Capitolo III°                   capitolo IV°                        Back   

Soffermiamoci ora su una delle più importanti e controverse teorie scientifiche attuali: la teoria dell’evoluzione. Vedremo come risolvere il problema posto dall’evoluzionismo alle odierne concezioni religiose, ed in particolare all’interpretazione biblica ortodossa sostenuta dalle odierne teoetotomie (A) – cattolicesimo, protestantesimo etc. –, ci permetterà di considerare con più fiducia i risultati della distinzione tra teoetotomie e religioni testé presentata. Vedremo anche qui infatti come questa distinzione possa risolvere con estrema chiarezza questo problema tutt’oggi irrisolto.
   
      Le principali polemiche sollevate dalla teoria evoluzionistica all’interpretazione biblica ortodossa derivano dal fatto che afferma l’esistenza di una fondamentale casualità nell’evoluzione biologica. Questo sembra sulle prime negare qualsiasi ipotesi di un progetto creativo divino che abbia come meta l’uomo: come potrebbero infatti i ciechi meccanismi evolutivi, sostanzialmente casuali e caotici, essere intesi come strumento capace di far emergere spontaneamente una determinata specie vivente (la specie umana) nella cornice di un proposito creativo? Come potrebbe scaturire questa meta da una serie infinita di eventi casuali, in grado ad ogni fase d’imboccare una miriade sconfinata di percorsi alternativi e quindi dare luogo a realtà assolutamente distinte – dove l’uomo non fosse presente? Dio si affida al caso? O, come disse Einstein: «Dio gioca a dadi»? Tale è il fondamentale problema sollevato dalla teoria evolutiva. E questa è stata la questione su cui si è sviluppata l’ultima, fortissima contrapposizione tra scienza e fede. La biologia e la genetica odierne hanno generalmente ribadito il fondamento casuale delle dinamiche evolutive, attizzando le roventi polemiche che emersero già al tempo della formulazione da parte di Charles Darwin della teoria dell’evoluzione. La controversia emerge inesorabile davanti alla constatazione di come l’emersione della vita sulla terra, ed in particolare dell’uomo, siano spiegate dalle scienze biologiche come fenomeni contingenti, intrinsecamente casuali. Nella sfera teologica la concezione evoluzionistica, negando qualsiasi ipotesi di determinismo a favore della casualità dei processi evolutivi, sembra intaccare l’immagine di un uomo inteso come vetta cosciente del creato, ed indirettamente il senso stesso del creato. Ogni discussione vertente sul problema dell’esistenza di Dio, sulla creazione, sulla natura stessa del creato, verte inevitabilmente sul problema della finalità del progetto creativo, indicato come teleologia. Questo ha generato una profondissima discussione in merito al ruolo dell’uomo nel creato ed al significato di creazione divina. Si può infatti ancora intendere l’essere umano quale prodotto finale di un superiore progetto creativo davanti a questa valenza casuale dei fenomeni evolutivi? Possiamo considerarci ancora creature elette della creazione, obiettivo finale in un disegno divino puntato espressamente sulla nostra esistenza?
   
      L’interpretazione scientifica delle dinamiche evolutive, è decisamente indeterministica, ovvero impedisce di pensare all’uomo come prodotto inevitabile dei processi evolutivi e ciò nega irrimediabilmente i contenuti del classico discorso teologico inerente la nostra apparizione sulla faccia della terra. Conti alla mano, si hanno meno probabilità che la specie Homo sapiens sapiens possa riemergere sulla faccia della Terra, nell’ipotesi di far ripetere di nuovo il processo evolutivo, che colpire una pallina da golf posta ai confini del sistema solare con un raggio laser puntato alla cieca dalla Terra. Siamo dunque enti viventi che emergono per caso, quali inutile accidente della natura, in un universo indifferente, o no? Ma se sì, come possiamo reputarci immagine e somiglianza di Dio nell’ipotesi di essere giunti per caso a questa somiglianza?
   
    È inoltre teologicamente proponibile questa visione così intrisa di casualità? O siamo nella situazione di dover forzatamente sostenere, se vogliamo far salva una ipotesi teistica, che le dinamiche evolutive debbano essere forzatamente finalizzate sull’uomo? Dobbiamo necessariamente intendere le stesse alla stessa stregua di quei teologi che, sulle orme di De Chardin, ipotizzano – molto a-scientificamente per la verità – un processo evolutivo su cui Dio attui una continua e diretta supervisione, incanalando ripetutamente e personalmente i fenomeni evolutivi verso la comparsa dell’uomo... o siamo, al contrario, alla mercé del fato, frutti di un caso inafferrabile, senza meta e fine in un universo indifferente al nostro essere, al nostro destino come sentenziò crudemente Jacques Monod? Come rispondere a questi interrogativi? C’è da dire che il loro senso non è solo inerente ad un improponibile confronto tra conoscenza scientifica e verità di fede, come solitamente si afferma. Essi sembrano in realtà sollecitare una enorme revisione intellettuale, che sinora non è stata mai condotta con strumenti idonei alla radicale valenza dei nuovi risultati scientifici. Qui si nasconde la maggiore difficoltà, e la più forte resistenza ad una nuova, efficace interpretazione di tali dinamiche, mentre è proprio a partire da un nuovo modo di vedere le cose che si può giungere ad una positiva risposta.
   
      Le ipotesi sull’origine dell’universo che si sostengono oramai stancamente, sono sostanzialmente due in tali discussioni: da un lato una concezione in cui le dinamiche evolutive vengono guidate verso una meta finale da una serie finita di interventi diretti da parte di Dio (ipotesi che indicheremo con DDF=determinazione divina finita) e dall’altro una concezione indeterministica ed evoluzionistica in cui non si considera alcun diretto intervento da parte di Dio (IE=indeterminismo evolutivo). Per esempio di ipotesi DDF possiamo ricordare che nelle ipotesi recenti avanzate da vati teologi per riuscire a mettere insieme la concezione evoluzionistica dell’uomo e l’interpretazione classica della Bibbia, si ricorre ad una forzatura evoluzione/creazionismo in cui si ammettono le dinamiche evolutive, ma con un Dio che interviene direttamente nei momenti topici dell’evoluzione per indirizzare prima il processo verso l’emersione dell’uomo e infine per infondere l’anima allo stesso. Proviamo ora ad inquadrare le concezioni DDF e IE nel quadro della divisione tra teoetotomie e religioni. Dinnanzi alla radice indeterministica dei processi evolutivi, concezione IE, i sistemi teologico cosmologici delle religioni e delle teoetotomie risultano parimenti equivalenti? Cioè, la concezione DDF è, ad esempio, identicamente associabile ai due diversi modelli, quello delle religioni e quello delle teoetotomie? Oppure si hanno vincoli che costringono ad associare a ciascuno modello teologico solo ed esclusivamente una particolare concezione cosmogonia e cosmologica? In questa seconda eventualità, se risultasse possibile sottoporre ad una verifica scientifica le concezioni DDF e IE, cosa possibile da fare visto che tali cosmologie esprimono delle proposizioni empiricamente verificabili, non sarebbe lecito estendere questa osservazione per verificare i relativi aspetti teologici? Con l’introduzione della divisione tra religioni e teoetotomie disponiamo di due alternative concezioni teologiche. Nella misura in cui queste distinte opzioni mostrino una necessaria o significativa associazione a ciascuna delle diverse concezioni cosmogoniche e cosmologiche DDF e IE, ci troveremo, citando Popper, nell’eventualità di sottoporre le due congetture ad una verifica scientifica? La risposta, come vedremo è affermativa e ciò implica che tale verifica potrà includere poi le rispettive valenze teologiche! Si prospetta dunque che la possibilità di condurre una discriminante scientifica tra due teologie alternative in funzione delle loro connessioni cosmologiche. Un evento che può far rivalutare totalmente millenari fondamenti del tema. La biologia evoluzionistica moderna, la genetica molecolare, svelando i fenomeni alla base dei processi evolutivi, come le modalità di trasmissione e duplicazione del DNA, il materiale genetico degli esseri viventi, ha assunto il caso come fonte importante delle dinamiche a cui è soggetto il mondo animato. È importante notare come questa casualità prenda le mosse essenzialmente dalle intrinseche caratteristiche caotiche, indeterministiche della sottostante realtà sub atomica e dalle leggi complesse che regolano i processi biologici. A sua volta la meccanica quantistica, teoria della fisica che ci ha mostrato la sorprendente realtà delle particelle del mondo subatomico, ci conduce ad ammettere che i livelli inferiori della natura siano assolutamente paradossali rispetto alla nostra logica macroscopica. Un fatto impressionante del mondo quantistico è la sua indeterminabilità, conosciuta come indeterminazione di Heisenberg che solo riduttivamente è stata intesa come mera impossibilità da parte dell’osservatore umano di una conoscenza sufficientemente precisa dei parametri fisici. Tale qualità risulterebbe invece ben più profonda, connaturata nella realtà naturale, non limitata cioè ad una nostra impossibilità di attingere informazioni su questi arcani livelli della realtà. Da questa considerazione si può allora avanzare l’ipotesi teologica che la natura sia stata addirittura volutamente creata così.  
         Questo fatto, sulle prime sorprendente, sembra rappresentare in realtà un’evidenza fondamentale, preziosissima, che nega il rigido determinismo della fisica classica ma nel contempo ci dona la consapevolezza profonda di una fonte di pura, autentica ed intrinseca casualità alla base inferiore della realtà naturale. Questa concezione rappresenta una pietra miliare dello sviluppo della conoscenza umana e risulta essere, alla luce di sviluppi teorici recentissimi, un modello interpretativo della fisica moderna che ha generato con il suo apparire innumerevoli e famose controversie. E a quanto pare sembrerebbe che il grande Einstein, quando parlò delle partite a dadi di Dio, fosse nel torto, forse distolto da una concezione teoetotomistica! E pensare come questo eccelso pensatore ci abbia donato aforismi squisiti quali «Dio è sottile ma non malizioso», spunto calzante sia per commentare questi tentativi che per valutare filosoficamente l’interpretazione che si sta qui delineando.
   
      La casualità che emergerebbe dalla dimensione quantistica non fa che inevitabilmente esprimersi ed amplificarsi nei livelli superiori, specialmente nel caso dei sistemi complessi, o caotici. Questi sistemi, detti anche sensibili alle condizioni iniziali, rappresentano la stragrande maggioranza dei fenomeni naturali. Ad esempio il moto di un fluido in un bicchiere, la circolazione atmosferica al di sopra di una determinata regione, le fluttuazioni di una popolazione di aringhe o le pulsazioni cardiache. Questi fenomeni si svolgono tramite dinamiche non lineari che amplificano irrimediabilmente anche le più piccole fluttuazioni iniziali dei relativi parametri di stato - da qui il cosiddetto effetto farfalla, secondo il quale una pur piccola farfalla che batta o meno le ali in una foresta del Sud America può nel breve futuro contribuire o meno a far scatenare una catena di eventi tali che, dopo qualche settimana, sopra Napoli potrà piovere o esserci bel tempo. Si pensi ad una molecola proteica, costituita da migliaia di atomi. L’indeterminazione che si riscontra già nella posizione spaziale degli elettroni che orbitano attorno al nucleo di ciascun atomo non può che amplificarsi in una catena sterminata di potenziali stati alternativi del sistema. Questa indeterminatezza poi si amplificherà, sempre per effetto farfalla, qualora si passi a considerare le fluttuazioni di tutte le molecole di una cellula, di tutte le cellule di un organismo; e poi di più organismi, di interi ecosistemi e corpi celesti, e così via, sino a includere galassie e l’intero universo, rendendo sempre più vaga e nebulosa l’evoluzione complessiva della realtà naturale. Sorprendentemente però, questa cascata caotica non conduce ad un mondo caotico, quanto ad un mondo altamente ordinato da rigorose leggi e da delicati equilibri, infinitamente complesso quanto intrinsecamente imprevedibile, in cui si rende possibile la nostra esistenza. L’intrinseca indeterminatezza inferiore si cristallizza infatti in una realtà superiore in cui si attuano dinamiche rigidamente deterministiche, estremamente ordinate e rigide: è come se continuamente dei vapori di probabilità, ovvero predisposizioni o potenzialità intrinseche della natura, sorgendo dalle dimensioni più inferiori si cristallizzino poi nella realtà superiore, macroscopica, nell’attimo di quel contingente presente, continuamente fuggente, che percepiamo con i nostri sensi ed in cui siamo immersi.
   
      È come se la realtà fosse strutturata su due livelli tra di loro compenetrati, che agiscono reciprocamente l’uno sull’altro, ma nello stesso tempo disaccoppiati casualmente da una soluzione di continuità, o cesura ontologica. Alla deterministica rigorosità dei livelli macroscopici fa da contrappunto una base caotica in cui si osserva una realtà strutturalmente e logicamente diversa. Si pensi, per inciso, quale risalto possono rivestire queste considerazioni a temi come il libero arbitrio! Ovviamente, nei processi evolutivi, che prendono le mosse da ricombinazioni casuali e mutazioni molecolari del materiale genetico, questa indeterminatezza non può che esprimersi a livelli sempre più ampi sin nella genesi delle specie. Una metafora di questa situazione è data dai comuni giochi d’azzardo: dalle smazzate iniziali del bridge, alla briscola quotidiana, dal lancio della pallina della roulette, al gioco dei dadi. Tutti giochi fondati su una indeterminabilità dlle condizioni di partenza a cui segue una rigorosa serie di regole che originano il fascino dei giochi d’azzardo. Tutte le trasformazioni del mondo vivente, dall’emersione di inediti individui mutanti di Drosophila, il moscerino prediletto dai genetisti nei loro esperimenti, sino all’origine ed estinzione delle specie viventi, risultano intrise di casualità, in balia di un cieco, bizzarro gioco della natura che non sembra seguire altro fine se non quello del suo mero essere. L’emersione di nuovi caratteri genetici ed il realizzarsi inavvertito ed incessante dei passaggi evolutivi che vanno a realizzare il processo di speciazione, ovvero dell’origine delle specie viventi, costituiscono fenomeni imprevedibili, innescati dal kháos che pervade i meccanismi naturali. I meccanismi biologici non sembrano però strumenti di un progetto rivolto verso una determinata forma vivente, in grado di compiere con il suo apparire il senso ultimo del fenomeno della vita. L’origine dell’uomo sulla faccia della terra, le sue particolarità somatiche e comportamentali, i colori di una farfalla tropicale o la terribile dentatura di un tirannosauro della fine del Cretaceo, rappresentano contingenti realizzazioni del mondo vivente che, pur nella loro prodigiosa bellezza, armonia ed efficacia, non risultano in alcun modo esser compimento di alcuna specifica predisposizione creativa. Nel mondo animato è possibile riconoscere soltanto l’opera di un possente polmone in grado d’insufflare variabilità genetica nelle forme viventi; una forza creativa incessante ed imprevedibile nelle sue manifestazioni che conduce, senza alcuna apparente finalità, all’emersione di caratteri, forme ed equilibri inediti nel mondo vivente. L’uomo non può allora essere inteso nelle sue peculiarità morfologiche ed esistenziali quale compimento ultimo del meccanismo evolutivo, dell’intera creazione.
   
      È infondato giustificare le mirabili creazioni naturali tramite l’operato di un alacre e Dio puntiglioso, onnipotente ed onnisciente, in grado di fornire alibi alle prodigiose strutture biologiche, alla bellezza ed armonia delle loro forme per mezzo dei suoi puntuali ed onniveggenti inter­venti. Queste ingerenze divine nell’ordine naturale delle cose (ipotesi DDF) sembrano goffe ed inopportune, sterili, e non meno superflue dinnanzi alla sufficienza che la natura esibisce nelle sue potenzialità. La complessità e la non linearità della stessa realtà naturale costringerebbero poi l’intervento divino non più nei termini di una economica supervisione delle dinamiche naturali.
         Non è possibile predisporre una dinamica evolutiva con pochi interventi essenziali, come ad esempio per «... dare il La» all’origine della vita o all’emersione della specie uomo tramite pochi ma fondati interventi. La natura caotica, non lineare delle dinamiche in gioco renderebbe assolutamente vane, dinnanzi all’influenza continua di infiniti fattori di turbamento, tali sporadiche correzioni di rotta delle dinamiche evolutive. Davanti a queste dinamiche la divinità sarebbe costretta ad un intervento ossessivo, puntuale, per attuare un pan-determinismo di ogni infinitesimo aspetto della realtà. E questo, si noti, si rivela assolutamente incompatibile con un contenuto, decisivo di ogni ideale teologico: il libero arbitrio delle creature coscienti. Come affermare infatti la più debole ipotesi di libero arbitrio davanti ad un intervento così ampio ed onnicomprensivo della divinità nelle dinamiche naturali? Dovremmo relegare la divinità a supervisionare certi fenomeni e non altri od ad agire in certi tempi e non n altri… ma questo è decisamente poco elegante, sia sotto il profilo biologico che teologico. Questa sarebbe la creazione compiuta da un deuccio tappabuchi, non un Dio creatore! Non possiamo attribuire a Dio la nostra insipienza, i nostri limiti intellettuali!
Le dinamiche naturali ci spingono dunque a relegare la divinità al di fuori di questi fenomeni: in particolare, ci sembrano dire che il realizzarsi della vita sulla terra per mezzo dell’evoluzione naturale nel suo estrinsecarsi ... non ha bisogno dell’azione diretta di Dio. Questa è la clamorosa affermazione di Laplace a Napoleone che possiamo usare con altrettanta fondatezza davanti alla teoria dell’evoluzione proposta da Darwin. Un’affermazione questa che la scienza sta inesorabilmente ribadendo per tutti gli eventi naturali che seguirono il Big Bang, l’evoluzione stellare, la formazione di elementi e pianeti, dell’intero universo, sono oggi compresi quali naturali, spontanee trasformazioni energetiche e stati fisici della materia. L’idea – goffa e banale – di un Dio che crea l’universo con interventi personali, che dà origine a forme animate, all’uomo, che presenzia attivamente il realizzarsi di queste tappe critiche è dunque da rigettare senza possibilità di appello. Prendiamo atto di questo e domandiamoci: «Negare tutto questo equivale a negare l’ipotesi dell’esistenza di Dio creatore»? La risposta è semplice: «No»!         Vediamo come stanno le cose: innanzi tutto i risultati delle scienze sperimentali non hanno evidenziato alcuna incompatibilità con il principio metafisico dell’esistenza di un’entità assoluta, esterna all’universo fisico, né mai potranno farlo! Lungi dal confutare l’ipotesi di una creazione divina dell’universo, la scoperta che il mondo in cui viviamo risulta parte di una realtà riconducibile ad un’immane esplosione iniziale, rappresentò una meta della scienza, della visione laica della natura che nella sua essenza sembrava concordare in pieno con l’assunto di una creazione. Attenzione però: questo non rappresenta in alcun modo la conferma di un gesto divino teso a realizzare questo universo, come molti hanno golosamente quanto arbitrariamente concluso!
   
      Il problema dell’esistenza di Dio resta una questione tutta da affrontare anche alla luce delle attuali conoscenze scientifiche; ma tale tematica, proprio per la sua eterna urgenza, deve essere rivisitata affrancandosi finalmente dagli oscurantismi di una tradizione fossilizzata su una visione medievale di Dio e del creato. Se è nostra intenzione ottenere una visione teologica dell’universo capace di coesistere senza affanni con la scienza moderna, dobbiamo saper definire gli attributi essenziali di tale divinità: e l’unica risposta coerente è: «Divinità creatrice». Poi basta.
   
      Ma poi? Ecco che ci corre in aiuto la distinzione tra teoetotomie e religioni – e relativi profili di divinità. Lo scarno profilo religioso di «Divinità creatrice» è sicuramente inadeguato per chi è abituato a una concezione teoetotomistica. Ma, alla luce di quanto stiamo sostenendo, questo rappresenta il polo universale del concetto di divinità su cui convergono e si rispecchiano gli universali filosofici e teologici della classe delle religioni (B): un ideale che, in una visione evolutiva dell’emersione ed affermazione del sacro nell’universo uomo, si colloca su di una posizione nodale e originaria. La figura di una divinità eminentemente creatrice, dunque religiosa, sembra dunque coerente con l’ipotesi IE. E noi la prenderemo per buona. La creazione di questo universo da parte di una divinità (B) e con modalità IE può rappresentare l’attuazione di una volontà, di un proposito creativo? Si potrebbe intendere ciò come gesto rivolto ad una qualche categoria ontologica, a qualcosa, o qualcuno, in grado di comprendere completamente il senso della creazione? La risposta è: «».  
         L’odierna visione cosmologica dell’universo pone significative restrizioni alla formulazione di adeguate risposte a questi interrogativi. Restrizioni, paradossalmente, quanto mai opportune al fine di districarsi dalla valenza ideologica delle attuali concezioni filosofico teologiche. Abbiamo visto come lo studio dei meccanismi che condussero all’emersione di forme viventi sulla terra abbia condotto l’attenzione degli studiosi su una fondamentale e sconcertante casualità di fondo negli eventi evolutivi che ne punteggiano la storia. L’evoluzione biologica ha indubbiamente dato origine ad una trama di imprevedibili fluttuazioni casuali a carico di un’immensa quantità di materiale genetico: e nella sequenza di questi eventi è tale da vanificare la possibilità di cogliere in ciò la realizzazione di un disegno finalizzato su una particolare specie vivente. Si può comunque osservare nei processi evolutivi una qualità sulle prime apparentemente in contrasto con la neutralità che emerge da una loro analisi: l’emersione di realtà biologiche contraddistinte dalla presenza di organismi complessi.
Nelle dinamiche del mondo animato assume particolare risalto l’equilibrio tra forme di vita coesistenti in un ecosistema come un bosco, un lago etc. Il miglioramento di qualche punto percentuale dell’acutezza visiva di un predatore può condurre ad una progressiva diffusione di predatori dalla vista più acuta, conducendo un nuovo equilibrio tra costoro e le loro prede. Parimenti, un aumento nella resistenza alla corsa o nell’efficacia degli organi sensoriali, decisivi per una preda, può condurre, seppur momentaneamente, ad un aumento di prede vive!
   
      In natura la competizione che viene ad instaurarsi tra specie spezza irrimediabilmente la neutralità che accompagna l’emersione casuale delle mutazioni genetiche. Si instaura dunque un senso di fondo nella sopravvivenza degli esseri viventi. Il meccanismo evolutivo, seppur innescato da mutazioni genetiche casuali, si concretizza in un selettivo accumulo di mutazioni capaci di migliorare la sopravvivenza (fitness) dell’individuo, parallelamente all’eliminazione delle mutazioni che ne intaccano negativamente la fitness. Da questo deriva la lenta, irreversibile trasformazione delle forme viventi che conduce all’affinamento, al miglioramento dei loro strumenti esistenziali, all’acquisizione di raffinate, inedite strategie di sopravvivenza. Si origina così un itinerario evolutivo del tutto imprevedibile nei suoi dettagli e nel contempo si mantiene un dinamico quasi equilibrio tra forme sempre più adattate. È possibile quindi comprendere come, a partire da una qualsivoglia realtà biologica, si possa verosimilmente attendere, attraverso la naturale azione della selezione cumulativa, un affinamento quantitativo e qualitativo del grado di complessità medio delle forme viventi. Ovviamente a livello statistico. In alcuni casi poi si potrà assistere all’emersione di soggetti in cui sia possibile osservare strutture radicalmente nuove, in grado di stabilire nuovi standard nell’espressione di un dato carattere. Un esempio è fornito dall’osservazione della progressiva encefalizzazione delle forme viventi che si osserva con studio di forme simili vissute in epoche diverse o seguendo l’evoluzione di una data specie in epoche successive. Ed ora un aspetto importantissimo: si è osservato in particolare come il meccanismo evolutivo esprima nei confronti del più importante apparato degli esseri viventi, il sistema nervoso, una capacità peculiare. Mentre ogni organo – si pensi ad un artiglio, al sistema digerente di un erbivoro, si osserva una specializzazione, l’evoluzione nervosa conduce ad una sostanziale de-specializzazione da cui deriva un’amplificazione delle capacità psichiche . Dunque livelli psichici e percettivi della realtà esistenziale progressivamente più evoluti e raffinati, capaci in ultima analisi di originare una nuova condizione: la coscienza riflessa. L’evoluzione quindi può essere intesa quale strumento d’elezione per l’emersione di forme intelligenti nell’universo? Occorre prudenza. I processi d’evoluzione biologica rendono un quadro d’insieme che fa apparire tale strumento incapace, da un lato, di assumere questo significato per tutte le sue complesse connessioni con contingenti condizioni naturali. Dall’altro però, lo stesso sembra in grado di rivestire tale ruolo a livello universale se si considera la sconcertante efficacia con cui ha avuto luogo sulla nostra terra, realtà planetaria indubbiamente ricorrente nell’universo.
   
      I progressi recentissimi nel campo dell’astrofisica hanno confermato la diffusa presenza negli spazi siderali di molecole indispensabili per la formazione iniziale di strutture organiche e l’esistenza di pianeti attorno altre stelle. Questo sta inducendo a pensare a processi biologici diffusi nell’universo.  Ma nel quadro di un universo disseminato di realtà bioevolutive, e non parliamo minimamente di UFO e amenità simili, l’uomo dovrà condurre una profonda revisione della propria immagine e del proprio ruolo filosofico nella quale il suo profilo perderà inesorabilmente l’esasperata unicità e particolarità assunte finora, ma non per questo verrà degradato a contenuti inadeguati al suo significato anche in un contesto teologico.
   
      La specie umana può allora essere colta come quella forma vivente che, a seguito di casuali eventi evolutivi approdò, sul terzo pianeta interno del sistema planetario della stella Sole, alla realtà cosciente; realtà umana nella quale l’individuo percepisce la sua condizione esistenziale pur nella tragicità della sua finitezza, dell’ineluttabilità del suo destino biologico. Questa condizione umana sarebbe da intendere non più come privilegio esclusivo della specie H. sapiens sapiens, bensì quale plateau evolutivo, aspetto dell’evoluzione accessibile a forme di vita sufficientemente evolute sotto il profilo psichico. È possibile immaginare dunque un universo non più muto e vuoto, quanto condiviso da mondi viventi, ed eventualmente – seppur come minima frazione – da forme di vita intelligenti in grado di partecipare, pur in scenari diversi, ad una realtà cosmica capace di promuovere ed affermare universalmente le tematiche oggetto nella nostra ricerca sui fondamenti del sacro. L’uomo dunque può essere inteso in una distinta collocazione: non più quella di apice filogenetico del creato, ma solamente nella figura di un particolare essere intelligente, tra i tanti potenzialmente originabili nell’universo attraverso distinti scenari bioevolutivi.
   
      Nel concerto delle possibili forme di vita intelligente in grado di condividere tali problematiche dell’essere, sarebbe dunque riservata alla specie umana una collocazione forse meno elitaria, ma non per questo inadeguata, in un consorzio universale che nel suo complesso possa rivestire il ruolo di entità cosmica interlocutrice di Dio. Quest’ipotesi metafisica, assolutamente compatibile con le odierne concezioni scientifiche, potrebbe indicare l’inedita soluzione dello spinoso problema della inscrutabile finalità della concezione evoluzionistica della natura. Nell’ipotesi che i processi evolutivi si ripetano nell’universo, l’insormontabile difficoltà di porre la concezione evoluzionistica nell’ambito di una visione finalistica, incentrata sul genere umano, può essere sostituita con una concezione coerente con l’evoluzionismo (ipotesi IE) fondata su un’idea  religiosa di creazione e divinità. Cogliendo l’evoluzione non nell’esclusività di una singola realizzazione ma su scala universale, cosmica, l’aleatorietà che permea il processo bioevolutivo sfuma nell’ampio alveo di questa pluralità, tracciando così una direzione altrimenti improponibile.
   
      Questa proposta, in grado da salvaguardare una sufficiente plausibilità scientifica in rapporto alla versione filo evoluzionistica, verte su una divinità religiosa (B) autrice di un gesto creativo tipo IE che permette ad un consorzio di esseri autocoscienti di originarsi nell’universo nel corso di ripetuti ma indeterminati eventi bioevolutivi. I fondamentali di questo inedito profilo universale ci allontanano nettamente dai contorni in cui usiamo collocare l’uomo. Il creato non è una prodigiosa macchina cosmica che incede nel tempo per volontà del suo divino creatore, scolpita dal nulla nella sua estrema perfezione e nella sua trascendente completezza sotto la sua ferrea determinazione. Esso piuttosto si dispiega incessantemente dietro una miriade d’imperscrutabili quasi equilibri: attimi fuggenti che si accavallano, si rincorrono prodigiosamente nel tempo e nello spazio apparentemente al di là di qualsiasi riconoscibile disegno. Tra le due concezioni sussiste la stessa differenza che c’è tra l’acqua che scorre in un canale d’irrigazione ed il vapore che nel cielo rotola come un’imponente nube o luccica nei colori di un arcobaleno. La scienza moderna ci propone dunque una visione dell’universo traboccante di un’imprevedibilità ed una complessità tali da rendere assolutamente unico ed imprevedibile a priori il realizzarsi di ciascun evento od oggetto naturale complesso. Ma quale è il senso teologicamente rilevante di questa immagine? Sorprendente: la natura è fiduciosamente abbandonata da Dio a se stessa,... dunque libera «davanti» al suo stesso Creatore.
   
      Questo è il significato teologico delle attuali evidenze scientifiche. L’universo, nel suo realizzarsi, nelle sue espressioni, esibisce un’autonomia, una libertà... pienamente da tutelare ed evidenziare in un’ipotesi teologica. Una libertà che si può concretamente realizzare solo nel rapporto tra una divinità creatrice religiosa (B) e quella frazione dell’ente creato che col suo apparire si colloca come sua interlocutrice d’elezione: gli esseri autocoscienti, intelligenti, eticamente liberi, emergenti nell’universo quali «orchidee su un letto di humus» – rifacendosi ad un suggestivo detto del neuropatologo P. Yacovlev – dal caldo tepore dell’evoluzione biologica.
         Dinnanzi alle attuali concezioni scientifiche, dobbiamo obbligatoriamente abbandonare l’obsoleta immagine non solo della divinità che crea direttamente e plasticamente le sue creature, ma anche di qualsiasi creatore che intervenga personalmente in eventi nevralgici dei processi naturali per garantire l’imbocco di determinati itinerari evolutivi (ipotesi IE) e che poi, alla luce di questa concezione, continuando questa disposizione, o prassi, si intrometta nella sfera etica dell’individuo (B)!  
         Come si vede le strette connessioni IE↔(B) e DDF↔(A) si delineano clamorosamente fin d’ora! La funzione creatrice della divinità si ridurrebbe allora a “dare il La” al creato? Il suo unico fine sarebbe al più quello di realizzare le condizioni fondamentali affinché gli eventi naturali, una volta innescati, possano condurre ad un universo quale quello conosciuto? Il ruolo della divinità si limiterebbe alla giustificazione di un universo fisico inteso nella categoria metafisica di ente creato?
Questa prospettiva è inevitabile, ma… ciò non comporta alcuno scadimento della valenza del trascendente, dello spessore filosofico teologico della figura della divinità. Questo svuotamento della figura della divinità e della creazione è soltanto apparente. Nella misura in cui si riconosce che l’emersione nell’universo di esseri intelligenti possa essere inteso come realizzazione spontanea di un divino progetto creativo di tipo IE, la divinità, realizzata la funzione di essere causa causarum, giustificazione dell’ente creato, si pone in oziosa e fiduciosa attesa che gli eventi naturali realizzino prima o poi l’emersione di creature intelligenti. Non ha importanza il come ed il quando: tali eventi sono attendibili e ciò è sufficiente a giustificare tale ipotesi metafisica. Se Einstein affermò: «Dio non gioca a dadi!». Bene, possiamo sostenere che: «Sì, Dio gioca a dadi... e riesce anche a vincere... e senza barare! ». Basta cambiare il modello di Dio che si ha a priori in testa e annosi problemi svaniscono nel nulla! Nessun intervento della divinità mirante a guidare o correggere particolari serie di eventi è necessario nel succedersi dei fatti naturali: la natura non richiede interferenze di sorta. È  sufficiente alla bisogna e lasciata al suo dinamico estrinsecarsi.
   
      Non esiste alcuna superiorità in un Dio che crea personalmente ogni particolare naturale e ogni creatura rispetto un Dio che si limiti ad essere causa prima di un universo aperto in evoluzione. Anzi è vero il contrario! Il presunto scadimento del concetto di Dio che si potrebbe sulle prime lamentare è soltanto il frutto di un profondo condizionamento teoetotomistico: un Dio che crea personalmente rappresenta un profilo molto meno dignitoso di quel che si possa sulle prime pensare. Un Dio che si rispetti non si abbassa minimamente a queste volgari attività, non confacenti alla sua divina potenza! Queste scadenti, grezze concezioni sono solo frutto di limiti immaginativi – sicuramente umani e angusti – e di evidente presunzione, non raffinate ipotesi teologiche.
   
      Il fatto è che non necessariamente siamo parte di un l’universo dovuto al possente, immane progetto creativo di un Dio laborioso, puntiglioso ed alacre nello scandire da cicli cosmici e definire direttamente, personalmente fenomeni biologici del tipo «Ghe fasso tutto mì…». Siamo parte piuttosto di un universo aperto, coerente, univoco, capace di far emergere spontaneamente – questo sì che è consono ad un divino creatore! – soggetti coscienti, dinamicamente traboccante di un susseguirsi d’inedite, affascinanti sequenze di oggetti naturali.
   
      L’attuale visione scientifica dell’universo – di per sé assolutamente neutrale – permette sì di cogliere lo stesso anche come entità creata giustificabile dall’esistenza ed azione di una divinità. Costringe però ad ammettere come eventuale termine finale di tale gesto divino solo l’aperta realtà di una natura intrinsecamente autosufficiente, libera di realizzarsi nei suoi successi e nei suoi fallimenti nel corso d’imprevedibili itinerari evolutivi. La meta evolutiva non risulta però necessariamente chiusa, appigliata al realizzarsi di una precisa realtà verso la quale sono dirette tutte le forze positive del creato e da cui lo stesso potrebbe essere distolto dal verificarsi di un ventaglio di dinamiche naturali negative tale da giustificare il puntiglioso intervento in itinere della divinità. In questo contesto dobbiamo dunque esaminare ex novo i contenuti del rapporto tra il divino e gli esseri coscienti che dovrebbe rappresentare il coronamento dell’originario intento creativo. Quali aspetti evidenziare in una così singolare relazione tra soggetti diversi? Quale equilibrio può instaurarsi tra l’ente creatore e queste creature?
   
      Anche nelle religioni la divinità, nella sua majestas, si pone dinnanzi alle sue creature dall’alto della sua serena funzione creatrice; ma questo sereno divario risulta poi amplificato, trasceso e radicalmente sconvolto, perso in modo sinistro nelle teoetotomie a causa della profonda sudditanza etico morale delle creature richiesta dalla divinità teoetotomistica. In esse il Dio si profila quale giudice supremo, severo seppur amorevole, delle scelte di ogni individuo. La sua superiore onniscienza, calando nella sfera morale e sociale dell’esistenza, impone un confronto in cui una qualsiasi creatura cosciente non può che risultare surclassata, schiacciata... sconfitta.
         L’intervento divino nella definizione fine degli schemi etici rappresenta un’intrusione pesantissima ed inaccettabile in quello che, nel contesto teleologico della creazione, dovrebbe invece rappresentare il coronamento del disegno creativo: la libera esistenza di queste creature. Laddove la divinità giunge ad affermarsi nell’ambito etico di tali creature, queste vengono di fatto irrimediabilmente private della possibilità di dar fondo a questa prerogativa. La presenza mondana di una legge divina rappresenta un monolite attorno al quale questi esseri possono solo assuefarsi: un macigno opprimente, che preclude senza scampo l’orizzonte dell’autodeterminazione.  
        
Ma questo è in palese contrasto, si noti, con quella libertà che il creato mostra nelle sue dinamiche – che la scienza ci ha faticosamente fatto scoprire! Non è questo un primo e devastante indizio di una contraddizione palese? Possiamo concepire queste restrizioni in un’ipotesi creativa – per onta a carico della specie che dovrebbe risultare eletta rispetto ad ogni altra agli occhi del creatore – quando ogni più insignificante creatura, anzi tutto l’universo, identicamente opera del creatore, perfetta espressione della sua potenza e magnificenza, trasuda libertà in ogni sua dinamica naturale?
          Come si vede una quantità sempre più ampia di evidenze e opportune considerazioni teologiche fanno sì che l’ipotesi teoetotomistica (A), e di conseguenza le modalità DDF, risultino essere sempre più in totale contrasto con la scienza moderna. La concezione evoluzionistica della natura IE circoscrive in ben precisi ambiti qualsiasi tentativo di sua coesistenza con un’ipotesi teistica. Leggi ed equilibri naturali danno luogo ad un universo capace di ospitare l’evoluzione di forme viventi, l’emersione dell’intelligenza ma solo in un divenire storico imperscrutabile a priori e ciò può rappresentare l’evidenza solo ed esclusivamente di un disegno divino rivolto alla completa manifestazione della più significativa ed elevata qualità dell’esistenza di una qualsiasi forma di vita intelligente: l’esercizio pieno e responsabile del proprio libero arbitrio, dell’autodeterminazione etica. Ecco il significato teologico che deriva dalla scienza moderna: il diritto concesso dalla stessa divinità all’esercizio della propria libertà!
   
      Così come l’intero universo fisico è lasciato evolvere nella più completa sufficienza, ciascun essere vivente – uomo compreso – è lasciato esistere nella più completa autosufficienza. Non ci sono determinati equilibri biologici e comportamenti prestabiliti dalla divinità da rispettare, a cui ciascuno debba adattare la propria biologia ed ancor più sacrificare l’espressione naturale e spontanea del suo stesso essere libero. Scrisse Jacques Monod: «L’uomo finalmente sa di essere solo in un universo immenso e indifferente... Non ha né destini né doveri prestabiliti». Si pensi come tale frase è stata assunto sinora come manifesto, slogan tra i più noti e famosi del pensiero ateo. Ora possiamo vedere come questo significato non è necessariamente lo stesso.
   
      L’idea di una divinità morale impegnata nella realizzazione di un preciso quadro ontologico, avvezza ad intervenire nelle vicende naturali per guidare il creato verso futuri, insondabili approdi, è un preconcetto assolutamente gratuito quanto incompatibile con l’odierna visione scientifica del creato, dovuto solo al nostro essere assuefatti ad una cultura teoetotomistica.
        Tali incongruenze svaniscono allorquando si consideri come la visione cosmologica tipo (IE) risulti perfettamente coerente con i sistemi religiosi (B). Questi ultimi esibiscono infatti due importantissime proprietà: il carattere eminentemente creativo delle divinità religiose fa sì che risultino assenti schemi e principi alla base di un’azione morale. La mancanza di qualsiasi aspetto salvifico ulteriore all’evento della creazione permette alle stesse di adattarsi ineguagliabilmente a quell’apertura del mondo fisico che caratterizza l’universo descrittoci dalla scienza moderna. Tali sistemi realizzano così un’affermazione dell’autodeterminazione etica dell’individuo nei confronti della divinità. In essi si esprime una relazione perfetta tra l’uomo, essere creato, autocosciente ed eticamente libero, ed il suo creatore, rapporto in cui si rispecchia e sacralizza la stessa libertà che si respira nella natura tutta.
   
      L’associazione dei modelli religiosi (B) nell’ambito dell’odierna concezione di un universo in evoluzione (IE) è dunque immediata. La mancanza delle norme assolute ed universali con le quali ogni divinità teoetotomistica esercita un’azione censoria delle azioni umane consente alle divinità religiose di trasporre perfettamente il loro referente teologico nell’orizzonte indeterministico evoluzionistico (IE) dell’odierna concezione scientifica del creato. I connotati di queste divinità vengono anzi affinati ed esaltati in questo nuovo contesto, dando origine ad una costellazione metafisica il cui valore sicuramente profondo sfugge nella sua interezza.
   
      L’attuale cosmologia scientifica dunque propone all’uomo una comprensione dell’universo e del senso dell’incedere degli eventi di cui è parte sicuramente incompatibile con certe ipotesi teistiche, ma non inconciliabile con il teismo in generale. L’accostamento dell’odierna visione scientifica della natura ai modelli religiosi permette anzi di formulare modelli teologici di sconcertante attualità e coerenza formale, capaci di dare un taglio interpretativo dell’esistenza estremamente positivo. Questo tipo di edificio religioso, che potremmo nominato religione naturale, può rappresentare l’essenza di una nuova opzione dell’uomo: una derivazione esplicita dalla filosofia della scienza della sua ancella: la teologia della scienza. Un'altra significativa inversione dei ruoli. A questo punto rivolgiamoci all’ultimo argomento necessario per affrontare compiutamente l’interpretazione dei secondi due capitoli del libro della Genesi: Freud e la psicoanalisi.

Capitolo V°                                                                          Back