretazione letterale dei testi, mancando negli stessi espliciti riferimenti contrari alla stessa; c'è da notare inoltre come ciò risulterebbe assolutamente ininfluente nella determinazione del senso teologico dei Vangeli, della caratterizzazione ontologica di Gesù.

Si può osservare la forte attenzione della teologia cattolica nel sostenere come in tali brani non si parla minimamente di «autentici fratelli e sorelle carnali» di Gesù. Normalmente si fa notare come i termini ebraici usati in tali brani abbiano un'accezione più ampia e generica potendo «anche» indicare individui con rapporti di parentela meno stretti, come ad esempio cugini etc., il che è effettivamente vero. Ma il problema è proprio che essendo possibile proporre «anche» – operatore logico OR – un'accezione in cui si ammetta l'accezione di «autentici fratelli e sorelle carnali», potrebbe essere del tutto pertinente e corretta un'esegesi che sottolinei quest'altra eventualità.

Invece l'esegesi cattolica «forza» significativamente tale questione, sostenendo con vigore che i Vangeli affermino come Maria non ebbe figli oltre Gesù, che, addirittura, la stessa non ebbe alcun rapporto carnale durante tutta la sua esistenza terrena visto l'intento manifestato all'angelo di «non voler conoscere né nel presente né mai alcun uomo», elevando quindi a dogma di fede la castità e verginità di Maria, così intesa quale prototipo di immagine «pura», «casta», «asessuata». Eppure «nulla di tutto questo» è esplicitamente affermato dagli evangelisti con la chiarezza ed univocità esatta da tale contingente esegesi.

Comunque sia, è possibile concludere che la nascita di Gesù, e tutto quanto può essere riferito alla sua originaria famiglia, risultano descritti dai Vangeli in modo tale da far emergere con sicurezza solo ed esclusivamente i seguenti punti;

•  Maria e Giuseppe erano due individui qualunque, emersi naturalmente dall'anonimato di una provincia dell'impero romano, che si erano vicendevolmente promessi sposi ai sensi della vigente legge ebraica;

•  Giuseppe «non è» genitore di Gesù;

•  Gesù sarebbe stato concepito da Maria «senza» alcun rapporto sessuale;

•  Maria e Giuseppe, pur essendo, ciascuno in vario modo, del tutto «passivi» nel concepimento di Gesù, ne permettono la nascita e lo sviluppo in un contesto famigliare esteriormente simile, ma nell'essenza completamente diverso, sin dalla sua origine, dalla comune istituzione famigliare patriarcale imposta dalla Tôrâh;

•  Giuseppe non «conobbe carnalmente» Maria almeno fino a che quest'ultima dette alla luce Gesù – i Vangeli poi tacciono con molta discrezione su tutti questi aspetti;

•  Gesù sarebbe Dio, Figlio di Dio, Uomo-Dio, il Messia.

Se ci si dispone ad accettare – sempre e comunque da un punto di vista agnostico – l'esistenza di un contenuto storico teologico dei Vangeli, queste sono le «uniche» posizioni esplicite ed inequivocabilmente desumibili; all'infuori di questi punti nulla può essere aggiunto se non in modo surrettizio, ancor più parziale ed arbitrario. Ovvero infondato.

Possiamo tentare di far convergere su tali brani contenuti metafisici, mitologici tra i più disparati, archetipi tra i più universali, o, al contrario, come sembrerebbe, dei più contingenti e ricorrenti, ma nessuno di queste valenze può dare una visione di Gesù, dei contenuti della sua missione tale da intaccare con efficacia i concetti che lo stesso chiarirà all'uomo nel corso della sua esistenza terrena.

Per quanto riguarda gli eventuali fratelli e sorelle, ed indirettamente la persona di Maria, se di questo si vuol ancora trattare, sappiamo solo che Gesù effettuò il pellegrinaggio al tempio, dodicenne, da solo, con i suoi genitori, e non si menzionano dei fratelli o sorelle nella carovana; ciò non toglie che Maria e Giuseppe possano aver lasciato qualche figlio da qualche parente di Nazareth. Nulla si può dire oltre ciò con certezza.

Sono e saranno solo mere e gratuite ipotesi.

Si è comunque propensi ad ammettere – concedere? – che Maria non abbia avuto nessun ulteriore figlio da Giuseppe. Nessun problema. Questo atteggiamento esegetico anzi può in qualche modo gettare una luce nuova, di malinconia, d'imperfetta ed incompleta gioia su questa famiglia ma tant'è; è possibile che Giuseppe, dopo aver esaurito il suo ruolo possa aver abbandonato Maria e suo figlio, forse per vivere una sua esistenza che pensava dover disgiungere dai loro destini; oppure che fosse deceduto. S'intende: queste sono solo ed esclusivamente personalissime congetture. Ipotesi che è lecito esprimere nella misura in cui non cambiano apprezzabilmente i concetti su esposti; ipotesi che potrebbero esser confutate da chicchessia, senza turbare la traccia esegetica che si sta seguendo, e a cui si accenna solo per mostrare come si possa evincere da una diversa lettura evangelica, parimenti congrua nel contenuto teologico ed escatologico, figure e ruoli per questi personaggi altresì validi ed accettabili quali quelli canonici.

Concludendo, abbiamo affermato un'esegesi provocatoria che ammette un Gesù/Dio: proviamo ad accettare questa sfida esegetica. E vediamo dove può portare.

Dunque il Creatore si osservò nella stessa materia che «prende coscienza di se stessa», si fece Uomo... e si compiacque. Si manifestò all'uomo come Dio, non in maniera sfolgorante, per ricucire, non dividere, l'uomo a Dio; questo fu realizzato non sottolineando l'ontologica differenza tra le due entità quanto innalzando l'uomo a livello di Dio. Gesù era Dio, era Uomo? Dunque si feriva, dormiva, rideva, soffriva, tremava, dubitava, si adirava, piangeva… ed amava.

Chissà quanti atomi che parteciparono metabolicamente al suo corpo sono ancora in circolo nella biosfera terrestre! Forse qualche atomo d'ossigeno o d'idrogeno, di carbonio che si trovò ad essere imbrigliato in qualche molecola organica dei suoi tessuti hanno fatto parte di organi e cellule, catene metaboliche di individui come Einstein, Hitler, me stesso,... te; sembra strano, ma molti di essi sono ancora qui!

 

Note:

1 C.C.C., Op. Cit., [1992], par. 302-314, pag. 93-97.

2 C.C.C., Op. Cit., [1992], par. 397, pag. 113.

3 Sergio Tonzig, Elementi di botanica, Ambrosiana, 1968, Milano, Vol. II, pag. 35.

4 Italo Testa Bappenehim, Francesco Lampugnani, Bibbia ed antropologia, Fausto Sardini Ed., Brescia, 1976, pag. 220.

5 Arthur P. Mange, Elaine J. Mange, Genetica e l'uomo. I a ed., Zanichelli Ed., Bologna, 1993, pag. 147-148.

6 Ursula W. Goodenough, Robert P. Levine, Genetica, Zanichelli, Bologna, 1978, pag. 310.

7 Si consideri ad esempio il pantheon sumero dell'inizio del periodo dinastico antico (circa 2850-2340 a.C). I primi miti conosciuti collocavano Nammu, Ama-to-an-Ki (Madre del cielo e della terra), all'origine di tutto. Come Gran Dea, procreò per partenogenesi gli importantissimi An (o Anu), Dio del cielo, e Ki, Dea della terra, e anche tutti gli altri dèi che esistevano. Possiamo citare ancora la nascita dalla dea Era di Efèsto, secondo Esiodo (Teogonia, vv. 927 s.), o di Atena da Zeus.

8 C.C.C., Op. Cit., [1992], par. 496-511, pag. 138-141, (vedi in particolare il par. 510).

9 C.C.C., Op. Cit., [1992], par. 499, pag. 139; Luca, Ed. Paoline, 1977, pag. 58.

 

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