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•  Una teologia scientificamente corretta. Una prospettiva epistemologica.

È giunto allora il tempo di esporre in maggior dettaglio quanto accennato sopra. Non staremo a ripercorrere tutta la dimostrazione fatta a suo tempo su «Il Dio laico: caos e libertà», a cui dunque si rimanda per un maggior approfondimento. Richiameremo qui solo gli aspetti essenziali dello stesso, specialmente quelli più pertinenti alla questione in oggetto.

La distinzione tra teoetotomie e religioni è fondata sul fatto che nelle prime la divinità emana leggi etiche che l'individuo deve rispettare nel corso dell'esistenza terrena, pena una serie di conseguenze tali da far sì che eventuali infrazioni vengano punite dalla divinità con castighi, espiazioni etc. da subire o scontarsi o nella vita mondana o nell'oltretomba.

La dicotomia teoetotomie/religioni ci permette di formulare una ricostruzione dell'evoluzione di questi sistemi, in cui trovano posto dei processi di sostituzione e/o genesi di inedite strutture religiose contemporaneamente a trasformazioni degli edifici socio culturali. Si badi bene però: queste trasformazioni non vengono proposte in prima battuta derivandole da un mero confronto logico filosofico tra distinti contenuti teologici collocati in un sedicente itinerario di evoluzione religiosa formulato a bella posta, quanto dagli effettivi riscontri che provengono dallo studio delle diverse realtà socio culturali ed economiche ad essi sottese. Come stanno infatti dimostrare tutte le testimonianze etnologiche e sociologiche in nostro possesso, non possono essere aspetti meramente teologici a permetterci di ricostruire le autentiche dinamiche evolutive rintracciabili nella storia delle società umane, quanto fattori socio culturali ben distinti e radicalmente più concreti, e per questo, grazie a Dio, verificabili. Questa opportunità di verifica garantisce l'aggancio probante della nostra ricostruzione storico evolutiva ad un'estesa base di riscontri empirici.

Il fatto notevole è però che tale ricostruzione, prettamente sociologica ed antropologica, riesce ad esprimere una sostanziale concordanza con quanto possiamo affermare procedendo nel versante eminentemente logico filosofico e teologico, ovvero nella valutazione formale delle diverse strutture religiose in cui quelle istanze si trovano cristallizzate, sacralizzate. Ne deriva una ricostruzione che pone una duplice concordanza: innanzi tutto gode del sostegno di una estesa verifica etnologica, che traccia una dinamica evolutiva ben determinata e verificabile, in cui è possibile stabilire vere e proprie tappe di evoluzione socio economica. Dall'altro il fatto che procedendo nell'analisi filosofico teologica possiamo giungere indipendentemente da quei riscontri ad una differenziazione formale dei vari sistemi religiosi in cui si esprimono in modo netto transizioni evolutive, salti qualitativi, dunque implicazioni fortemente corrispondenti con quel che riscontriamo nell'analisi etnologico culturale. In conclusione: nei due ambiti di analisi si possono tracciare dinamiche, assolutamente indipendenti tra di loro ma fortemente concordanti l'una all'altra. Un fenomeno di convergenza certamente significativo.

Il risultato è che questa evidenza ci autorizza a proporre, ogni volta che osserviamo nella sfera socio culturale l'avvenire di una trasformazione delle modalità socio economiche di conduzione e strutturazione del tessuto sociale, una parallela trasformazione nella struttura teologica delle credenze religiose. E questo è il nocciolo dell'intera nostra proposta. Una duplice transizione dunque che si connette vicendevolmente e contestualmente, tramite influenze che si esprimono non solo a livello socio culturale ma anche a livello psicologico: tutto questo delinea dunque l'eventualità di un fenomeno autoreferente, di boot-strap di tipo socio psicologico.

Tutto questo ci permette in definitiva di sostenere che le specifiche istanze che dovrebbero ad esempio tipicamente animare l'operato dell'individuo medio di una società classista – per inciso, società che rappresenta la base socio culturale più idonea a sorreggere un edificio teoetotomistico – vanno ad emergere con vigore proprio in concomitanza – o probabilmente in conseguenza – di una transizione, sulle prime eminentemente filosofica, da un contesto religioso ad uno teoetotomistico. Queste continue e reciproche mediazioni sono dunque espressione ultima, piena e totale, gestaltica, della concomitanza delle due trasformazioni. In concomitanza con il passaggio da società pre-classiste a società classiste, assistiamo alla parallela transizione da strutture religiose a strutture teoetotomistiche; un fatto evidenziato con dovizia di particolari nella nostra documentazione storica. Od altrimenti, come abbiamo mostrato nei lavori precedenti: la transizione da strutture religiose a strutture teoetotomistiche sembra porsi addirittura quale fattore principale tramite il quale si avvierebbe la trasformazione da società pre-classiste a società classiste.

Dunque si afferma la seguente dinamica: dalla formulazione di una nuova concezione teologica – che, si badi bene, non risulta essere in sé un'evoluzione delle precedenti modalità, sovente antitetiche a quest'ultima, quanto una vera e propria innovazione filosofica, o se vogliamo una mutazione teologico culturale che rompe radicalmente ogni connessione con il passato – deriva tutta una serie di complesse istanze che si riversa progressivamente nel tessuto sociale, catalizzando una trasformazione estesa, complessiva dello stesso, così da dare origine ad una transizione profonda verso un'inedita realtà socio economica che a sua volta esprime estese influenze nell'ambito psico sociale. Un vero e proprio passaggio da un versante all'altro di quella sorta di spartiacque che si ha tra due distinte modalità socio economiche e culturali; una repentina transizione da un dato baricentro socio culturale ed economico ad un altro a quello antitetico. Nella fattispecie una transizione religioni=>teoetotomie a cui ricondurre la transizione società a-classista=>società classista.

Ecco dunque emergere dalle pieghe più recondite dell'istituto teologico di una data società il «... motore di questa fondamentale trasformazione che culminerebbe nella costituzione dello Stato...» che Pierre Clastres non riusciva a scorgere, rintracciare; ecco dunque il «... formidabile avvenimento...» la «... rivoluzione...» ideologica che «... lasciò sorgere la figura del Despota, di colui che comanda e coloro che obbediscono...» il «... germe dell'oppressione, lo Stato...», la molla che, d'un tratto, fa sì che l'individuo provi, pur senza provenire da alcuna esperienza anteriore «... il desiderio di fare, di possedere, di apparire più del suo vicino.» 100 Una mera trasformazione – dapprima filosoficamente espressa in un'idea, poi in un'ideologia evidentemente affermata e cristallizzata nel tessuto socio economico e politico – in cui possiamo cogliere antropologicamente, sicuramente nell'ambito della nostra specie biologica Homo sapiens sapiens, il passaggio – questa volta non biologico, ma eminentemente culturale, lamarckiano – tra la specie culturale dell' Homo sapiens sapiens religiosus alla specie culturale di Homo sapiens sapiens teoetotomisticus.

Abbiamo diffusamente analizzato nei lavori precedenti le modalità con cui tale transizione culturale si sia potuta manifestare, ed i fattori coinvolti. Si vuol sottolineare come, nel far questo, non sia stato necessario proporre alcun modello esplicativo inedito, quando riprendere una tra le più riconosciute idee dell'antropologia culturale, l'esistenza di determinate correlazioni tra istituzioni socio economiche e politiche e modelli teistici, sulle orme di Max Weber tanto per citare uno dei maggiori autori, e poi limitarsi sostanzialmente ad una loro applicazione ed analisi filosofico formale soltanto più ampia e circostanziata di quanto fatto sinora.

Le considerazioni che emergono da questa nuova applicazione presentano una caratteristica interessantissima. Questo inedito approccio fa emergere, pur procedendo da analisi completamente autonome ed un'accettazione filosofica dell'opzione teistica – ovviamente ci si stà riferendo alle religioni –, una sconcertante concordanza tra aspetti formali tipici dei modelli religiosi ed alcuni essenziali contenuti del classico pensiero laico. Nella fattispecie, la diversa prospettiva in cui il tema è inquadrato, il particolare contenuto filosofico, antropologico, etico veicolato nelle religioni, permettono di cogliere nelle stesse un'opposizione netta e decisiva con i modelli teoetotomistici; opposizione in cui possiamo ritrovare espressi addirittura frammenti tra i più significativi delle classiche critiche formulate alle teoetotomie – nel loro essere intese come espressioni di riferimento del teismo – da due dei maggiori esponenti del polo ateo: Karl Marx e Sigmund Freud. Beninteso, questa convergenza è posta nei confronti di una valutazione aggiornata, riveduta e corretta del pensiero proprio di questi autori, ma soprattutto, e questo è ancor più significativo, in una collocazione questa volta non più atea o se vogliamo agnostica, bensì perfettamente teistica: ovvero religiosa.

Nella storia del genere umano possiamo dunque collocare vari eventi di tal fatta, che possono essersi originati più o meno progressivamente in varie modalità e/o aree geografiche – probabilmente tra quelle più capaci di sopportare, sotto il profilo delle risorse ecologiche, i ben più intensi ritmi di crescita di questi nuovi sistemi sociali. Da questi eventi iniziali prende allora il via un fenomeno nuovo: l'affermarsi di consorzi sociali ad economia socio politica stratificata, gerarchica, centralizzata a favore di élite di potere a fondamento teocratico teoetotomistico. E di questo evento abbiamo tracce inconfutabili e ridondanti a partire dal Neolitico, specialmente in quell'area medio orientale bagnata dai fiumi Tigri ed Eufrate: quella mezzaluna fertile considerata, a giudizio unanime di tutti gli studiosi, culla delle prime società urbane, statuali della storia moderna della specie umana.

È in questo sito geografico ed a questi orizzonti storici che sembrerebbero aver avuto origine le culture di tipo moderno. Inizialmente fondate sull'agricoltura e l'allevamento più o meno intensivi e su sistemi a potere centralizzato di classe, teocratico militari, tramite questi modelli sociali l'uomo approdò a quel tipo di società classista, urbana, gerarchica che ancor oggi troviamo diffusa in tutto il globo con sostanziali somiglianze di fondo – malgrado l'inevitabile evoluzione sociale culturale e tecnologica avutasi nei secoli. Ed è allora qui che dobbiamo andare a cercare di capire i fenomeni ed i fattori che diedero origine e fondamento alle problematiche ed istanze che ancor oggi caratterizzano la nostra quotidianità, la nostra realtà sociale, politica ed economica – e che segnano ancora, spesso tragicamente, la vita della maggior parte della popolazione mondiale attuale. Ed è a nostro avviso molto significativo che proprio qui, in questo ambito, vediamo affermarsi con vigore le prime forme teoetotomistiche.

Vediamo dunque emergere in questi lidi e in questi orizzonti cronologici quell'inedita, cruenta sinergia tra teismo e potere sociale che riscontriamo costantemente nelle società storiche della terra. Ecco dunque il grimaldello che farà saltare il vecchio sistema sociale religioso, democratico e pre-classista delle società umane anteriori per affermare la nuova cruenta realtà teoetotomistica, teocratica, centralista, autoritaristica. La spiegazione veicolata dalla distinzione teoetotomie/religioni – in relazione alle due diverse modalità sociali – si esprime qui in pieno.

Possiamo allora porre una ricostruzione generale delle tappe più fondamentali dell'evoluzione del sacro – e della parallele trasformazioni dei vari tessuti sociali – proponendo due momenti fondamentali dell'approccio dell'uomo al sacro. Abbiamo dapprima un sostanziale approccio originale al sacro, che l'umanità sperimentò essenzialmente tramite la formulazione di credenze concentrate su una polarità religiosa. Questo sembra essere avvenuto in ere preistoriche assai lontane, in cui si dovrebbe collocare quell'ideale spartiacque che, segnando l'approccio intellettuale dell'uomo al sacro, distinguerebbe sostanzialmente una fase pre-religiosa, anteriore, da quella religiosa, successiva, della storia dell'uomo sulla terra.


Fig. 1.1

Orientativamente possiamo quindi stabilire che, comunque sia, questo sembrerebbe già di molto realizzato a partire dai 50.000 – 40.000 anni or sono. A questa fase religiosa iniziale, che potremmo chiamare religiosa pre-teologica – o delle religioni minimali a-teologiche, in cui non si contemplerebbero concezioni di vere e proprie divinità ma solo credenze inerenti una eventuale possibilità di esistenza dell'individuo oltre la morte –, farebbe seguito una ulteriore fase, in cui si realizzerebbero affinamenti tali da giungere all'inclusione dei concetti della divinità nei precedenti edifici religiosi minimali – dunque alle religioni vere e proprie. Tale fase si sarebbe trascinata sino al neolitico, quando assistiamo all'emersione di una ulteriore modalità teologica, la teoetotomia, parallelamente all'emersione delle nuove culture classiste urbane. Un'evoluzione dunque di cui si è tracciato un profilo complessivo nella fig. 1.1.

In questa figura vediamo come, in concomitanza della sostituzione di modelli religiosi con modelli teoetotomistici, si passi da concezioni teologiche in cui l'individuo vedeva sacralizzato il proprio diritto ad esprimere la propria autonomia etica – anche al cospetto della divinità –, a modelli teologici in cui l'individuo viene collocato in una nuova condizione ontologica nel suo rapporto con il sacro. Modelli questi in cui diventa subordinato eticamente alla divinità o, più precisamente, si viene a trovare nella situazione di dover obbedienza ai precetti emanati dalla divinità pena la possibilità di incorrere, in caso di infrazione, in castighi, punizioni e stati d'impurità di vario genere e non per ultimo, di veder condizionata la qualità della sua eventuale vita d'oltretomba a seguito di un irrimediabile giudizio divino.

A questa transizione fa da sfondo la parallela trasformazione della struttura sociale della società: da società pre-classiste religiose, dove non poteva essere attuata su base teologica alcuna autorità da parte di una qualche minoranza sull'individuo a società classiste teocratiche, la cui dottrina teoetotomistica affermava con vigore la spoliazione etica di un individuo subordinato alla divinità – ed ovviamente all'élite clericale che la rappresentava a livello mondano.

È ovvio il deterrente socio politico che tale nuova concezione teologica poté rappresentare per le classi clericali, che spesso, specialmente nelle prime forme di aggregazione statuali e classiste, coincisero con l'élite di governo delle teocrazie teoetotomistiche. È inevitabile a questo punto il riferimento inedito nei suoi contenuti a Marx ed alle sue concezioni di religione=oppio dei popoli. Un riferimento a Marx che denuncia tuttavia un importante, decisivo distinguo rispetto il pensiero di quest'autore. Come già dimostrato, la suddivisione tra teoetotomie e religioni riduce in realtà la critica marxista ad un livello molto più circostanziato del teismo confutando, con il ricorso ad osservazioni etnologico antropologiche e palentologiche, le concezioni marxiste relative al fatto che il sentimento sacro non possa derivare da spontanee speculazioni filosofiche dell'individuo ma solo ed esclusivamente dall'affermarsi di determinate strutture sociali. Questa confutazione è molto importante. Infatti ponendo un'interpretazione teorica decisamente alternativa a questa infondata affermazione marxista – poggiando su evidenze antropologico etnologiche contrarie a questa ipotesi – si è in grado di confinare opportunamente le successive considerazioni marxiste sulla natura profonda dell'esperienza religiosa. Le religioni esprimono innanzi tutto contenuti formali e teologici nettamente distinti dalle teoetotomie proprio in quegli aspetti che Marx metteva al centro della sua profonda critica.

In particolare non esiste nelle religioni tutta quella serie di connessioni tra agire mondano e ricompensa ultraterrena che, secondo Marx, rappresentava il nocciolo psicologico dell'approccio alienante a tali credenze dell'individuo posto in una struttura di classe. Ma ancor più le religioni si qualificano per il loro essere tipiche delle società pre-classiste e non delle società classiste a cui Marx attribuiva l'origine fondamentale del sentimento sacro dell'uomo. Questo fatto, supportato da notevoli evidenze etnologiche, implica che la distinzione tra religioni e teoetotomie conduce ad una radicale revisione del pensiero marxista su questo importante punto, ovvero sull'origine tout court dell'idea del sacro, che non è da ricondurre all'affermarsi delle prime società classiste, essendo il concetto di teologia e divinità religiose proprio di società anche anteriori – ed eminentemente pre-classiste. Con questa distinzione si pone dunque una obiezione decisiva ed una smentita radicale a tutte le infondate ipotesi fatte successivamente da autori di formazione marxista, tese ad esempio a screditare le ipotesi di credenza nell'oltretomba che possono essere avanzate in merito ai più antichi siti funebri paleolitici – a motivo del fatto che in quelle epoche non si sarebbero ancora affermate le prime società classiste.

Ma la distinzione proposta va oltre a questo risultato, poiché mette in evidenza caratteri ulteriori dei distinti edifici teologici, alla luce dei quali, restando totalmente valide le osservazioni di Marx in merito alle relazioni esistenti tra struttura socio economica e modello religioso, si è in grado di evidenziare un'ulteriore e più circostanziata accezione della critica marxista. Infatti è facilmente comprensibile come la critica di questo autore resti pienamente valida quale critica delle teoetotomie.

O meglio: la critica marxista è valida solo ed esclusivamente in merito al fatto che non sono le credenza nell'oltretomba, in una divinità creatrice a procedere dalla particolare struttura socio economica di una data società, in particolare dalla sua struttura di classe, quanto l'idea di subordinazione etica, di supremazia morale della divinità espressi, ovviamente, nel concetto – prettamente teoetotomistico – di peccato. Questi sono gli unici aspetti connessi ad una struttura di classe, non la mera ipotesi di una vita d'oltretomba o dell'esistenza di un Dio creatore.

È l'esistenza di un Dio morale, della sua azione censoria e del concetto di subordinazione etica dell'uomo davanti ad un Dio giudice ad essere correlate a tali modalità socio culturali; è il concetto di peccato, di una vita mondana in cui prestare obbedienza a precetti sacri al fine di guadagnarsi un paradiso nell'oltretomba, che costituiscono un'alienazione piena ed irrimediabile della dignità umana ad essere connesso con le società classiste. Ma ancor di più: è possibile sostenere che queste non sono «conseguenze» dell'affermazione di una società classista, quanto loro presupposti ideologici irrinunciabili. Qui si nota in pieno una delle profonde distorsioni che l'identificazione dei modelli teoetotomistici, ovviamente nelle vesti del cattolicesimo, come prototipi dell'ideale religioso ha introdotto nell'intera discussione.

In sintesi, Marx ha condotto una critica che risulterebbe assolutamente inappuntabile per quel che riguarda i contenuti ideologici, alienanti di dottrine come il cattolicesimo, il protestantesimo e via dicendo. Al contrario non è minimamente sostenibile quale negazione del fatto tout court che l'uomo possa giungere al concetto di Dio, di creazione, dell'oltretomba in modo indipendentemente da tale fattore. L'origine del sacro nell'uomo non è in definitiva minimamente subordinata alla presenza de specifiche condizioni socio economiche nelle modalità descritte da Marx. L'idea del sacro può perfettamente sorgere in società preclassiste. E questo fatto è infatti debitamente dimostrato dalle ricerche paleoetnologiche. La critica marxista allora è da ridimensionare e da riformulare. Essa risulta essere valida solo in relazione ai modelli teoetotomistici ed ai loro specifici contenuti: peccato, nozione di un Dio morale, subordinazione etica dell'uomo nei confronti di Dio, condizionamento dell'esistenza d'oltretomba alla condotta etica dell'individuo. I particolari contenuti critica marxista non sono da considerare diretti al teismo tout court.

Crolla allora l'inevitabile identificazione filosofica marxismo=ateismo. Non che Marx non si professasse ateo, né che il marxismo non ponesse esplicitamente questa identificazione. Nulla di tutto questo: il fatto è solo ed esclusivamente che il senso riveduto delle sue critiche, così come si va a delineare alla luce della presente proposta, non conduce più necessariamente a questa identificazione. Una critica marxista così definita è addirittura perfettamente condivisibile, teologicamente e filosoficamente, anche e soprattutto sotto il versante religioso, dunque teistico, visto che in questi sistemi si sostiene una teologia completamente antitetica.

Ecco allora l'implicazione clamorosa: le critiche marxiste non sono minimamente applicabili nei confronti dei modelli religiosi. È innanzi tutto dimostrabile che i sistemi religiosi sono diffusi in società preclassiste e che in essi non si esprime nessuno degli aspetti su cui Marx indirizzò la sua critica. Nessun baratto della felicità nell'aldilà nei confronti del presente, nessun tentativo di riappropriarsi nella vita d'oltretomba di quel che la struttura sociale sottrae in questa vita alle classi proletarie e così via. Non esiste nulla di questo nei modelli religiosi : nessuna alienazione, nessun asservimento, nessun commercio di infelicità ed obbedienza attuale per una qualche eventuale ricompensa futura nell'oltretomba, nessuna illusione: ergo nessun oppio dei popoli. E principalmente nessuna classe sociale che possa far suo, per fini politici, di governo, oppressivi, il meccanismo di condizionamento e subordinazione etica che altrove vediamo sacralizzati nelle dottrine teoetotomistiche. È quindi inevitabile la conclusione: Marx, identificando anche lui erroneamente la fede cattolica come prototipo di ideale teistico, ha altrettanto erroneamente esteso all'ideale teistico in sé le critiche che si possono – e si devono – avanzare nei confronti di alcune particolari forme di confessione religiosa: le teoetotomie. Un grave errore!

Le religioni non presentano alcun carattere o aspetto formale che possa essere oggetto della critica marxista. Anzi; uno degli aspetti più sconcertanti ed intriganti è che molti contenuti della critica dell'ateo Karl Marx alle teoetotomie risultano essere perfettamente affermati e sostenuti da chiunque voglia affrontare l'analisi, pur anche filosofica, di questo argomento disponendosi in un'accettazione dell'ottica religiosa : gli stessi fondamenti critici inerenti ad accezioni come la libertà e la dignità dell'individuo umano sono dunque affermati ed espressi filosoficamente e teologicamente all'interno dell'opzione teistica nei confronti della quale Marx aveva diretto la sua travisante ma troppo generica e superficiale critica. Beninteso: questo avviene solo nella modalità religiosa!

E si potrebbe andare anche oltre: si può facilmente osservare come anzi la modalità religiosa affermi filosoficamente e teologicamente lo stesso nocciolo etico che condusse Marx a riconoscere l'orrore dell'alienazione dell'individuo – ma questa volta, si noti, intendendo l'individuo in una accezione non atea, quanto perfettamente teistica - collocato nei sistemi teoetotomistici. Ecco una delle rivoluzionarie ed inedite implicazioni dell'introduzione di tale semplice, quanto efficace, significativa distinzione del polo teistico.

Ma non è finita: c'è un altro aspetto altrettanto rivoluzionario. Dopo Marx c'è il pensiero di un altro grande pensatore dell'area laica che si appresta ad assumere inedite valenze e significati alla luce dell'attuale proposta. Nei primi anni del 900 un'altra forte voce si levò a critica del – usiamo a questo punto un eufemismo – consueto concetto del sacro : quella di Sigmund Freud, il padre della psicanalisi. Se Marx aveva opposto la sua feroce e potente critica al consueto concetto del sacro muovendo dal versante socio economico e politico, da un'analisi dialettica, razionale, inusitata della struttura sociale ed economica della società, della ripartizione delle risorse e dei mezzi di produzione tra le classi sociali, Freud spostò l'interesse nei meandri e nei misteri della psiche, nella sfuggente complessità ed insondabile profondità dell'animo umano. Se Marx aveva indicato lo spettro alienante di Dio all' esterno dell'uomo, nella società, Freud osò altrettanto, o forse di più, giungendo a scorgere l'ombra irrazionale di Dio all' interno dell'uomo, laddove la nostra coscienza non sa entrare, e da cui anzi sembra dover emergere. Ecco la seconda scandalosa eresia.

Freud tratteggiò la psiche umana come distinta tra tre istanze: l'Es, l'Io ed il Super-Io. Un Es in cui venivano custodite pulsioni, desideri, passioni, esigenze, con cui si doveva confrontare l'Io, l'istanza che dovrebbe rappresentare l'aspetto conscio, consapevole e razionale del nostro essere. Ma l'Io doveva disporsi nei confronti dell'Es rimanendo all'ombra dell'altra istanza, il Super-Io, nel quale sembravano cristallizzarsi psichicamente tutte le norme etiche, tutti i valori morali dell'individuo. In senso lato diveniva l'espressione interiore della voce del Dio morale.

E fu proprio in quest'ultima istanza, nella sua origine e nel suo significato che Freud pensò di aver ritrovato il parallelo più interiore e sconvolgente dell'essenza pragmatica del consueto concetto del sacro: la norma etica, il concetto di bene e di male; in altre parole, l'ombra di quel Dio con cui l'individuo si confronta, coscientemente ed inconsciamente, per tutta la sua vita, nel corso di ogni gesto ed atto, in ogni frangente, dal suo emergere psichico sino alla morte.

È infatti nel Super-Io, secondo la teoria freudiana, che s'interiorizzano, intersecando profondamente con importantissime dinamiche sessuali su cui ora sorvoliamo, tutte le norme etiche ed i valori che l'individuo assume durante la sua formazione, sin dalla nascita, nel corso di importanti tappe di crescita psicologica. È lì che la religione, l'idea di Dio si insinuerebbe e si manifesterebbe. Ecco il ricettacolo dei valori di «bene» e «male» che il bambino, l'adolescente assume dai genitori, dai suoi educatori, dall'ambiente sociale; ecco il cuore delle dinamiche che il soggetto esprime, percepisce, attiva e subisce suo malgrado, cadendo in penose situazioni esistenziali, nel suo agire per tutta la vita.

In Freud sembra dunque chiudersi un cerchio opposto a quello che Marx aveva audacemente tracciato fuori dell'individuo, della sua razionalità e auto consapevolezza. Quel che l'acuta analisi dialettica marxista aveva posto oltre, al di fuori – nel più autentico senso letterale – dell'Io in cui l'individuo riconosce la propria persona, Freud lo precipitò anche lui oltre l'Io razionale dell'individuo. Ma questa volta l' oltre non era sinonimo di fuori. Era racchiuso nell'interno, al di dentro di noi, in un al di qua della nostra consapevolezza in cui il limite si richiudeva come un anello in rapporto al quale l'Io non era all'interno, ma flottava al di là, al di sopra. La critica marxista aveva disegnato un oltre l'Io teso verso la società, un infinito esterno; Freud indicò un «oltre» interiore, che delineava un altro infinito: ma un infinito interno, non per questo meno vasto ed insondabile, Un infinito che ciascuno di noi porta sempre, ineluttabilmente in sé.

Insieme a Marx, Freud dà dunque un ulteriore contributo alla de-sacralizzazione del sacro, del sentimento del sacro. O almeno questo hanno rappresentato tali autori di riferimento del polo laico, entrambi dichiaratamente atei. Ed è altresì ovvia questa loro dichiarazione, vista la natura delle loro analisi, delle loro ricerche e delle loro concezioni in merito all'universo religioso. Un'opposizione oltremodo ovvia, vista la radicale avversione delle loro conclusioni rispetto i contenuti teologici del cattolicesimo, che rappresentava ai loro occhi così perfettamente il consueto concetto del sacro, anzi il consueto, canonico e scontato concetto del sacro. Ed oltremodo ovvia ed inevitabile fu l'opposizione che gli stessi, e quanti si sono mossi nelle direzioni che costoro tracciarono, hanno all'inverso subito da chi, in modo altrettanto vigoroso, sosteneva i fondamenti dello stesso consueto concetto del sacro. Ecco alcuni dei profondi motivi che hanno principalmente definito l'impasse in cui il discorso si è svolto… e sconvolto in modo decisivo l'intera discussione.

Orbene, anche nei confronti del pensiero di quest'autore la distinzione tra teoetotomie e religioni risulta oltremodo feconda e le implicazioni della sua applicazione rivoluzionarie ed inaudite. La definizione di una teologia religiosa infatti compone un quadro in cui, sotto il profilo dello sviluppo psicologico dell'individuo, della formazione della sua personalità, non è minimamente presente nessuna delle istanze che le divinità morali affermano nelle teologie teoetotomistiche. Laddove la divinità teoetotomistica va ad esprimere, incidere le proprie volontà etiche, morali, in particolare nella strutturazione di un Super-Io spesso tragicamente e dolorosamente ipertrofico, lo stesso che Freud riscontrava ripetutamente nelle nevrosi dei suoi pazienti della cattolicissima Vienna del 900, le divinità religiose riescono a sottrarre perfettamente ogni loro influenza.

Lo stesso fondamento dell'etica religiosa, in cui la divinità non esprime alcuna censura morale nei confronti della creatura umana, la loro stessa base teologico cosmologica, impone a priori l'impossibilità teorica di dar luogo a quelle influenze che, al contrario, ogni divinità teoetotomistica, non importa in quale contesto ed in quale modalità, giunge obbligatoriamente, quasi per definizione, a sostenere.

È qui che si delinea in modo clamoroso la differenza sostanziale delle due distinte modalità. Lo sviluppo del Super-Io, aspetto che Freud intese quale universale dell'uomo, è in realtà un fenomeno che presenta teoricamente e praticamente un'ampia variabilità. È ovvio che un aspetto decisivo dello sviluppo di quest'istanza, in grado di giungere ad esprimere sull'individuo un'azione fortissima, spesso insopportabile, generando l'insorgenza di psico-patologie, nevrosi e psicosi dolorosissime, è rivestito dalla particolare natura delle istanze etiche che l'individuo interiorizza nel corso dell'apprendimento socio culturale. Abbiamo dunque, in funzione di sistemi teistici così differenti, tutta una serie di livelli di sviluppo del Super-Io, sviluppo che può verificarsi in modo tale da mostrare un ampio ventaglio di gradazioni, dando luogo ad una casistica in cui sicuramente alcune manifestazioni, specialmente quelle che conducono ad interiorizzazioni più profonde e nette degli aspetti etici ed ontologici di contesti etico repressivi particolarmente accentuati, conducono ad ipertrofie evidenti – diciamo fondamentalistiche – del Super-Io. Nella misura in cui questo avviene, a causa di tutte le connessioni tra questa istanza psichica e le altre, specialmente l'Es, l'individuo si trova scagliato in una situazione esistenziale sempre più alienante e dolorosa. Il Super-Io giunge infatti in molti casi, debitamente evidenziati dalla ricerca psichiatrica, ad ergersi come intollerante censore delle spinte dell'Es, istanza questa che l'Io individuale comunque sperimenta e che si vede costretto a ricacciare lontano dalla coscienza per non subire le rivalse morali del Super-Io ed i conseguenti, devastanti sensi di colpa.

L'istanza del Super-Io che Freud intendeva normale ed universale deve dunque essere intesa come un aspetto dello sviluppo della psiche umana capace di esprimersi con ben diversi gradi di validità. Dunque in grado di avere un ruolo e un'estensione decisamente più variegate di quelle che lo stesso Freud intendeva. Specialmente a livello interculturale. Ora, andando ad analizzare lo sviluppo del Super-Io in relazione a diversi modelli religiosi, possiamo osservare, in particolare confrontando tra di loro teoetotomie e religioni, come il Super-Io può in realtà modellarsi sulla base di due fondamentali ed antitetiche opportunità.

Nelle teoetotomie esso assume il ruolo di un'espressione di precetti etici che entrano a far parte di una sfera del divino completamente al di fuori della portata del soggetto umano. L'individuo è allora costretto ad un confronto con precetti etici che sono, nella loro stessa definizione, perfettamente inaccessibili alla sua volontà, alla sua consapevolezza, alla sfera della sua volitività.

Nelle religioni questo non avviene. Nella misura in cui la divinità non entra in merito alla definizione di precetti etici questo vuoto etico risulta totalmente accessibile all'individuo: dunque gestibile. Ora, è da notare che nel Super-Io si manifestano delle profonde connessioni con la definizione dell'ideale dell'Io. Ovvero il Super-Io contribuisce alla definizione di quel profilo etico ed ontologico che esprime per il soggetto il significato di un sé ideale da raggiungere, a cui è spinto naturalmente, intrinsecamente, ad approdare.

È dunque immediato comprendere come nelle religioni, proprio per il fatto che la divinità non assume una funzione di censore etico, ovvero non veicola un'etica a cui l'individuo deve assoggettarsi, la definizione del Super-Io, e dunque la contemporanea definizione dell'ideale dell'Io, risultano divenire aspetti perfettamente accessibili all'individuo, alla sua volontà, consapevolezza, volitività, con tutto quel che ne consegue, specialmente alla luce del fatto che tutto questo è da intendere come gestibile, realizzabile anche e soprattutto in un contesto teistico!

Il risultato è che tale istanza del Super-Io non viene ad essere assolutizzata, né risulta inaccessibile ad una analisi anche critica da parte dell'individuo – non si dimentichi che pur essendo interiorizzata inconsapevolmente tale istanza è strutturata sulla base di principi logico filosofici, perfettamente accessibili alla consapevolezza ed all'analisi dello stesso –, né infine che tale Super-Io debba costituire un'istanza eternamente immutabile nel corso dell'esistenza. Questo vuol dire che l'individuo può essere nella condizione di procedere psicologicamente ad una revisione, addirittura ad una demolizione di eventuali aspetti momentaneamente ipertrofici dello stesso dovuti alla sua immaturità giovanile, in funzione della sua crescita etico intellettuale sino a raggiungere la fase adulta per eccellenza, in cui mettere in atto in modo pienamente consapevole e autonoma – sebbene limitata – la propria autonomia etica di creatura.

E questo è porsi, finalmente, come profetizzò Nietzsche in «L'Anticristo», ma chiaramente in contenuti, come vedremo, totalmente distinti, oltre, «… aldilà del bene e del male». 101

Nessuna norma etica, nessuna separazione teologica tra bene e male, nessuna «conoscenza del bene e male», ovvero nessuna formalizzazione etica di natura teologica di eventi da intendere come «bene» ed altri, di natura perfettamente complementare, da etichettare come «male», viene dunque ad essere affermata in un edificio religioso. Laddove le teoetotomie si accalcano per definire diversi e contingenti profili di «bene» e «male»; laddove le stesse si contrastano spessissimo violentemente per affermare i propri concetti di «bene» e «male» a livello planetario, universale, conducendo solo a orrori e lutti tra gli uomini, le religioni brillano nell'affermare questa totale mancanza, questo vuoto che non fa altro che riempire di significato e di libertà l'esistenza dell'individuo, di definire in modo univoco ed inconfondibile il senso e rilievo della sua dignità di creatura autonoma, libera, perfettamente e responsabilmente libera davanti a sé, davanti l'altro, davanti a Dio.

Ecco il senso profondo e tragico, ma suadente, pieno, perfettamente umano, inimitabile dell'antropologia e teologia che le religioni sanno esprimere nei confronti degli altri poli.

«Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo è dolce, e il mio carico leggero» (Mt 11, 29-30)

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Note

100 Pierre Clastres, La società contro lo stato. Ricerche di antropologia politica, Feltrinelli, Milano, p. 50.

101 Friedrich Nietzsche, Breviario, Rusconi Ed. Milano, 1993, p. 219.

 

 

Parte 7°                                                                                                                                  Back