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Ma tutta questa discussione non esprime, agli occhi di un osservatore neutrale, un palese stato di profonda confusione, di contraddizione? Ci sono asserzioni vecchie di secoli che d'un tratto vengono ad esprimere significati che minimamente erano stati coscientemente contemplati dai loro stessi formulatori. Ci sono atteggiamenti di esplicita avversione verso determinate letture esegetiche che successivamente vanno ad assumere valenze assolutamente antitetiche a quelle anteriormente espresse e ribadite. È sicuramente possibile – dal punto di vista logico teologico – intendere tutte queste manifestazioni come una sorta di espressione di una sorta di conoscenza superiore, che si esprima ad onta della contingente ignoranza degli stessi autori: ovvero è facile proporre manifestazioni sovrannaturali nel novero di questi fatti. Come non ammettere allora, molto realisticamente e… prosaicamente, l'eventualità di evidenti errori interpretativi su cui è stato possibile, a posteriori, apporre pezze e interpretazioni così antitetiche, così alternative… solo per il fatto che si stà semplicemente contando su un'intrinseca imprecisione nelle originari asserzioni o nella nebulosità dei contesti metafisici in oggetto? Non si rischia di spacciare per scienza superiore solo la semplice conseguenza di un'intrinseca carenza interpretativa di temi così ampi e obiettivamente sconosciuti anche a chi vorrebbe stabilire punti fermi in tali questioni?

Vedremo più avanti come si possa intendere tutto l'insieme di queste ipotesi in modo ben diverso, inedito e chiarificante. Un'ultima valutazione del pensiero sulle suddette posizioni teologiche.

Tutti questi autori esprimono in conclusione un'ampia serie di eccezioni del canone esegetico della dottrina anteriore. Da un lato si vuol sì giungere a perorare un esplicito poligenismo fisico, ma questo lo si fa affermando, nel contempo, una sorta di ben diverso monogenismo teologico quale riscontro della dottrina teologicamente certa sostenuta in merito all'unità della specie umana. Le perplessità sono diverse. È possibile fare questo sotto il profilo teologico? Convengo sul fatto che nessuno potrà dimostrare che questo sia teoricamente impossibile. Ma il problema è un altro. Anche se anche fosse teoricamente possibile, lecito, tutto questo ha senso autentico? È vero? Oppure: questa disposizione esegetica – sicuramente proponibile teoricamente – è la risposta corretta del problema o è solo una risposta che ha solo il pregio momentaneo di saper funzionare – in mancanza d'altro –, ma che può risultare assolutamente inadeguata a confronto con risposte più concrete e verificabili, più coerenti scientificamente e più eleganti filosoficamente – nonché teologicamente?

Questa particolare chiave di lettura esegetica, vista in un'ottica critica, in realtà sembra denunciare come la questione possa essere stata affrontata dai teologi in modo molto opportunistico, spregiudicato, audace seppur originale. Innanzi tutto le accezioni dei termini monogenismo e poligenismo sono intese eccessivamente ad hoc e in modalità del tutto distinte, insondabili quanto improbabili, rispetto a quelle che vengono riconosciute a tali termini nel campo delle scienze naturali e che erano, si noti bene, anche intese nella tradizione cattolica anteriore. Da un lato il monogenismo – che precedentemente aveva l'accezione di monogenismo fisico di coppia – viene interpretato in un'ottica nuova, particolare, puramente teologico metafisica, non più eminentemente fisica, in cui si veicolano significati ben più ampi. Per quale motivo? Forse perché altrimenti delle proprie ipotesi fideistiche non godrebbero più di alcuna verosimiglianza? Francamente, non si riesce a intravedere nessun ulteriore motivo realistico.

È da intendere quindi questa revisione quale illuminata intuizione filosofica o semplice ipotesi, mero escamotage che ha solo il pregio di essere, molto pragmaticamente, unicamente funzionale a tale scopo? La questione sinora non è stata minimamente dibattuta in modo critico. Né si sono inquadrate queste proposte in modo formalmente corretto, sia a livello epistemologico che filosofico teologico. E questa è una palese carenza su cui si tornerà.

Dall'altro lato c'è da notare che i teologi cattolici puntano sostanzialmente su una diversa strategia, fondata sulla convinzione che il momento dell'origine dell'uomo, come sostenne a suo tempo Teilhard de Chardin, sia da considerare del tutto invisibile agli occhi della scienza. Ovvero, non si riconosce alla scienza la possibilità di indagare con i suoi strumenti conoscitivi sull'attimo in cui la specie umana sia stata generata, chiaramente rifacendosi all'idea della sua divina creazione. È chiaro che questa supposizione sia del tutto speciosa e infondata, assolutamente tutta da dimostrare! Fatto stà che la scienza oramai ha disteso l'eventuale modalità evolutiva di origine dell'uomo con prove evidenti, le quali in particolare si spingono oramai sin nella sua struttura biologico molecolare in modo così ampio da rendere impossibile la definizione di un punto, attimo o evento evolutivo particolare prima del quale l'uomo non è ed oltre il quale finalmente c'è in pienezza l'uomo.

Sulle due suddette modalità interpretative – a la Teilhard De Chardin e a la Rahner – verte dunque il filone più significativo della teologia cattolica moderna, che asserisce di saper accettare il poligenismo pur restando sempre e comunque ligia alla tradizione magisteriale cattolica.

Cosa stà dunque succedendo nel mondo della teologia? Sembrerebbe semplice: alla luce dell'assunto evolutivo, si avrebbe solo il fatto assolutamente non problematico che «… molte categorie e molte argomentazioni teologiche cambiano profondamente. La natura perde le sue caratteristiche di fissità ed immutabilità, il male acquista una fisionomia nuova e si dissolve come problema teologico…» e dunque «… i teologi stimolati dalle nuove conoscenze scientifiche hanno rivisto molti loro paradigmi tradizionali a cominciare dai concetti stessi di materia e di natura… Secondo questa prospettiva si è passati così da «una concezione piuttosto statica dell'ordine ad una concezione più dinamica ed evolutiva» 57. La teologia si è liberata da una concezione antropomorfa e quindi imperfetta dell'azione di Dio ed ha potuto utilizzare un nuovo modello.» 58

Ma le obiezioni da avanzare sono molte: quali sarebbero questi cambiamenti profondi? E ancor più in che modalità vengono perseguiti… o se vogliamo gestiti? Ad esempio, uno degli aspetti più importanti, su cui riecheggiano in particolare i commenti riportati sull'opera di Teilhard de Chardin, è quello relativo al ruolo di Dio nel processo evolutivo. In esso si esprime compiutamente il problema niente affatto risolto del senso della laicità di concezioni naturali, in particolare quella evolutiva, qualora si voglia innestare queste concezioni su di un ceppo teistico. Sembrerebbe che questo sia assolutamente scevro da ogni problemi, visto cosa scrive ancora a tal pro Carlo Molari: «Man mano che l'uomo è pervenuto alla scoperta delle dinamiche intrinseche della realtà, non ha avuto più bisogno di ricorrere a Dio per spiegare i processi della creazione e della storia. L'uomo si è convinto che le forze della creazione operano secondo leggi che possono essere individuate e controllate. Esse spiegano i fenomeni quotidiani senza bisogno di ricorrere ad interventi ulteriori di esseri trascendenti. Per alcuni fenomeni straordinari, però, l'uomo non ha trovato spiegazioni nelle leggi della natura, che anzi sembrano disattese e contraddittorie. Per tali eventi quindi è parso necessario ricorrere a ulteriori interventi di cause trascendenti. In questo contesto culturale si è sviluppato un modello dell'azione di Dio che può essere chiamato miracolistico. …

Questo modo di vedere, diffusosi nell'ambito della teologia cristiana soprattutto dopo che fu assunto il concetto aristotelico di natura, è rimasto fino ai nostri giorni. …

Procedendo nel loro cammino le scienze della natura hanno condotto avanti anche il processo di desacralizzazione della natura, che poi è sfociato nella secolarizzazione della società e più tardi nella laicizzazione. Non vi è stato più bisogno di ricorrere a Dio per spiegare fenomeni naturali e tutte le agenzie del divino nella società hanno perso rilevanza. Per questo e per la spinta antiteologica che le scienze della natura, quasi come peccato originale, esprimono fin dal principio, esse hanno provocato una sorda e continua opposizione ai teologi. Oggi però, passati da una concezione statica della realtà ad una dinamica e da una visione deterministica delle leggi della natura ad una statistica, anche i fatti straordinari non vengono considerati eventi provocati dall'esterno della creazione, bensì come espressione nuova o gestione delle stesse energie create. La natura delle realtà create è in processo verso la forma definitiva alla quale ciascuna di esse è chiamata. Non solo le sue caratteristiche, ma anche le modalità e le leggi dello stesso processo sono in evoluzione. Ciò vale anche per la storia umana. Quando perciò ci riferiamo all'origine dell'uomo e diciamo che egli è stato creato da Dio non intendiamo dire che l'origine abbia richiesto una particolare azione divina, ma che tutta la sua realtà umana, come quella delle sue cause naturali, dipende da una continua azione alimentatrice di Dio.» 59

È ovvio in realtà che questa posizione non fa altro che delineare una sorta di vero e proprio Dio tappabuchi, che si propone inevitabilmente in modo teologicamente debole, quale riduttivo sostituto della figura di Dio sostenuta dalla teologia tradizionale. Per non parlare poi degli evidenti problemi epistemologici assolutamente ignorati in tali interpretazioni! 60, 61

Si vuol qui sottolineare un aspetto importante della questione. Nelle ipotesi formulate si può osservare – specialmente in Rahner – come il tema dell'origine dell'uomo, su cui si addensano le perplessità originate dalla teoria dell'evoluzione in relazione alle posizioni classiche dottrinali, sia affrontato in modo molto poco rigoroso ed epistemologicamente insufficiente. Il fatto che si propongano interpretazioni teologiche di tal fatta, in cui l'aspetto salvifico originate viene affermato con preminenza rispetto a riferimenti ad aspetti molto più concreti e verificabili, che anteriormente venivano incluse nelle stesse senza indugio, non è affatto da intendere in modo automatico quale affinamento teologico tramite il quale si sarebbe dunque ripulito il nocciolo teologico da inquinamenti antropomorfi costituiti da «… una concezione antropomorfa e quindi imperfetta dell'azione di Dio…» onde addivenire ad un nuovo modello in cui questo sia evitato.

Questo fine potrebbe essere inteso come tale solo se si fosse riusciti a dimostrare come tali affinamenti siano magari teoricamente necessari e non solo meramente possibili sotto il profilo squisitamente logico e teologico. Ma questo però non è. In realtà si può immediatamente notare come questo spostare l'oggetto dell'analisi teologica in ambiti sovrannaturali, assolutamente inverificabili, inaccessibili, possa essere realisticamente inteso come un'operazione di mera sottrazione di aspetti fondamentali della teologia da fatti e dimensioni ove sarebbe stato impossibile seguitare a proporre il nocciolo della passata teologia davanti alle evidenze della scienza odierna sull'origine dell'uomo. E si noti una cosa: quando parliamo di «… ambiti sovrannaturali, assolutamente inverificabili e inaccessibili…» ciò non deve valere solo per lo scienziato, ma anche per il teologo! Non dimentichiamo mai questo!

Tale tentativo di revisione teologica, in altri termini, è solo una ipotesi di lavoro, lecita quanto assolutamente gratuita, che deve essere valutata correttamente. Dunque non soltanto nell'ambito del suo risalto all'interno di una data e particolare teologia, ma soprattutto dal punto di vista generale del confronto filosofico sul tema e, visto che tratta volenti o nolenti di temi che, al di là di tali specifiche interpretazioni, toccano senza eccezioni aspetti inerenti anche la ricerca scientifica, ciò deve essere valutato anche sotto il profilo epistemologico. Un campo quest'ultimo in cui evidentemente il teologo si introduce con evidenti reticenze – o spesso da cui si sottrae.

Queste ipotesi, eminentemente metafisiche, sono man mano assunte a rango di ipotesi di lavoro sostanzialmente riconosciuta dal grosso dei teologi attuali. Un nuovo vero e proprio paradigma teologico. Ma nell'ambito dello studio epistemologico di eventuali paradigmi è ovvio che è necessario fare delle valutazioni incrociate degli stessi. Bene: le domande che possono essere formulate sono oserei dire scontate a livello epistemologico. Strano che lo si sia dimenticato in ambito teologico. Dunque: questa ipotesi di lavoro è l'unica ipotesi possibile? È l'unica, tra l'altro, in grado di salvaguardare i contenuti dottrinali cattolici davanti alle evidenze evolutive?

Due prime risposte.

Tale ipotesi di lavoro non è affatto l'unica possibile. È sì possibile che l'unità umana possa essere intesa nell'appartenenza al Cristo nel senso proposto dal Rahner, ma questa eventualità non è minimamente sufficiente a rendere vera, autentica questa lettura!

Il problema è dunque un altro, ben più profondo: quel che è sostenuto da questa ipotesi è vero? O, molto più umilmente ed epistemologicamente corretto questa ipotesi è la più verosimile?

È certamente possibile postulare che la scienza non abbia alcuna evidenza in merito a eventuali fenomeni isolati e singolari della nostra storia evolutiva e che esista anche l'eventualità di intendere in opportune chiavi di lettura metafisiche l'evoluzione come processo che conduca verso la noosfera di Teilhard de Chardin. Ma anche in questo caso: questo è vero? Chi o cosa ci può dimostrare che tali ricostruzioni non siano solo mere ipotesi metafisiche o mere speculazioni altrettanto antropomorfe e contingenti, piuttosto che validi modelli di una realtà autentica? Possiamo prendere come riferimento come elemento probante della loro autenticità il loro semplice essere in grado di eliminare le contraddizioni teoriche e storiche, che, altrimenti, un dato edificio fideistico dogmatico mostrerebbe davanti a delle evidenze scientifiche? Può questa eventualità dare a tali ipotesi lo status di modelli in qualche modo suffragati da evidenze tali da farli assurgere al ruolo non di meri postulati metafisici ma di concezioni in qualche modo fondate e verosimili? È ovvio che – al di fuori di presupposti fideistico ideologici che non farebbero che trascinare la discussione in ambiti soggettivi ed ideologici – questo non è affatto dato. Ed allora?

Il fatto è che non si può spacciare per autentica spiegazione o interpretazione corretta della realtà, della nostra storia, qualsivoglia mera possibilità teorico filosofica, pur anche valida sotto il profilo teologico, di proporre tentativi come questi, magari assunta ad interpretazione di una eventuale rivelazione sovrannaturale, per la semplice eventualità che questi ragionamenti possono sembrare coerenti con anteriori contenuti dottrinali. Queste ipotesi possono essere altrettanto debitamente intese– visti i particolari interessi in campo – come espedienti teologici al servizio di qualche dottrina in difficoltà. Epistemologicamente parlando tutte queste proposte e valutazioni sono solo gratuite congetture. Sotto questo profilo tale ipotesi metafisica propone un semplice modello esplicativo di determinati fatti. E neanche tanti tra l'altro… anzi. Ma null'altro: troppo poco.

Fatto è che non sappiamo poi neanche – e questo è decisivo – se tale ipotesi di lavoro sia l'unica in grado di salvaguardare i contenuti dottrinali cattolici. Ma questo non è un nostro problema. Il fatto è che al di fuori di una cornice fideistica quelle ipotesi sono assolutamente vuote di significato, evidentemente alquanto speciose. E potenzialmente deboli nella loro stessa essenza formale.

Allora altre due domande… a questo punto inevitabili. Nel caso che tale ipotesi di lavoro non fosse l'unica possibile, sono note altre ipotesi di lavoro? E nel caso che fossero note, essa come si confronterebbe con tali ipotesi alternative sotto il profilo non tanto teologico – più ovvio – quanto epistemologico? È possibile valutare in modo obiettivo, magari basando tale giudizio su delle evidenze oggettive, concrete, la validità di queste distinte ipotesi?

Anche qui abbiamo la possibilità di avanzare delle risposte. Sono infatti note altre diverse ipotesi di lavoro, che innanzi tutto non isolano o confinano la questione in dimensioni inaccessibili e improbabili come è stato proposto sinora. Certo è che queste ulteriori ipotesi di lavoro conducono a delle conclusioni ben diverse… ma questo non è affatto un problema sotto il profilo puramente teologico. Saranno forse problematiche per certe teologie, non per la teologia tout court. Piuttosto, queste altre ipotesi riescono a proporre scenari ampiamente verificabili e sono in grado di esprimere una esplicita ed estesa coerenza con le concezioni scientifiche attuali, senza proporre ritocchi se non adulterazioni delle stesse. Davanti a questi aspetti e riscontri è ovvio che le ipotesi di lavoro a cui si fa riferimento, sostanzialmente condivisa e sostenute da tali autori, risultano assolutamente inadeguate. C'è da dire ancora come sia addirittura possibile proporre una valutazione delle varie ipotesi sulla base di una parziale, ma non per questo trascurabile, corroborazione di alcuni loro capisaldi da parte di evidenze e riscontri procedenti da varie discipline scientifiche. E questo, come si vedrà, fa la differenza sostanziale pur anche si stia parlando di temi che toccano contenuti eminentemente metafisici.

In sintesi, alla domanda: «È possibile valutare quella particolare ipotesi di lavoro teologica nell'ambito di un sano e corretto metodo di indagine epistemologica?» si può rispondere affermativamente: «Sì, questo è possibile, perfettamente possibile. Anzi: è già stato fatto.» E questo è quel che si andrà a riproporre, ovviamente con ulteriori contenuti, nel corso di questo lavoro. Tutto questo ci porta dunque alla conclusione che l' ipotesi di lavoro presentata sinora possa essere in realtà fortemente criticabile, ed in sé assolutamente inadeguata sotto il profilo epistemologico; e non solo. Questo significa che si eccepisce esplicitamente come, nel lavoro e negli intenti degli autori sinora presentati, la questione sia stata formulata con modalità assolutamente insufficienti e contingenti, e questa obiezione è da intendere a livello teologico, filosofico ed epistemologico.

Le concezioni su esposte rappresentano posizioni tra le più fondamentali ed innovative della moderna speculazione teologica cattolica. È chiaro che gli autori da noi presi in considerazione non esprimono da soli tutta la profondità e la natura composita dello schieramento. E che si sarebbero potuti mettere in evidenza altri autori, che per i loro lavori potrebbero essere intesi anche come più rappresentativi delle posizioni che si è cercato di delineare. Ma negli studiosi citati è innegabilmente espressa in modo significativo, concreto e pertinente la cornice metafisica ed il particolare approccio mediante i quali i sostenitori della concezione teistica (filo biblica o meglio cattolica) hanno cercato di proporre una teologia più consona – almeno negli intenti – alle evidenze delle scienze bio evoluzionistiche moderne. Pertanto il confronto con tali autori è probante nell'economia del discorso.

Come si è già accennato però, le opere di questi teologi, come quelle degli altri inevitabilmente non citati, per quanto di indubbio risalto culturale, non sono rappresentative della querelle autentica tra scienza e fede: il risalto filosofico profondo che tale questione assume si esprime altrove, in considerazioni ed ambiti solitamente poco adombrate dal questo cilaleccio di teologi. È infatti innegabile che il vero nocciolo della querelle tra scienza e dottrina cattolica in merito ai problemi connessi con l'evoluzionismo, il nucleo che rappresenta al maggior grado il baratro ideologico scavatosi tra il mondo del sacro ed il pensiero scientifico laico occidentale, l'impasse, il senso duro, aspro e sofferto di questo vero e proprio scontro, può derivare solo da quel che il magistero esprime nella sua documentazione ufficiale, non dai lavori dei pur più insigni teologi cattolici. È in questo e solo in questo che si è consumato in pienezza il conflitto tra scienza e questa fede, intesa come istituzione ed espressione dogmatica.

Galileo Galilei, G. Bruno e tanti altri, non sono stati condannati chi all'abiura, chi al martirio, chi al confino o quant'altro da quei dieci cardinali, da quei tal altri membri di quel tribunale dell'Inquisizione o dalle idee di qualche teologo di chiara fede cattolica pubblicate in un contesto avulso dalla presenza forte di un qualsivoglia edificio dogmatico e dal riconoscimento e dall'espressione secolare e culturale dell'istituzione religiosa: ma solo ed esclusivamente da quest'ultima! E la teoria di Darwin non ha dovuto ovviare alle recalcitranti obiezioni di quel prelato, di tal altro teologo o agli attacchi di quell'altro particolare Sinodo. Sinodi, teologi, cardinali, monsignori, vescovi e reverendi vari hanno solo incarnato, espresso concretamente l'opposizione che, istituzionalmente e dottrinalmente, sorgeva dai fondamenti della dottrina della Chiesa Cattolica nei confronti di una teoria che, allora come oggi, afferma aspetti nettamente incoerenti con quanto il Magistero della Chiesa Cattolica ha affermato nei secoli ed afferma tuttora. S. Pietro stà oltre Tevere, non altrove!

Rivolgiamoci dunque a questi documenti. Possiamo innanzi tutto trovare riferimento pertinente in merito alla questione, ed espressione assolutamente fedele degli insegnamenti del Magistero cattolico, in un importante documento dal Vaticano: il Catechismo della Chiesa Cattolica (C.C.C.), redatto dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II e pubblicato per volere del pontefice Giovanni Paolo II nel 1992, il quale, secondo le parole dello stesso papa, rappresenta «… con fedeltà e in modo organico l'insegnamento della Sacra Scrittura, della Tradizione vivente nella Chiesa e del Magistero autentico, come pure l'eredità spirituale dei Padri, dei santi e delle sante della Chiesa, per permettere di conoscere meglio il mistero cristiano e di ravvicinare la fede nel popola di Dio. Esso deve tener conto delle esplicitazioni della dottrina che nel corso dei tempi lo Spirito Santo ha suggerito alla Chiesa.» 62

È da notare che tale documento, seppur non sorretto da pronunciamento ex cathedra con quel che ciò implicherebbe in merito al controverso aspetto della presunta infallibilità del Magistero di Roma, è stato approvato dallo stesso pontefice quale «... esposizione della fede della Chiesa e della dottrina cattolica, attestate o illuminate dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione apostolica e dal Magistero della Chiesa. Io lo riconosco come strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e come una norma sicura per l'insegnamento della fede… testo di riferimento sicuro e autentico per l'insegnamento della dottrina cattolica.» 63

Nulla di meglio dunque che addentrarci nella valutazione di quanto troveremo nello stesso. I risultati di questo intento sono quanto mai chiari ed esplicativi dell'autentico stato della questione. E questo renderà giustizia di molti aspetti confusi e di molti luoghi comuni. Ad esempio è immediatamente evidente il fatto che nel C.C.C. si ribadiscano tutti gli aspetti inerenti alla questione in modo ovviamente coerente con quanto precedentemente esposto dalla tradizione e dal Magistero, specialmente Humani generis, in merito a problemi come il poligenismo, e gli altri punti – senza alcuna eccezione – stabiliti da altri interventi. Ad esempio quello della già citata Pontificia Commissione Biblica del 30 giugno 1909 nonché il discorso tenuto il 30 novembre 1941 da Pio XII ed infine quello tenuto a Nemi da Paolo VI l'11 luglio 1966. 64

Pur non riproponendo qui tutta l'analisi già estesamente sviluppata altrove 65 delle posizioni dogmatiche e dottrinali cattoliche, preme sottolineare il risalto di alcuni punti fermi delle stesse, su cui è forse in opera un profondo lavoro di discreta, oscura e lenta revisione esegetica, al fine di demistificare alcuni fatti fuorvianti che, sempre più ripetutamente, vengono purtroppo proposti e riproposti oggigiorno (vedi in particolare a tal pro S. J. Gould I Pilastri del tempo.88). Ci si riferisce ai punti fondamentali dell'edificio teologico cattolico che toccano ovviamente i temi in essere: l'evoluzione biologica e i particolari del processo di ominazione in funzione degli aspetti fondamentali della dottrina. Nel C.C.C. i punti significativi sono compresi nel paragrafo 6 del capitolo I (dall'articolo 355 al 421). Di questi, sono significativi in particolare gli articoli dal 355 al 361, dal 370 al 384 e infine dal 396 al 409.

Ora, in queste pagine si fa il punto dottrinale ufficiale del libro del Genesi (Gn 1-3) in relazione all'origine dell'uomo – sia in senso biologico che teologico –, fenomeno che è ovviamente al centro dell'osservazione scientifica odierna. Come vedremo più avanti con maggior dettaglio, le inedite concezioni che derivano dai precedenti lavori già citati in bibliografia,, ci permettono di avanzare nuovi modelli interpretativi sia dell'accezione generale di modello teologico che delle particolari caratteristiche della dottrina cattolica, la quale poggia dunque su una interpretazione criticabile e infondata di Gn 1,3 – in contrasto esplicito con la quasi totalità delle evidenze scientifiche. Alla luce di questi nuovi paradigmi si riesce ad comprendere ed analizzare da ben altra luce e con pertinenza tutto il generale atteggiamento esegetico cattolico attuale – ufficiale e non - sulla questione dell'interpretazione del Genesi.

Ora, i suddetti articoli del C.C.C. riportano punto per punto – sia in modo implicito che esplicito e senza alcuna deroga – tutti quei fatti, definiti esplicitamente storici e fondamentali della religione cattolica, che, come già citato, sono rappresentati dalla:

•  la particolare creazione dell'uomo;

•  la formazione della prima donna dal primo uomo;

•  l'unità del genere umano;

•  la felicità originaria della prima coppia umana nella condizione di giustizia, d'immunità e d'immortalità;

•  l'ordine dato da Dio ai primi uomini per provarne l'ubbidienza;

•  la loro trasgressione, in seguito alla seduzione del diavolo presentatosi in forma di serpente;

•  la perdita dello stato primitivo d'innocenza a causa di questa trasgressione. 69

Questa serie di affermazioni è di una evidenza decisiva. Infatti, se prendiamo in considerazione tutti i documenti ufficiali sinora pubblicati dalla Chiesa, questi punti sono, ad onta di tutto quanto abbiamo visto sinora a proposito della teologia cattolica attuale, sempre e comunque indifferentemente mantenuti e ribaditi dalla stessa! Né poteva essere ovviamente diverso, visto che questi fatti sono stati intesi senza alcuna eccezione come aspetti fondamentali del Magistero. È da sottolineare a tal pro che anche nell'enciclica Humani generis tali fatti, ed in particolare i punti 2), 3) e 4) sono assolutamente ribaditi allorquando si afferma come il Magistero cattolico insegni che tutta l'umanità deriva, come abbiamo già visto, da una coppia originaria composta dalle persone fisiche singolari di Adamo ed Eva. Ebbene: come mai nel C.C.C. si mantiene senza alcuna eccezione questa particolare lettura malgrado le attuali trasformazioni teologico esegetiche di cui abbiamo trattato?

Nei vari articoli si può osservare per l'appunto come i termini Adamo ed Eva siano ripetutamente usati dai redattori in frasi in cui si conduce una interpretazione inequivocabilmente personale e soggettiva. I commenti e le affermazioni infatti sono fatte chiaramente, e senza eccezione alcuna, addirittura ricorrendo continuamente, sotto il profilo semantico e grammaticale, a declinazioni dei verbi, riferimenti ed uso dei termini «uomo, «donna», «coppia», «Adamo» e «Eva» riconducibili senza alcuna deroga ad una identica accezione singolare, personale, individuale, col risultato di identificare quindi una autentica e concreta unica coppia capostipite, Adamo ed Eva, creati ex nihilo in forma umana perfetta e definitiva dall'azione diretta di Dio. C'è da sottolineare che tale lettura – ribadita in C.C.C., dunque accolta come autentica – esprima esplicitamente una concezione in cui si assume un concetto monogenistico assolutamente coincidente con quello inteso nelle scienze naturali – e che invece risultava sottoposto a pesante modifica nel lavoro dei teologi di cui sopra nel senso già delineato. Ovvero: in questo documento si ribadisce sempre e comunque il senso monogenistico monofiletico, classico, ortodosso, fulcro di tutta la tradizione magisteriale precedente. Questo è da tenere in debito conto.

Solo negli articoli iniziali – tra quelli enumerati – si può eventualmente evidenziale un uso dell'accezione uomo e donna che possano, seppur al limite, collocarsi – solo se presi però individualmente e in modo totalmente avulso dal conteso – al confine tra il significato di singolare collettivo e singolare personale.

C'è da notare però come in altri articoli – in particolare il 359, 360, 374 371 e gli articoli dal 399 al 404 – gli stessi termini, specialmente se letti nell'ottica di quella organicità interpretativa auspicata dallo stesso pontefice per la comprensione autentica del documento70, assumono ripetutamente ed inevitabilmente un'accezione perfettamente personale ed individuale, supportando a questo punto in modo del tutto irrefutabile l'accezione personale dei termini di cui si diceva, ovvero il riferimento netto alla coppia singola, personale, fisica, storica dei progenitori Adamo ed Eva – ed essendo per questo in perfetto ossequio con la tradizione dottrinale esplicitamente perseguita nella produzione dello stesso documento. A tal pro si può anche sottolineare il fatto di come in tutto il documento non si faccia mai uso esplicito di un'accezione del termine Adamo, o in generale dei protoparenti, tale da poter far ventilare l'ipotesi di un significato diverso, nella fattispecie indicante un senso collettivo dei termini, da attribuire dunque ad un insieme di esseri umani, ovvero all'umanità intesa come specie vivente, genere uomo, popolazione o comunità umana plurale. Questo, ripeto, non si riscontra mai in tutto il documento – che ricordo essere anteriore al discorso del papa del 1996 sull'evoluzionismo!

Non c'è in esso alcun pur minimo accenno ad alcuna ipotesi pur vagamente poligenistica – a dispetto di tutto il lavoro di revisione dei teologi cattolici citati sinora. Ora è da ricordare, da un lato, che la teoria evoluzionistica scientificamente riconosciuta implica senza eccezione questo fatto; dall'altro che tutte le ipotesi teologiche concordistiche sinora sollevate, da De Chardin all'ultimo Rhaner, implicano in realtà più o meno inevitabilmente una concezione poligenistica, ovvero sostengono che nella lettura del Genesi si debba etiologicamente intendere il termine Adamo (Ådåm) come plurale collettivo (personalità corporativa) 71 a designare un insieme di individui progenitori - accezione corroborata da numerosi e significativi riscontri linguistici e storici. 72

A maggior ragguaglio di quest'ultimo aspetto c'è da dire che tali teologi – vedi ad esempio Rahner – si muovono sostanzialmente tra due possibili accezioni del termine: quella di un Adamo inteso come primo individuo – dunque una figura che assume in sé anche il significato fisico di primo uomo, conducendo, assieme alla sua compagna, ad una accezione monogenistica pura: la coppia originale. E questa lettura è in sintonia con la classica esegesi. Oltre a questa eventualità abbiamo l'accezione di un Adamo inteso solo come primo peccatore o peccatore originario o anche prime coppie peccatrici, accezioni queste che poi si cercherebbe di collocare anche in una accezione poligenistica (polifiletica), ma senza costrutto.

In questo secondo caso infatti sarebbero da risolvere tutti i problemi connessi con l'eventuale diffusione – propagatione – di tale stato decaduto nel consorzio umano e non meno quelli connessi a quanto sarebbe dovuto accadere, e con quali modalità, nello stadio intermedio tra le due fasi, anteriore e posteriore alla diffusione ecumenica del peccato originale, in cui si dovrebbero infatti contemplare eventuali incroci genetici tra individui che già avessero peccato – o avevano assunto in sé le conseguenze di questo fatto – con quanti non avessero ancora peccato. Il tutto con tutte le improbabili, paradossali, e anche ironiche, situazioni del caso – incroci tra individui non peccatori con altri per metà peccatori o peccatori in varia frazione etc. E questo già di per sé la dice lunga sul fatto che il poligenismo biologico – ergo la teoria canonica dell'evoluzione – possa essere inteso come ipotesi coerente con la dottrina cattolica!

Osserviamo di sfuggita l'entità di questi paradossi osservando cosa non deve dover concludere Rahner ipotizzando, in una ipotesi polifiletica, l'esistenza di più coppie originarie a cui imputare, come richiederebbe la dottrina cattolica, l'eventuale responsabilità della diffusione ecumenica del peccato originale: «Quando hanno peccato tutte queste coppie? Ma ex suppositione ammettiamo, per esempio, che l'ultima di queste coppie viva alcuni millenni dopo la prima. Cosa ne sarebbe allora delle coppie anteriori, e soprattutto dei loro figli, se ci sono stati, sì, dei peccati personali delle prime coppie, dato che non si può ancora trasmettere il peccato originale ai discendenti, quantunque derivino per generazione, perché il peccato originale non esiste ancora, non essendoci ancora l'ultima coppia, che doveva costituire la collettività peccatrice? O forse il peccato originale viene all'esistenza col peccato della prima di queste coppie? Però le altre coppie non esistono o, se esistono, non hanno ancora peccato. Cosa avverrebbe in questo caso dei loro figli, forse già esistenti? Se queste coppie posteriori sorgono dopo che la prima coppia ha peccato, sono allora create con la giustizia originale o senza di essa? Nel primo caso non avrebbero il peccato originale e questo non sarebbe universale. Nel secondo caso, la perdita della giustizia originale per la caduta della prima coppia non sarebbe peccato originale, che si trasmette «generatione», né la loro caduta successiva potrebbe contribuire alla costituzione di questo «peccato originale». Se si pensa che ciascuna di queste coppie… abbia peccato «per proprio conto» e abbia trasmesso solo la sua perdita della giustizia originale ai propri discendenti, allora il peccato originale non sarebbe «origine unum», ma ci sarebbero più peccati. Ciò neppure va. Questa argomentazione mostra indubbiamente che il poligenismo si adatta molto poco alla dottrina del peccato originale.» 73 E così via.

Ecco un'ulteriore evidenza che ci conduce a intuire quale possa essere l'autentico movente che ha molto opportunamente condotto la teologia cattolica odierna su certi asettici lidi metafisici, improbabili ed inaccessibili. Ecco definirsi i veri motivi per cui la stessa ha cercato di allontanarsi il più possibile dall'infido terreno di confronto con le scienze. Vediamo dunque sorgere il vero perché la teologia cattolica ha cercato di leggere l'evento del peccato originale in modalità e contenuti assolutamente non indagabili e verificabili, anche al costo di attribuire alla propagazione di questa eventuale decadenza del presunto stato originario un contenuto affatto metafisico, trascendente.. quanto risibile. Solo un'ultima osservazione: ma non emerge, potente, la consapevolezza di come, alla fin fine, questa inedita lettura del peccato originale – che dovrebbe derivare da chissà quale superiore riflessione teologia – inizi a somigliare in modo smaccato a qualcosa di riconoscibile, molto più praticamente, in alcune delle tante forme di magia – specialmente magia nera – già da tempo ben note alla ricerca etnologica? Abbiamo veramente originalità, sovrumana intelligenza teologica o siamo solo davanti ad un'ulteriore forma di mera credenza magico oracolare o di mero atteggiamento irrazionale?

Ma torniamo al confronto tra posizioni ufficiali del magistero cattolico – e in particolare C.C.C. – e le posizioni esegetiche della moderna ricerca teologica d'ispirazione cattolica. Ebbene: da quel che emerge dalla lettura di tale documento, dei vari Teilhard de Chardin, Rahner, Flick, Molari e quanti altri, e del duro loro lavoro di revisione ed affinamento… nel C.C.C. – anche nelle ultime ristampe – non c'è la benché minima traccia, niente, neppure il più piccolo ed insignificante riferimento! In conclusione, è inevitabile constatare come nei documenti ufficiali del Magistero cattolico non ci sia a tutt'oggi traccia alcuna di tutte queste istanze esegetiche che procedono – oramai da non pochi anni – dai lavori dei più significativi teologi odierni! La dottrina cattolica è rimasta assolutamente ferma, immobilizzata, sclerotizzata sui suddetti punti: punti che definiscono posizioni eminentemente fissiste e monogeniste classiche. Ovvero: tutta l'umanità ha preso origine per generazione dalla coppia capostipite Adamo ed Eva, creati da Dio come prima perfetta coppia umana sotto il profilo non principalmente teologico ma esplicitamente naturale, genetico, fisico. E questo avviene senza alcuna eccezione! 74

Questa netta considerazione pone allora in indubbio risalto le differenze che si dovrebbero introdurre inevitabilmente in alcuni fondamenti dottrinali specialmente alla luce del discorso fatto il 24 ottobre 1996 dal pontefice Giovanni Paolo II; ma non meno ci dà la possibilità di scorgere nella stessa, al di là di quanto ivi asserito e di come essa è stata accolta dalla comunità tutta, una drastica rottura – con tutte le necessarie implicazioni a livello magisteriale – con quanto tenacemente ribadito in precedenza dalla Chiesa! Notare a tal pro che tutte le posizioni interpretative anteriori al suddetto documento sono state invariabilmente mantenute dall'epoca del Concilio di Trento 75 senza la benché minima soluzione di continuità.

Tenendo conto poi di tutte le inevitabili implicazioni soteriologiche e teologiche del caso, questo dovrebbe essere ovviamente esteso all'indietro sino… alle origini della stessa, con il risultato che, inevitabilmente, emerge la constatazione che queste stesse posizioni risulterebbero intese come dottrinalmente valide addirittura per il 99,8% della storia della Chiesa – o il 99,1% della storia di alcuni dei suoi dogmi principali! 76

Esistono evidentemente le condizioni per porre notevoli dubbi in merito al documento in essere. Da un lato, quest'inversione di tendenza rispetto alla tradizione esegetica ed ai documenti ufficiali anteriori del Magistero risulta essere estremamente significativa. Dall'altro, quel che in questo documento si asserisce sull'evoluzionismo non è che possa essere inteso come risposta pertinente agli aspetti inerenti alle accezioni di evoluzione e origine poligenistica umana propri dell'ambito scientifico. Tale documento poggia esplicitamente sui risultati esegetici di cui si è accennato, ma, come abbiamo visto, in essi le accezioni di termini quali monogenismo e poligenismo sono proposte in un'ottica del tutto confusa, niente affatto significativi se li si voglia impiegare in una discussione scientificamente valida. Le posizioni più importanti del documento – e di riflesso della teologia ad esso sottesa – sono estesamente criticabili e confutabili: la scienza moderna è infatti in grado di dimostrare che il processo di ominazione non è affatto un istante evolutivo. L'ominazione è un processo così ampio da non poter postulare un singolo evento originante – se non come mera ipotesi metafisica, o meglio come perfetto atto di fede.

E il far questo equivale ad operare in così evidente violazione dei principi del metodo di argomentazione scientifico epistemologico da rendere a questo punto risibile ogni ricerca di concordanza tra fede e scienza. Se tutto il processo di revisione teologica di cui sopra deve alla fine giungere ad imperniarsi in tal modo su questo esplicito atto di fede tanto valeva mantenere la concezione ortodossa in barba ad ogni evidenza logico scientifica.

Si ignorino dunque le evidenze scientifiche e ogni considerazione epistemologica... e si seguiti ad affermare quanto sostenuto per secoli. Ovviamente questo non è neanche da sussurrare all'orecchio di chicchessia! Tanto più di un teologo ed ancor più di un Magistero come quello della Chiesa cattolica.

Ma questo fatto prova un'altra radicale asimmetria: quella che deriva dall'evidenza che è tale teologia ad ambire – essa stessa – concordanza con la scienza; non l'inverso. Ad onta di ogni proclamo di autonomia o superiorità; il motivo è chiaro, ovviamente. Il fatto è però che la scienza, o meglio il metodo epistemologico scientifico, esige molto pragmaticamente ed umilmente, di rimando, anche il rispetto di un metodo, una rigorosità operativa ed una oggettività che tali tentativi e metodi d'argomentazione assolutamente non esibiscono.

Tutte queste osservazioni sollevano quindi notevoli perplessità sul documento papale. È chiaro tra l'altro che una tale proposta di innovazione esegetica, con tutto quel che le competerebbe a livello dottrinale nei confronti di una tradizione bimillenaria, non poteva, né doveva, essere minimamente avanzata così come è stato fatto, quale mero documento in calce alla dottrina ufficiale. A meno di essere davanti o ad una proposta che intendeva, nel prendere una posizione così inedita, far passare sotto silenzio la profonda rottura che essa stabiliva con affermazioni oramai non più difendibili di un passato di molto recente o, come alternativa, che con la stessa si sia perorata un'interpretazione assolutamente non valutata a fondo nelle sfaccettature più recondite, eppur malgrado questo dottrinalmente fondamentali. Oppure ancora: che questa nuova interpretazione sia addirittura falsa. Vedremo più avanti come in realtà possono stare le cose.

Passiamo ora dall'altra parte della barricata. Vorrei far notare che, a differenza di quanto visto sinora, si riporteranno in questa seconda carrellata le istanze di autori che esprimono – o cercano di esprimere – considerazioni molto più concrete, espressione di un metodo logico ed epistemologico molto più rigoroso, nonché poggiate su basi molto meno aleatorie; considerazioni inoltre assai più prudenti, formulate limitando al massimo le eventuali derive metafisiche delle considerazioni scientifiche di fondo. Un atteggiamento che, si pensa, possa avere un significato assolutamente positivo in confronto con le tesi degli autori dell'altro schieramento sinora presi in considerazione.

Iniziamo con due brani del padre della teoria evoluzionistica: Charles Darwin: «La forma dei frammenti di una pietra alla base del nostro precipizio può essere definita accidentale, ma ciò non è totalmente corretto; infatti la forma di ciascuna dipende da una lunga sequenza di eventi, tutti obbedienti a leggi naturali… Ma rispetto all'uso che si può fare dei frammenti, la loro forma può essere definita totalmente accidentale. Ma qui siamo di fronte a una grande difficoltà, per la quale sono consapevole di trovarmi al di fuori delle mia competenze. Un Creatore onnisciente deve aver previsto ogni conseguenza che scaturisce dalle leggi da Lui imposte.

Ma può essere ragionevolmente sostenuto che il loro significato ordinario, che certi frammenti di rocce assumessero certe forme in modo tale che il costruttore potesse erigere il suo edificio?

Se le diverse leggi che hanno determinato la forma di ciascun frammento fossero predeterminate a favore del costruttore, può essere sostenuto con sicurezza ancor maggiore che Egli progettò proprio a favore del riproduttore ciascuna delle innumerevoli variazioni dei nostri animali e piante domestici – molte di queste variazioni non avendo alcuna utilità per l'uomo, e non essendo favorevoli, ma molto spesso dannose per le creature stesse.

Ordinò forse Egli che il gozzo e le piume della coda del variassero in modo che l'intenditore potesse ricavarne le sue razze di piccioni gozzuti e piccioni con la coda a ventaglio? Fece variare la struttura e le qualità mentali del cane in modo che si potesse ottenere una razza di indomita ferocia, con mascelle adatte a inchiodare un toro per il brutale divertimento dell'uomo? Ma se noi rinunciamo al principio del caso – e se non ammettiamo che le variazioni del cane primordiale avessero lo scopo dichiarato di formare ad esempio il levriero, quella perfetta immagine di simmetria e di vigore – nessuna ombra di ragione può essere scorta nell'opinione che le variazioni di natura, risultato delle medesime leggi generali che sono state le fondamenta attraverso la selezione naturale della formazione degli animali più perfettamente adattati del mondo, uomo compreso, furono guidate deliberatamente e precisamente…

Se supponiamo che ogni variazione particolare fosse stata preordinata fin dall'inizio del tempo, allora quella elasticità di organizzazione, che porta a molte dannose deviazioni della struttura, così come l'eccessivo potere di riproduzione conduce inevitabilmente a una lotta per l'esistenza, di conseguenza, alla selezione naturale o sopravvivenza del più adatto, devono apparirci superflue leggi di natura. D'altro canto, un Creatore onnipotente e onnisciente ordina ogni cosa e prevedo ogni cosa. Così ci troviamo faccia a faccia con una difficoltà tanto insolubile quanto quella della libera volontà e della predestinazione.» - Da Variation of Animals and Plant under Domestication, 1868. 77

Ed ancora (si noti in particolare l'ultima considerazione del successivo brano): «Non ho intenzione di scrivere in senso ateistico, ma riconosco che non posso vedere, così come altri le vedono e come anch'io desidererei vederle, le prove di un disegno e di una benevolenza divina verso di noi. Mi pare che nel mondo ci sia troppa sofferenza. Non posso persuadermi che un Dio benigno e onnipotente avrebbe creato intenzionalmente gli icneumonidi con la precisa intenzione che si nutrissero del corpo vivente di bruchi, o che avrebbe deciso che un gatto dovesse giocherellare col topo. Non credendo ciò non vedo la necessità di credere che l'occhio sia stato progettato espressamente. D'altra parte, considerando questo meraviglioso universo, e specialmente la natura dell'uomo, non mi soddisfa la conclusione che tutto è il risultato della forza bruta. Incline a considerare ogni cosa come il risultato di leggi intelligenti e a lasciare i particolari, buoni o cattivi, all'azione di ciò che possiamo chiamare caso.» - Darwin a Asa Gray, Down, 22 maggio 1860, Life and letters, vol. II, p. 105. 78

Ed ora, con un salto di circa 150 anni, poniamoci a confronto con il pensiero di un noto rappresentante ultra-darwinista dello schieramento evoluzionistico anti creazionista dei nostri giorni, indicato dal giornalista free lance John Horgan come il levriero di Darwin79: Richard Dawkins.

Nell'aspro brano seguente, Dawkins riprende la precedente osservazione di Darwin sugli icneumonidi per ribadire, molto pragmaticamente, e nel suo consueto stile tagliente: «… prima di deporre le uova in un bruco (o in una cavalletta o in un'ape), gli sfecidi introducono con precisione il pungiglione in ogni ganglio del sistema nervoso centrale della preda per paralizzarla. In questo modo la carne si conserva fresca per la larva che nascerà. Non si sa se la paralisi abbia un effetto anestetico o se, come il curaro, si limiti a bloccare i movimenti della vittima. Nel secondo caso, la preda potrebbe rendersi conto di essere mangiata viva da dentro, ma non riuscirebbe a muovere un muscolo per evitarlo. Questa sembra un'orribile crudeltà, ma come vedremo la Natura non è crudele, è solo inesorabilmente indifferente. Per noi uomini questo e' uno dei fatti più difficili da comprendere: non sappiamo accettare qualcosa che non sia né buono né cattivo, né crudele né pietoso, ma semplicemente insensibile, indifferente a ogni sofferenza e privo di qualunque finalità. … Naturalmente è ben noto che l'apparente finalismo degli esseri viventi ha improntato le concezioni dei teologi, da San Tommaso d'Aquino all'inglese William Paley. Quest'ultimo, per esempio, sosteneva in pieno settecento che se un oggetto relativamente semplice come un orologio postula un orologiaio, allora le creature viventi, che sono tanto più complesse, devono per forza essere state create da Dio. Anche i moderni creazionisti «scientifici» aderiscono a questo argomento del divino Architetto.

Oggi si capisce bene per quale meccanismo tutto ciò che riguarda la vita (ali, occhi, becchi, istinto di nidificazione e quant'altro) dia la tenace illusione del progetto finalistico: questa illusione è dovuta alla selezione naturale di Darwin. Darwin capì che gli organismi che vediamo esistono perché i loro antenati possedevano caratteri che permettevano loro e alla loro progenie di prosperare, mentre gli individui meno adatti morirono lasciando pochi o punti discendenti.

È sorprendente che abbiamo cominciato a capire l'evoluzione solo da pochissimo tempo, non più di un secolo e mezzo. Prima di Darwin, anche le persone colte, che non si domandavano più «a che scopo» di fronte a rocce, torrenti ed eclissi, ritenevano comunque legittimo porre questa domanda a proposito degli esseri viventi. Oggi solo chi non abbia alcuna cultura scientifica potrebbe nutrire una curiosità del genere. Ma questo «solo» non faccia dimenticare che stiamo comunque parlando della maggioranza assoluta della popolazione mondiale. … Se la Natura fosse benevola, il bruco otterrebbe almeno la piccola grazia di essere anestetizzato prima di venire mangiato vivo da dentro. Ma la Natura non è né benevola né malevola, non è né pro né contro la sofferenza. La Natura non si cura del tipo di sofferenza che infligge, purché queste sofferenze non interferiscano con la sopravvivenza del DNA. … Il dolore che ogni anno provano gli organismi viventi di tutto il pianeta supera ogni possibile immaginazione. Nel minuto che mi occorre per scrivere questa frase, migliaia di animali vengono mangiati vivi, altri fuggono gemendo di terrore per salvarsi la vita, altri vengono lentamente scarnificati dai loro parassiti interni, migliaia di esseri di ogni sorta muoiono di fame, di sete e di malattie. Così dev'essere. … In questo universo di elettroni e di geni egoisti, di cieche forze fisiche e di replicazione genetica, alcune persone soffrono, altre sono fortunate, e in tutto ciò non si troverà mai alcun senso, alcuna ragione, alcuna giustizia. L'universo che noi contempliamo ha esattamente le proprietà che ci aspetteremmo se, alla base, non vi fosse alcun progetto, alcuna finalità, se non vi fosse né il bene né il male, null'altro che crudele indifferenza. Come cantò il melanconico poeta inglese Alfred Wedward Housman:

Perché la Natura, la Natura
senza cuore e senza ragione
nulla sente e nulla sa.

Il DNA nulla sente e nulla sa. Il DNA semplicemente esiste, e noi non possiamo fare altro che danzare alla sua musica.» 80

Come si vede, pur a distanza di tempo, l'originare valenza del pensiero darwiniano è qui proposta nettamente, in tutta la sua purezza e causticità. Dawkins rappresenta una delle voci più rigorose dell'istanza darwiniana. Una voce a cui si affianca, e per certi versi si contrappone, senza comunque derogare dall'essenza dei consueti canoni darwiniani, un'altra voce altrettanto autorevole, significativa dello stesso versante: quella di Stephen J. Gould. Autore insieme ad Niles Eldredge della famosa teoria – o, come giudica Dawkins, dell' opzione – evoluzionistica conosciuta come punctuated equilibria 81 e di molte opere divulgative acute e caustiche, Gould rappresenta uno dei nemici più irriducibili ed incalliti dei creazionisti americani, malgrado che le sue stesse teorie siano state spesso usate proprio da questi ultimi, ma in modo totalmente infondato, per cercare di inficiare la teoria evoluzionistica eponima.

Anche Gould, come Dawkins, si confronta con il pensiero del reverendo William Paley, autore nel 1802 del saggio: Natural Theology 82. In quest'opera Paley introduce una bella, significativa e famosa metafora del suo pensiero creazionista ripresa e commentata, spesso anche in toni niente affatto rispettosi da numerosi autori… evidentemente di opposte idee.

Passeggiando, recita Paley, «… in una brughiera, supponiamo che avessi urtato con il piede contro una pietra, e che qualcuno mi avesse chiesto in che modo la pietra fosse venuta a trovarsi là; avrei forse potuto rispondere che, a quanto ne sapevo, quella pietra poteva trovarsi là da sempre. … Supponiamo però che avessi trovato al suolo un orologio, e che mi fosse stato chiesto in che modo l'orologio si trovasse là». Questo ovviamente, secondo il reverendo Paley, implica l'esistenza di un orologiaio: «Pensiamo che sia inevitabile inferirne: che l'orologio deve avere avuto un costruttore; che devono essere esistiti, in qualche tempo e in qualche luogo, un artefice o degli artefici che lo formarono in vista del fine al quale noi vediamo che effettivamente risponde; che ne comprendevano la struttura e ne progettarono l'uso.» Le conclusioni sono immediate: se gli organismi sono affatto più complessi degli orologi, e gli organismi sono effettivamente più complessi degli orologi, così come per l'orologio è inevitabile implicare l'orologiaio, per gli organismi viventi, per l'uomo, non si può evitare di richiedere con ben maggior necessità un creatore benevolo: Dio. «Non può esserci un progetto senza autore; un'invenzione senza inventore… I segni del progetto sono troppo forti per poter essere ignorati. Il progetto deve avere avuto un autore. Tale autore deve essere stato una persona. Tale persona è DIO.» 83

Quali sono le repliche di Gould? Di due tipi: da un lato affronta il problema della complessità senza dover condurre le implicazioni teologiche di Paley, giungendo malgrado questo a degli aspetti euristici assolutamente non inferiori dei fatti osservati. Egli infatti ammette inizialmente che: «Il buon progetto esiste, ma non implica una creazione per spiegare il suo orientamento a un fine. Paley vide l'intervento di Dio nella correlazione di forma e funzione, e più specificatamente nella costruzione divina dell'anatomia in relazione al ruolo che ogni parte od organo deve assolvere: la gamba serve per camminare, la mano per scrivere, la mente per glorificare Dio.» e che «… Il buon disegno esiste, e implica che sia prodotto in vista del suo fine attuale…» 84

Successivamente, però, prosegue ponendo la sua netta eccezione alle conclusioni del reverendo: «… gli adattamenti vengono invece costruiti in modo naturale, per lenta evoluzione verso fini desiderati, non per un fiat divino immediato. Le alternative evoluzionistiche erano ben comprese al tempo di Paley. Darwin fornì grandi quantità di prove e scoprì un meccanismo nuovo e plausibile, ma non fu certo lui a inventare il concetto. … Accetto i ragionamenti di Paley, e potrei essere addirittura tentato di prendere in considerazione le sue conclusioni se avesse davvero realizzato il suo obiettivo di confutare tutte le alternative logicamente possibili. Credo invece che egli abbia considerato e confutato solo tutte le potenziali alternative che poté concepire. … Paley si lasciò sfuggire una terza possibilità. … Questa terza alternativa può funzionare solo se si hanno grandi quantità di tempo da perdere e se non si è devoti all'idea che la natura debba essere efficiente e benevola.» 85 E conclude: «… L'unico elemento a favore di questa terza concezione – unica ragione per nominare qui un argomento così sgradevole – è il fatto curioso che, dopo tutto, la natura sembra operare proprio in questo modo. Nessuno ha mai definito elegante questo metodo, ma esso funziona. Noi chiamiamo questa terza concezione “selezione naturale” o darwinismo.» 86

Il secondo aspetto che Gould normalmente sottolinea, in ossequio a contenuti oramai canonici del pensiero evoluzionista moderno, è quello inerente alla valutazione complessiva delle dinamiche evolutive. Egli dimostra chiaramente come le stesse non possono essere minimamente definibili quale incessante progresso verso quelle specifiche forme di vita che, con il loro apparire, renderebbero in modo compiuto la finalità del processo evolutivo – nell'eventualità che esso venga inteso quale strumento di un eventuale progetto creativo divino. E questo è un secondo punto sicuramente nodale nell'ambito del presente dibattito.

Scrive Gould: «Sigmund Freud faceva spesso notare come le grandi rivoluzioni nella scienza abbiano una caratteristica comune, carica d'ironia: demoliscono tutti quei piedistalli su cui l'umanità si è posta, convinta della propria importanza. Nei tre esempi che Freud riferiva, Copernico spostò la nostra collocazione dal centro dell'universo alla periferia; Darwin ci relegò poi a una «discendenza dal mondo animale»; infine (in una delle affermazioni meno modeste della storia del pensiero), lo stesso Freud scoprì l'inconscio e distrusse il mito di una mente completamente razionale.

In questo senso saggio e decisivo, la rivoluzione darwiniana rimase dolorosamente incompleta perché, anche se l'umanità accetta l'evoluzione come un fatto, la maggior parte di noi ancora non è disposta ad abbandonare la confortante idea che evoluzione significhi (o perlomeno non possa avvenire senza) progresso, il che rende la comparsa di qualcosa come la coscienza umana pressoché inevitabile, o perlomeno prevedibile. Il piedistallo non verrà infranto fino a quando non abbandoneremo, come principi fondamentali, il progresso e lo sviluppo di una complessità sempre maggiore, e cominceremo a tenere in considerazione la possibilità tutt'altro che remota che Homo sapiens sia solamente un minuscolo ramoscello tardivo di quell'enorme cespuglio arboreo che è la vita: una piccola gemma che, quasi certamente, non riuscirebbe a comparire una seconda volta se si potesse ripiantare il cespuglio partendo dal seme e lasciarlo crescere di nuovo.» 87

In merito a questo aspetto si possono citare altri significative affermazioni di Gould anche nel suo ultimo, controverso libro: I pilastri del tempo.88

In esso Gould riprende ulteriormente delle riflessioni di Darwin per ribadire, ricorrendo ad esempi come quello di un uomo ucciso accidentalmente da un fulmine o la nascita di un bambino con gravi carenze mentali, l'eventualità di sostenere che ciascuno di questi casi possa essere spiegato in termini naturali casuali e non debba minimamente essere inteso come «… evento previsto in un universo deterministico, né un significato morale voluto dall'onnipotenza divina. A questo punto…» continua Gould «… chi crede nel vecchio ordine delle cose e preferisce vedere la presenza di Dio negli avvenimenti … potrebbe obiettare: “D'accordo, Dio non si occupa di destini individuali e lascia questo spazio all'antica dottrina del ‘libero arbitrio', però di certo controlla schemi generali più ampi per fini morali. Può consentire che la nascita di un individuo avvenga fuori dal suo controllo, ma non trascurerà mai la nascita di un'intera specie, tanto meno quella dell'Homo sapiens, la pupilla dei suoi occhi, l'incarnazione della sua immagine, l'ultimo fine di ciò che è avvenuto prima”.

Darwin… si prepara ora a colpire il bersaglio. Se un singolo bambino è soltanto un individuo in una popolazione di esseri umani, perché mai una singola specie dovrebbe considerarsi qualcosa di più di un individuo tra tutte le specie terrestri nell'intero arco di tempo geologico? E perché mai l'Homo sapiens dovrebbe essere considerato un fine generale, quando il Pharkidonotus percarinatus (uno dei miei prediletti serpenti fossili, e non un nome di mia invenzione), che è vissuto per un periodo di tempo molto più lungo con una popolazione decisamente più numerosa, è visto soltanto come accidente storico? Che cosa, se non la nostra pericolosa e ingiustificata arroganza, potrebbe permetterci di considerare questo status preferenziale per una specie tra le centinaia di milioni che hanno allietato la storia del nostro pianeta? Pertanto, l'esistenza umana dev'essere giudicata anch'essa «un particolare… lasciato all'elaborazione di ciò che possiamo chiamare caso». E come abbiamo già convenuto nel caso dell'uomo ucciso dal fulmine e del bambino nato con una grave carenza mentale, questi particolari non possono contenere messaggi morali o rivelare significati ultimi. Come scrive Darwin, «non vedo motivo per cui un uomo, o un altro animale, non possa essere stato prodotto originariamente secondo altre leggi».» 89

Come accennato, un aspetto altrettanto canonico del pensiero di Gould è il suo netto dissenso verso le tesi sostenuto dal momento creazionista – chiariremo immediatamente la particolare accezione attribuita da Gould a questo termine nel suo lavoro – allorquando scrive: «Come dato di fatto, e non per necessità logica, gli attivisti del movimento creazionista sono stati anche fondamentalisti della teoria della “giovane Terra”, convinti che la Bibbia dev'essere letteralmente vera, che la terra non può avere più di diecimila anni d'età e che Dio ha creato tutte le specie separatamente, ex nihilo, in sei giorni di ventiquattr'ore. Costoro compiono poi un ultimo atto di arroganza (o forse semplicemente d'ignoranza) assimilando le loro marginali asserzioni, oramai da tempo screditate, nell'intera sfera della “religione”… Sono assolutamente certo che si sbagliano in quanto all'età della Terra e alla storia della vita, ma sarei ben lieto di discuterne con qualsiasi sostenitore di queste opinioni, purché di aperte vedute (anche se è merce rara all'interno di questo movimento)…. In altre parole, la nostra battaglia con il creazionismo è politica e specifica, nient'affatto religiosa, e nemmeno intellettuale nel senso proprio della parola. (Mi dispiace essere così severo, ma il creazionismo della “giovane Terra” non presenta nessun merito intellettuale che mi sia riuscito di riconoscere, ma soltanto un guazzabuglio di asserzioni propriamente giudicate dal magistero della scienza e definitivamente smentite più di un secolo fa.)» 90

In conclusione, quel che si vorrebbe mettere in evidenza è la possibilità di osservare in Gould, specialmente scorrendo il suo ultimo libro, un'apertura che, seppur chiaramente criticabile nei suoi contenuti nei confronti del tema scienza/fede, o se vogliamo scienza/religioni, risulta molto significativa dal punto di vista personale. Questa traccia, al di là del dissenso nei contenuti formali della sua proposta, rende estremamente interessante ed articolato il suo profilo intellettuale, in particolare ricordando come questa sua valutazione venga sempre e comunque affiancata dal suo ruolo di strenuo oppositore delle ipotesi creazionistiche. Nel suo lavoro Gould addirittura sottolinea – pur ribadendo, come abbiamo visto, l'impossibilità di una percezione della natura capace di generare sia interpretazioni morali che le visioni teleologiche richieste da certe dottrine religiose – una disposizione sostanziale possibilista, positiva verso una interpretazione di tipo teistico!

È notevole notare questo carattere in una personalità come quella di Gould: carattere che sicuramente è risultato inedito, e forse che può apparire anche problematico per i suoi lettori ed estimatori! In I pilastri del tempo egli propone il rispetto di una sorta di separazione degli ambiti e delle modalità interpretative ed operative della scienza, da un lato, e della religione, o della fede, dall'altro, proponendo l'esistenza di due veri e propri Magisteri. Il Magistero della scienza e il Magistero della fede e, come corollario, l'esistenza – o se vogliamo la necessità – di un principio di non sovrapposizione dei due Magisteri (principio dei “ Magisteri Non Sovrapposti ” – MNS – ). Ovvero, un principio operativo secondo il quale gli ambiti di analisi e di validità delle asserzioni di ciascun Ministero dovrebbero non essere sovrapposti gli uni con gli altri.

Premetto di non essere affatto d'accordo con questa proposta, nella quale, in realtà, Gould non si fa altro che riprendere qualcosa che è già stato anteriormente definito filosoficamente ed epistemologicamente da altri autori, con ben altri contenuti, ma non ci si può esimere dal riconoscere una disposizione dell'autore sicuramente interessante, mai espressa con un taglio così esplicito nelle passate pubblicazioni. Questa uscita di Gould sul MNS potrà anche suonare a scandalo per chi nei precedenti lavori aveva potuto riconoscere in Gould l'autore che ha veicolato ed espresso l'opposizione più netta e caustica verso qualsiasi atteggiamento oscurantistico od opzione creazionistica. Ma valutando ciò con attenzione si può cogliere nel Gould persona una singolare espressione di istanze solo apparentemente in opposizione. E questa particolare disposizione rappresenta, per gli intenti del nostro discorso, una testimonianza, sicuramente autorevole, che ci gratifica ulteriormente in merito a quanto oramai si stà per proporre, alla stessa stregua di quanto già abbiamo visto con Albert Einstein e le sue concezioni.

Un ulteriore buon viatico nei nostri intenti dunque.

 

Note

57 Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo, n. 5 e n.7.

58 Carlo Molari in A.A. V.V., Creazione e male del cosmo, Associazione Teologica Italiana, Studio teologico fiorentino, Messaggero, Padova, 1995. pp. 112-116.

59 Carlo Molari in [1995], op. cit.,. pp. 113-117.

60 Roberto Verolini, Scenari teleonomici nei paradigmi scientifici moderni. Nuova civiltà delle macchine, anno XV, n° 1-4 (57-60), Gennaio/Dicembre 1997, Ed. RAI-ERI, Roma, 1998, pp. 297-319.

61 Roberto Verolini, Petrelli Fabio, A new creative paradigm: chaos and freedom, Analecta Hussleriana, Kluwer Academic Publishers, Netherlands, 1999, LIX, pp. 83-114.

62 Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria ed. Vaticana Città del Vaticano, Roma, 1992, p. 12.

63 Catechismo della Chiesa Cattolica, [1992], op. cit., p. 14.

64 Verolini Roberto, Petrelli Fabio, [1994], op. cit., pp. 103-105.

65 Roberto Verolini, [1999], op. cit..

66 Catechismo della Chiesa Cattolica, [1992], op. cit., pp. 104-118.

67 Verolini Roberto, Petrelli Fabio, [1994], op. cit.

68 Roberto Verolini, [1999] op. cit.

69 Verolini Roberto, Petrelli Fabio, [1994], op. cit., p. 103.

70 Catechismo della Chiesa Cattolica, [1992], op. cit., p. 12.

71 Catechismo della Chiesa Cattolica, [1992], op. cit., p. 14.

72 Verolini Roberto, Petrelli Fabio, [1994], op. cit., p. 109.

73 Testa Bappenehim, Italo Lampugnani Francesco, Bibbia ed antropologia, Sardini F., Brescia, 1976, pp. 88-89.

74 Karl Rahner, [1969], op. cit. pp. 232-234.

75 Karl Rahner, [1969], op. cit. pp. 187-198.

76 Ad essere precisi, e forse anche pignolo, rispettivamente (1992-33)/(1996-33) =0,9979623025981 e (1992-1563)/(1996-1563) =0,9907621247113

77 Le Scienze I grandi della scienza n° 4: Darwin. Una vita per un'idea, la teoria dell'evoluzione. di Barbera Continenza. Luglio 2000 pp.82-83.

78 John C. Greene, [1984], op. cit. p. 348.

79 John Horgan, La fine della scienza, Adelphi, Milano, 1998, p. 185.

80 Richard Dawkins, La natura: un universo di indifferenza, Le Scienze n. 329, gennaio 1996. pp. 56-61.

81 Niles Eldredge, Ripensare Darwin. Il dibattito alla Tavola Alta dell'evoluzione, Einaudi, 1999.

82 William Paley, Natural Theolog: or, evudences of the existence and attributes of the deity, collected from the apparances of nature, E. Palder ed. Londra 1802.

83 Stephen J. Gould, Otto piccoli porcellini, Bompiani, Milano, 1994, pp. 159-161.

84 Stephen J. Gould, [1994], op. cit., pp. 162-163.

85 Stephen J. Gould, [1994], op. cit., pp. 162-165.

86 Stephen J. Gould, [1994], op. cit., p. 165.

87 Stephen J. Gould, L'evoluzione della vita sulla terra, Le Scienze n. 316, dicembre 1994, p. 72.

88 Stephen Jay Gould, I Pilastri del tempo. Sulla presunta inconciliabilità tra fede e scienza, Il Saggiatore, Firenze, 2000.

89 Stephen Jay Gould, [2000], op. cit. pp. 186-188.

90 Stephen Jay Gould, [2000] op. cit., pp. 118-119.

 

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