Capitolo V°                   capitolo VI°                       Back    

Ed eccoci giunti finalmente al libro della Genesi. Cerchiamo innanzi tutto di fare il punto su quale base concettuale possiamo contare nel nostro intento. La nostra concezione del fatto religioso è qualificata da una serie di importanti contenuti. I primi due, di rilievo principalmente scientifico, sono i seguenti:

1)   risulta fortemente concordante con le odierne e riconosciute ricerche sulla storia delle religioni, che hanno permesso uno studio obiettivo e scientificamente valido, basato su numerose convalide da parte di discipline quali l’antropologia culturale, l’etnologia, la paleo etnologia, delle forme religiose diffuse nelle culture umane sia attuali che del passato e ancor più di ricostruire gli aspetti fondamentali dell’origine delle manifestazioni religiose nel genere umano. 2)   si basa su una concezione cosmologica e antropologica, questa volta incluse in una concezione religiosa, perfettamente coerente con le odierne teorie cosmologiche e biologico evoluzionistiche – in particolare sull’origine dell’uomo. Un aspetto questo decisivo in considerazione di come tutte le religioni attuali evidenziano gravi, irrisolvibili problemi di coesistenza con le scienze moderne in merito a importanti punti delle loro dottrine.

Ma, oltre a queste importantissime caratteristiche, la nostra interpretazione è significativamente impreziosita dal presentare inquietanti quanto sorprendenti concordanze ed affinità – ma ancor più capacità esplicative inedite del fatto religioso – nei confronti delle tre più importanti basi del moderno pensiero ateo, o agnostico ma comunque avverso al sacro, alle odierne dottrine religiose. La nostra particolare ricostruzione di un universo religioso diviso in teoetotomie e religioni, ci permette di contare su una base interpretativa estremamente potente, capace innanzi tutto di vanificare, con la conseguente rivalutazione dei contenuti del modello religioso, le critiche delle tre delle maggiori obiezioni poste dall’ateismo moderno all’ideale teistico facendo addirittura propri – ed in un contesto religioso! – l’evoluzionismo di Darwin, il marxismo di Carlo Marx e la psicoanalisi di Freud. Fatto questo che conduce ad una radicale revisione dell’intero confronto dialettico tra ateismo e teismo.
   
      Forte di questo decisivo e sorprendente contributo, la nostra proposta interpretativa riesce infatti a rivolgere gli oggettivi, e condivisi, contenuti di queste correnti di pensiero non più in modo generico e inefficace verso il teismo in quanto tale ma verso una particolare forma di involuzione religiosa: le teoetotomie. Questo ci permette di includere la potenza e la fondatezza di queste obiezioni tra gli elementi di risalto assoluto dei modelli religiosi nei confronti delle teoetotomie. Ebbene, tutto ciò si rivelerà essenziale per una interpretazione inedita quanto efficace, esplicativa e comprensibile dei primi tre capitoli della Genesi.
   
      La possibilità di includere perfettamente la filosofia evoluzionistica nell’antropologia espressa nell’ipotesi religiosa ci permette di contare su di un modello teologico in cui l’origine dell’uomo è riconosciuta senza alcun problema procedere da un continuum di forme in cui è possibile intendere il profilo umano quale espressione naturale e libera di un progetto creativo dedicato all’emersione di enti coscienti che, proprio in forza di questa naturale, libera disposizione, possono rappresentare la frazione del creato che assume il ruolo di naturale, libera interlocutrice d’elezione del creatore. Ovviamente questa particolare concezione richiede una revisione di molti aspetti secondari della classica riflessione filosofica e teologica, come ad esempio della natura sovrannaturale dell’uomo, del come e perché questa valenza possa emergere nel mondo inanimato prima e animato poi e via dicendo. Ma questo non è un problema per chi si appresta ad una rivoluzione di ben maggior portata dell’intera architettura del teismo. Ecco il messaggio di Darwin: siamo stati originati da dinamiche libere: come libera è di essere la natura, così deve totalmente libero di essere sia ogni uomo.
   
      I contributi degli altri due autori, Marx e Freud, ci permettono poi far riecheggiare un simile messaggio ma in più di contare su due ulteriori, fondamentali analisi del fatto religioso, capaci di chiarirci in modo sconcertante il vero ruolo e significato dei fenomeni socio culturali e psicologici coinvolti nell’espressione del sacro. Dai lavori di questi due veri e propri giganti, opportunamente sottoposti alle revisioni di cui abbiamo parlato, otterremo allora le chiavi d’interpretazione dell’autentico significato dell’evento della fantomatica caduta biblica dei capostipiti Adamo ed Eva. Marx infatti ci mette a disposizione la chiave d’interpretazione socio culturale e socio economica di tale evento, facendoci capire come e quanto una trasformazione socio culturale ed economica sia in connessione con una trasformazione degli ideali e delle aspettative anche teologiche dell’individuo collocato in un dato sistema sociale e produttivo, dandoci l’indicazione di in quale direzione dobbiamo rivolgere la nostra attenzione nel tentativo di decifrare le dinamiche comunitarie interessate da una transizione filosofico teologica.
   
      Freud a sua volta ci fornisce addirittura la chiave d’interpretazione psicologica, gli strumenti interpretativi necessari per comprendere il meccanismo psicologico alla base di tale trasformazione: quali dinamiche psichiche profonde, interiori, individuali scuotono e investono l’uomo coinvolto da tutto ciò, e come queste dinamiche interiori possono manifestarsi  all’esterno, nell’ambito sociale, spesso in modo negativo e patologico.
   
      Su queste basi possiamo allora interpretare quest’evento misterioso con contenuti decisamente concreti e verificabili, essendo possibile collocare quest’infausto fatto in un ambito decisamente terreno, tangibile e verificabile senza invocare, in ossequio al rasoio di Ockham, l’intervento di improbabili quanto inutili interventi di principi od enti sovrannaturali.
   
      Penso però che a questo punto sorga un interrogativo: «Ma se la traduzione di questo evento è riconducibile a fenomeni e fatti comunque terreni, concreti, niente affatto sovrannaturali, non si smarrisce inevitabilmente quella sacralità, quella valenza sovrannaturale ed assoluta che le passate letture attribuivano sia a questo evento, ma in generale all’intero contenuto biblico? Se tutto è riconducibile a contenuti mondani, sociologici ed eventualmente psicologici, non si smarrisce ogni universalità e sacralità? Quale potrà risultare ad esempio la successiva tematica evangelica? Perché il messia, Gesù? Cosa andrebbe a significare la sua figura, la sua missione ed il suo sacrificio?»

 In realtà possiamo dimostrare che la nostra interpretazione non lede in alcun modo il risalto universale, la sacralità e il senso complessivo della teologia biblica, il messaggio di salvezza evangelico o quant’altro anche alla luce della sua chiave d’interpretazione, assolutamente mondana, concreta e tangibile. Solo una precisazione: si è perfettamente a conoscenza del fatto che è in corso una diatriba feroce in merito all’analisi e riconoscimento dei testi su cui si baserebbe la narrazione evangelica in particolare. Il problema dell’origine ed autenticità dei vangeli sinottici, le accuse di falsificazione storica da parte degli ambienti ecclesiastici e quant’altro infuocano oramai da secoli spesso con punte di tragica violenza. Il nostro intento, che si completerà con un successivo lavoro – attualmente in completamento –, si caratterizza non nel sottoporre ad analoghe critiche i testi ammessi dalla tradizione cattolici, ma nel dimostrare che pur ammettendo – per assurdo –la loro autenticità è possibile contestare con dovizia di evidenze le conclusioni della dottrina cattolica enucleando conclusioni assolutamente antitetiche – ma scientificamente validabili! 
          La nostra strategia è dunque quella di condurre una critica dall’interno. L’intera dottrina cattolica è abituata  a dover fronteggiare attacchi provenienti dall’esterno, condotti o da chi pone in dubbio i suoi aspetti fondanti più generali – vedi l’ateismo – o da chi pone in dubbio – di solito su base storica e archeologica – l’autenticità della base testuale adottata del magistero. Ed il magistero di conseguenza ha affinato le armi – e purtroppo non sempre in modo metaforico – contro questi attacchi. Ebbene, noi non ci si pone minimamente in quest’ambito di critica: si s’ cercato anzi di ammettere – seppur per assurdo, come si fa nelle dimostrazioni dei teoremi matematici – l’autenticità di tale base testuale, con tutto quel che questo comporta: accettare l’eventuale natura divina di Gesù, la sua nascita virginale – anche omettendo il fatto che a quanto sembra di divinità nate da vergini il mondo della mitologia è pieno – , la sua passione e resurrezione. Il punto importante è che anche ammettendo questo è possibile trarre da quei testi un messaggio che non è solo variabile così come ad esempio troviamo affermato nelle varie confessioni nate su questi libri – protestantesimo, chiesa ortodossa etc. etc. – ma decisamente opposto a quanto si è sinora sostenuto.È come se, ascoltando i resoconti di due lettori di un identico testo ci si trovi di fronte al primo che riferirebbe di aver letto «I promessi sposi» mentre l'altro «2001: Odissea dallo spazio». È evidente che o entrambi hanno mancato il vero contenuto del testo, il che è possibile... o che uno dei due è in errore. Dobbiamo solo stabilire chi. Come? Analizzando il testo con strumenti imparziali.  
       
La nostra finalità è dunque dimostrare, pur ammettendo quella base testuale, l’obiettiva inconsistenza dell’interpretazione sinora data. Dunque si hanno ipotesi dai contenuti letteralmente opposti in competizione sulla stessa base. Popper ci ha insegnato come in questi casi sia opportuno condurre la valutazione delle stesse.
         Il contrasto è dunque deciso e caustico. Ed i risultati di questa competizione interna altrettanto.
         La cosa sconcertante è che con questa critica, fondata come detto su aspetti scientifici e anche su spunti propri della critica laica, deriva un risultato inatteso: la convergenza tra i fondamenti teologico filosofici di tali testi e concezioni scientifiche e filosofiche che solo recentissimamente sono diventate parte essenziale della conoscenza umana. Un risultato che ha veramente dello sconcertante.In biologia c'è un dato assoluto che è opportuno tenere in mente: la maggior selezione naturale si osserva sempre tra organismi che competono per la stessa nicchia ecologica. Assurdo tutto questo? No.
         In realtà il mito della caduta originale ci illustra il sopravvenire di un infausto e ben documentabile degrado: degrado nella percezione che l’uomo ha di sé e del creato, un devastante degrado che andò a sconvolgere il sentimento religioso dell’uomo, permeando poi tutti gli ambiti che segnano l’esistenza umana, da quello filosofico teologico a quello socio economico, a quello socio affettivo interiore, precipitando l’uomo in una condizione indegna e penosa, in cui andrà a smarrire la sua qualità più eccelsa e significativa: quella di essere libero di vivere quale «immagine e somiglianza di Dio» a causa di quell’evento che intaccò disgraziatamente il suo originario e gratificante rapporto con Dio.
   
      Questo costituì la caduta umana: l’aver smarrito il sublime e assoluto, dignitoso saper guardare Dio negli occhi. E come questo accadde, e perché lo potremo ora capire grazie alla possibilità di salire sulle spalle di tali giganti: Darwin, Marx e Freud. Una affermazione blasfema per molti. Ma una realtà facilmente verificabile a chiunque.
   
       «Il sonno della ragione genera i mostri» Francisco José Goya (1746-1828).

 Per sottolineare la peculiarità della nostra interpretazione ci confronteremo con l’interpretazione cattolica dei primi tre capitoli del Genesi, la quale incarna le posizioni ortodosse di tutte le confessioni che fanno attualmente riferimento a tale testo. Essa costituisce il prototipo perfetto di un’interpretazione di tipo teoetotomistico (A) legata ad una concezione creativa DDF. Il classico ed annoso contrasto scienza–fede verte proprio sui problemi sollevati da questo tipo di interpretazione. Vedremo ora come un’interpretazione religiosa (B) connessa ad una concezione IE dei primi tre capitoli del Genesi risolva egregiamente tutti questi problemi.
   
       Dei quarantasei libri del Vecchio Testamento il libro della Genesi (79) assume un’importanza fondamentale per tutta la tradizione teologico letteraria basata sulla Bibbia. Se volessimo sintetizzare esaurientemente i fatti che secondo la visione cattolica sono alla base dell’intera teologia biblica, dovremmo evidenziare i seguenti punti:     a) Creazione dell’universo e dell’uomo da parte di Dio;
   
          b) Caduta ontologica dell’uomo;
             c) Progressiva manifestazione riparatrice di Dio culminante nella venuta di Cristo.
Pur essendo riduttivo ricondurre a questi pochi punti l’intero messaggio del Vecchio e Nuovo Testamento, non si può negare che i contenuti essenziali di tutte le dottrine basate su questi testi riconducono senza eccezione a questi tre contenuti.
   
       La creazione dell’universo e dell’uomo è narrata nei primi due capitoli del Genesi. In essi si definisce la cosmologia alla base dell’intera teologia biblica. Il primo capitolo narra di un Dio potente e benevolo che in sette giorni creò dal nulla l’universo in tutte le sue forme animate ed inanimate. Il secondo si sofferma sull’uomo, sul suo ruolo e destino origi­nariamente concepiti dal creatore. Il terzo capitolo narra come l’uomo avesse smarrito la condizione sovrumana in cui fu creato dall’originario disegno divino. È con questo evento, conosciuto come caduta o peccato originale, che il progetto divino che avrebbe dovuto culminare in un uomo «immagine e somiglianza di Dio», s’incrinò irrimediabilmente e per cui, di conseguenza, tutta l’umanità cadde in una peccaminosa condizione terrena: una corrotta condizione da cui ciascuno si potrà salvare grazie alla fede in Gesù Cristo, all’obbedienza alla sua lieta novella e, non per ultimo, grazie al sangue della passione di Cristo. La caduta biblica rappresenta dunque nella teologia biblica l’evento che andrà a giustificare pienamente il successivo progetto evangelico. Una corretta interpretazione di questi brani è essenziale per comprendere il senso autentico della creazione e della missione di Gesù Cristo alla luce dell’evento che inficiò la prima e rese necessaria la seconda.
   
       È superfluo ricordare gli inevitabili corsi e ricorsi evidenziati tra la lettura di Gn 1-3 ed i fantastici miti dell’età dell’oro, delle origini, che ciascuna cultura riconosce nelle proprie tradizioni religiose. In Genesi 1-2 si esprime una delle tante mitologiche e fantastiche ricostruzioni degli eventi tramite i quali si sarebbero originate tutte le cose, al pari di quanto si riscontra in altre culture. L’analisi dei testi mostra tali poemi mitologici come sedimentazioni di relazioni leggendarie con usi e tradizioni culturali, con racconti popolari della regione medio orientale; veri e propri affreschi nei quali tali influenze si vanno a cristallizzare in concezioni cosmologiche, antropologiche e teologiche. Anche per i testi biblici si possono dunque evidenziare notevoli riferimenti a miti, categorie e generi letterari, simbolismi e leggende popolari proprie dell’ambiente storico culturale antecedente a quello in cui essi furono scritti. A partire dal secolo scorso ad esempio, la scoperta di importanti frammenti di letteratura sumero accadica ha evidenziato analogie più o meno velate tra le leggende, i miti di poemi come Enuma Elis e Gn. 1, i miti di Enki e Ninhursag di Adapa, di Gilgames ed i vari capitoli di Gn 1,11 in cui si parla dell’Eden, dell’albero della vita, del diluvio etc. Per ciò che concerne l’origine delle razze ad esempio, si tramandano circa sessanta racconti extrabiblici riferiti al Diluvio universale che si originano dall’Asia Minore, Siria, Persia, India, Indonesia, Siberia, Africa, etc.; tale evento non è invece riportato nella tradizione della Cina, del Giappone e presso gli Egiziani.
   
      Ma il problema posto dall’interpretazione cattolica non deriva da questi argomenti: il problema consiste nel fatto che sono le nuove conoscenze e teorie scientifiche sull’origine dell’uomo ad essere incompatibili con le più ortodosse posizioni dogmatiche sostenute dalla Chiesa Cattolica nei confronti dei primi tre capitoli del Genesi. Così scriveva negli anni quaranta A. Bea: «Fino a circa settant’anni fa questi capitoli - astrazion fatta dal primo che propone la creazione come opera di sei giorni - presentavano poche difficoltà agli esegeti.
   
      La Sacra Scrittura era quasi l’unica fonte per la nostra conoscenza degli inizi del genere umano e della sua storia...»  ma poi «... le moderne scienze profane hanno raccolto una tal quantità di gravi difficoltà contro l’antica interpretazione letterale di quei primi undici capitoli che non è più possibile conservare semplicemente la esegesi del nostri antenati». Basti pensare come solo duecento anni prima della pubblicazione dell’«Origine delle specie», James Ussher, arcivescovo di Armagh, riusciva ad affermare, in base a dei calcoli basati sulla numerologia del Vecchio Testamento, che la creazione sarebbe risalita al 4004 a.C., calcolo successivamente ripreso da John Lightfoot, direttore del collegio di S. Caterina a Cambridge, il quale giunse a calcolare con esattezza che questo dovette avvenire il 23 ottobre alle 9 del mattino!
         È innegabile che la pubblicazione nel 1859 dell’opera «Origine delle Specie» di C. Darwin segnò il definitivo crollo della tradizionale visione della natura e dell’uomo direttamente derivata dai principi e dall’interpretazione di Gn 1,11 dei Padri della Chiesa a cui la dottrina cattolica è rimasta fedele; una statica, fissista visione creazionistica dell’uomo e della natura che ha condizionato irreparabilmente l’intera cultura occidentale sino allo scorso secolo.
   
      La tensione che la teoria dell’evoluzione darwiniana introdusse nel campo dell’in­terpretazione del Genesi balzò immediatamente all’evidenza; già ad un anno dalla pubblicazione dell’opera ci fu da parte dell’episcopato tedesco una solenne pronuncia ufficiale contro la teoria evoluzionistica. I vescovi dichiararono «... del tutto contraria alle Sacre Scritture e alla fede la sentenza di coloro i quali ardiscono asserire che l’uomo quanto al corpo, è derivato per spontanea trasformazione da una natura imperfetta, che di continuo migliorò fino a raggiungere l’umana attuale».
   
      Non erano più disquisizioni sull’età della terra, o sulle possibili cause del diluvio ad essere oggetto delle discussioni dei dotti. L’ipotesi dell’evoluzione faceva inevitabilmente convergere l’attenzione sui capitoli del Genesi in cui si narrava l’origine dell’uomo, ed i fatti originali che erano alla base dell’intera teologia biblica. Le difficoltà sollevate all’interpretazione teologica del Genesi, data la sua importanza in seno all’edificio cattolico, erano clamorose. La teoria dell’evoluzione, postulando una diversa origine per l’uomo, il quale era stato fino allora collocato senza problemi in una posizione biologica distinta per origini e per natura rispetto a tutte le altre specie viventi, pose devastanti quesiti addirittura sul sacro dogma del peccato originale. Un’intrusione senza precedenti. Leggiamo: «Nel principio Elohim creò il cielo e la terra.
   
         Ma la terra era deserta e disadorna e v’era tenebra
   
         sulla superficie dell’oceano e lo spirito
   
         di Elohim era sulla superficie delle acque.

   
        Elohim allora ordinò: Vi sia la luce.
   
        E vi fu luce.
   
        Quindi Elohim vide che era buona quella luce.
   
        Perciò Elohim separò la luce dalla tenebra.
   
        Ed Elohim diede nome alla luce giorno ed alla tenebra
   
        diede nome notte.

   
        Poi venne sera, poi venne mattina: un giorno.
   
        Elohim disse ancora ...» (Gn 1,1-5)Questi sono i primi versetti del libro del Genesi, relativi al primo giorno della creazione. L’intero primo capitolo si sofferma sulle fasi della creazione, a partire dai cieli per giungere all’uomo. Esso è completamente ispirato da un profondo e netto monoteismo; non ci sono principi demiurgici dalla cui azione o contrasto si originano cieli, terra, esseri viventi. È un’unica divinità suprema che crea ogni cosa dal nulla; non si assiste alla trasformazione di realtà anteriori, nessuna prodigiosa manipolazione di realtà preesistenti da cui si originano cieli e pianeti, mari e montagne, ma la generazione ex novo di ogni ente naturale. Dal nulla, ex nihilo, Dio compie l’intero progetto creativo. Un gesto da ricondurre poi ad una tacita, lungimirante e benevola disposizione nei confronti delle creature in divenire.
          Da notare che a ciascuna fase della creazione è associato un aggettivo che fissa in modo esemplare l’attributo di fondo che l’intero creato ereditò dalla divinità: la bontà. Costante di ogni atto creativo è la bontà: e il redattore ripete continuamente «... Elohim vide che questo era buono...» per sottolineare l’approvazione del creatore dinnanzi alla propria opera. Tutto il creato è buono: cieli, pianeti, esseri viventi, uomo; anzi il creato tutto, dopo la creazione dell’uomo, è «... molto buono» (Gn 1,31). Di questo creato è parte insostituibile l’essere uomo: anch’egli buono, maschio e femmina, creato da Elohim «... a norma della nostra immagine, a nostra somiglianza».
   
      Questo è l’attributo di fondo, teologicamente rilevante, dell’intero Gn 1. Prima considerazione: è indifferente che si opti, come è stato fatto fino in tempi recenti dalla Chiesa, per una traduzione letterale di questo capitolo del Genesi, o che ci si rivolga ad una interpretazione meno ingenua e più sensibile alle conclusioni delle scienze moderne, che si riconosca una matrice poetica, un contenuto metaforico non corrispondente nei suoi dettagli narrativi ad alcuna realtà oggettiva. È del tutto fuorviante soffermarsi a mostrare come si possano trovare paralleli tra la sequenza delle azioni creatrici di Gn 1 e particolari eventi cosmologico evolutivi dell’autentica storia dell’universo descritta dalle scienze odierne. Tutte queste oziose precisazioni nulla aggiungerebbero al concetto di fondo di Gn 1, cioè all’affermazione che «Dio creò dal nulla l’intero universo, le sue intrinseche leggi, gli esseri viventi e l’uomo, maschio e femmina, immagine e somiglianza di Dio».
   
      Ma se le scoperte scientifiche nel campo della cosmologia, della geologia, della paleontologia e della biologia, ampliando a dismisura l’età della terra, dell’universo ed inficiando decisamente l’interpretazione letterale di Gn 1 sull’origine dell’uomo da un’unica coppia capostipite nulla hanno cambiato a questo senso teologico, ben diverso risulta l’esito del suo confronto con le posizioni dogmatiche espresse nei successivi due capitoli. Il monogenismo di coppia, o più semplicemente monogenismo, ovvero l’idea che tutta l’umanità sia geneticamente derivata da una coppia iniziale, Adamo ed Eva, è assolutamente incompatibile con le evidenze scientifiche odierne che si rivolgono sia ad una concezione poligenistica, ovvero all’esistenza di più coppie contemporaneamente presenti all’origine dell’umanità, (poligenismo), ed ancor più vertono sull’esistenza di processi evolutivi che uniscono geneticamente, con continuità, le prime popolazioni umane a popolazioni anteriori di specie pre umane, sfumando attraverso milioni di anni l’emersione genetica della specie umana così come la conosciamo ora. La santa, magica condizione originale, detta preternaturale, dei due capostipiti e successivamente il dogma del peccato originale, mediante il quale l’intera umanità avrebbe perso il godimento dei doni sovrannaturali elargiti da Dio nel giardino dell’Eden, sono tutte posizioni di fede decisive quanto contrastanti con i risultati delle attuali scoperte e teorie scientifiche.
   
        Facciamo dunque il punto sulle posizioni ufficiali della Chiesa Cattolica circa le odierne teorie sulle origini dell’uomo e l’evoluzione biologica. E si chiede venia per il dilungarsi nell’illustrare i documenti. Cercheremo di essere più stringati più avanti: ma è importante avere ben chiaro come stanno ufficialmente le cose. Le direttive ufficiali del magistero cattolico nei confronti del Genesi sono:

1) il Decreto del 30 giugno 1909 della Pontificia Commissione Biblica (PCB).

Il decreto sostiene l’impossibilità di «... dubitare del carattere storico di questi capitoli (Gn 1-3 n.d.a.) in generale, tanto meno di quei fatti, ivi narrati, che toccano i fondamenti della religione cristiana.
   
      A questi fatti appartengono fra gli altri: la creazione dell’universo fatta da Dio all’inizio del tempo; la particolare creazione dell’uomo; la formazione della prima donna dal primo uomo; l’unità del genere umano; la felicità originaria della prima coppia umana nella condizione di giustizia, d’immunità e d’immortalità; l’ordine dato da Dio ai primi uomini per provarne l’ubbidienza; la loro trasgressione, in seguito alla seduzione del diavolo presentatosi in forma di serpente; la perdita dello stato primitivo d’innocenza a causa di questa trasgressione; infine la promessa del Redentore». 2) L’Enciclica Humani Generis del 12 agosto 1950, in cui venne definita la posizione della Chiesa nei confronti dell’evoluzionismo: «Il Magistero della Chiesa non proibisce che, in conformità dell’attuale stato delle scienze e della teologia, sia oggetto di ricerche e discussioni, da parte dei competenti in tutti e due i campi, la dottrina dell’evoluzionismo, in quanto cioè essa fa ricerche sull’origine del corpo umano, che proverrebbe da materia organica preesistente (la fede cattolica ci obbliga a ritenere che le anime sono state create immediatamente da Dio).
   
      Però questo deve essere fatto in tale modo che le ragioni delle due opinioni, cioè di quella favorevole e di quella contraria all’evoluzionismo, siano ponderate e giudicate con la necessaria serietà, ponderazione e misura e purché tutti siano pronti a sottostare al giudizio della Chiesa alla quale Cristo ha affidato l’ufficio di interpretare autenticamente la S. Scrittura e di difendere i dogmi di fede.
   
      Però alcuni oltrepassano questa libertà di discussione, agendo in modo come fosse dimostrata già, con totale certezza, la stessa origine del corpo umano dalla materia organica preesistente, valendosi di dati indiziali finora raccolti e di ragionamenti basati sui medesimi indizi; e ciò come se nelle fonti della divina rivelazione non vi fosse nulla che esiga in questa materia la più grande moderazione e cautela».
   
     E poi, nei confronti del poligenismo: «Però quando si tratta dell’altra ipotesi, cioè del poligenismo, allora i figli della Chiesa non godono affatto della medesima libertà.
   
     Poiché i fedeli non possono abbracciare quella opinione i cui assertori insegnano che dopo Adamo sono esistiti qui sulla terra del veri uomini che non hanno avuto origine, per generazione naturale, dal medesimo come da progenitore di tutti gli uomini, oppure che Adamo rappresenta l’insieme di molti progenitori; ora non appare in nessun modo come queste affermazioni si possano accordare con quanto le fonti della rivelazione e gli Atti del Magistero della Chiesa ci insegnano circa il peccato originale, che proviene da un peccato veramente commesso da Adamo individualmente e personalmente, e che, trasmesso a tutti per generazione, è inerente in ciascun uomo come suo proprio». A queste due prese di posizioni ufficiali del Magistero ecclesiastico, le uniche finora prodotte in merito a tali problematiche, potremmo affiancare allocuzioni papali e quanto altro si è affermato in tutte le opere con tanto d’imprimatur, espressione fedele delle posizioni dottrinali cattoliche. Il ricorso a queste pubblicazioni è importante poiché permette di prendere atto sul campo dei mezzi pastorali di promulgazione della fede con i quali la Chiesa Cattolica trasmette ai suoi credenti, che ne costituiscono l’autentica ecclesia, i contenuti fideistici e dogmatici.
   
      A queste affermazioni ufficiali sull’argomento potremo aggiungere a corollario il 3) Discorso tenuto il 30 novembre 1941 da Pio XII all’Accademia Pontificia delle Scienze, nel quale il Pontefice, commentando i primi capitoli del Genesi, affermò: «Dall’uomo soltanto poteva venire un altro uomo, che lo chiamasse Padre e progenitore, e l’aiuto dato al primo uomo (Eva n.d.a.) viene pure da lui ed è carne della sua carne, formata in compagna che ha nome dall’uomo, perché da lui è stata tratta.... le molteplici ricerche, sia della paleontologia, che della biologia e della morfologia su altri problemi riguardanti le origini dell’uomo, non hanno finora apportato nulla di positivamente chiaro e certo».
   
       C’è poi il:4) Discorso di  Paolo VI a Nemi, l’11 luglio 1966, ad un simposio organizzato dal rettori delle Università Pontificie: il pontefice affermò: «È evidente perciò che vi sembreranno inconciliabili con la genuina dottrina cattolica le spiegazioni che del peccato originale danno alcuni autori moderni, i quali, partendo dal presupposto, che non è stato dimostrato, del poligenismo, negano, più o meno chiaramente, che il peccato, donde è derivata tanta colluvie di mali per l’umanità, sia anzitutto la disubbidienza di Adamo... commessa all’inizio della storia... Ma anche la teoria dell’evoluzionismo non vi sembrerà accettabile qualora non si accordi decisamente con la creazione immediata di tutte e singole le anime umane da Dio, e non ritenga decisiva l’importanza che per le sorti dell’umanità ha avuto la disobbedienza di Adamo ... la quale disobbedienza non dovrà pensarsi come se non avesse fatto perdere ad Adamo la santità e la giustizia in cui fu costituito».

Da questi documenti, così incredibilmente recenti malgrado i loro contenuti, emerge un aspetto fondamentale dell’atteggiamento cattolico nei confronti dell’evoluzionismo. Sin dalla formulazione e diffusione della teoria darwiniana dell’evoluzione, la Chiesa Cattolica espresse un netto, esplicito rifiuto verso la teoria scientifica. La levata di scudi che culminò ufficialmente con le posizioni contenute nei discorsi e nelle encicliche di cui sopra, delinea una chiara posizione di rigetto. E sino ai giorni attuali, la Chiesa non ha prodotto alcun documento ufficiale atto a colmare l’impasse in cui è caduta con il suo iniziale rifiuto dell’ipotesi evoluzionistica nei confronti del mondo scientifico, al di la di eventuali proclami di riconciliazione.
        A tutt’oggi è clamorosamente assente il riconoscimento netto, ufficiale e solenne da parte della Chiesa del ruolo che la teoria dell’evoluzionismo ha saputo assumere nel contesto della scienza moderna; un ruolo ormai incontestabile ed irrinunciabile non più di sola ipotesi quanto di vera  e propria teoria acclamata per la ricostruzione delle origini dell’uomo. Bisogna precisare come la Chiesa, dopo le primissime espressioni di rigido rifiuto della teoria stessa, stemperò sensibilmente tramite la stessa Humani Generis, l’
Enciclica Divino Afflante Spiritu del 30 settembre 1943 ed il Concilio Vaticano II le sue iniziali posizioni di rigetto, fornendo uno spiraglio agli studiosi che avevano in animo, nel campo della teologia, di approfondire alla luce di nuove problematiche l’autentico significato dell’ermetico libro del Genesi. Per la precisione, si hanno ulteriori affermazioni papali, in particolare quella del 5) Discorso di Giovanni Paolo II il 24 ottobre 1996 all’Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze sull’evoluzionismo, che comunque, al di là di come sono state presentate ai mass media, nulla hanno aggiunto di concreto, visto che nella stessa si sostiene senza eccezione un concetto, assolutamente a-scientifico, di diretto intervento divino nelle dinamiche evolutive (ipotesi DDF).  
        Questi successivi atteggiamenti delle gerarchie romane sembrano interpretabili quali gesti necessari al fine di evitare anche nel ’900 un nuovo «caso Galilei» nei confronti dell’evoluzionismo: ma, pur contribuendo ad una sensibile correzione di rotta, almeno di facciata, non hanno la forza necessaria per colmare l’impasse in cui la Chiesa Cattolica si è cacciata con il suo iniziale rifiuto dell’evoluzionismo! Il nuovo atteggiamento cattolico difetta del cipiglio, dell’impulso, fermezza e prontezza che, al contrario, seppe trovare per porre la sua avversione all’evoluzionismo sin dalla sua proclamazione nel 1859. Ed è d’altra parte quanto meno fazioso sostenere, come si fece intendere tra le righe nel 1996, che il problema dell’evoluzionismo è oggigiorno superato per il Cattolicesimo. In esso non si accetta affatto l’ipotesi evoluzionistica, con tutte le sue implicazioni – su tutte l’impossibilità di cogliere l’uomo come meta finale del processo evolutivo. Ne va della presunta autorevolezza interpretativa che il magistero si arroga!  
        La verità è che oggigiorno si assiste ad una ampia divisione tra ricerca teologia e dottrina cattolica. «Questo» emerge dai documenti e dalle posizioni ufficiali del Magistero, che si è riparata di nuovo all’ombra di quel «pensiamo nei secoli» così caro a Roma. L’identità perfetta tra teologia cattolica e Magistero dei secoli passati è oramai un lontano ricordo; i teologi moderni sostengono sì nuovi concetti, nuove modalità interpretative nel tentativo di cercare nuove sintesi tra tradizione cattolica ed i nuovi concetti evoluzionistici. Ma questo è segno che il problema è sempre lì: sempre irrisolto e sempre più grave viste le conferme che le teoria evoluzionistica sta accumulando oramai in modo irreversibile.
   
     In più dagli intenti di questi teologi «di frontiera» sorge un nuovo problema teologico: a quale costo e con quale coerenza le nuove posizioni si connettono con i contenuti ufficiali del Magistero? Che ne è stato, o resta, delle ortodosse posizioni di fede precisamente sancite dalla stessa Pontificia Commissione Biblica nel decreto del 30 giugno 1909? Tutte smarrite nel nulla? È possibile prendere cantonate di tal fatta, per giunta dopo aver già mostrato la propria insipienza con Galilei? Dov’è quel conforto sovrannaturale che la fede si dovrebbe farci riconoscere al magistero cattolico?
   
     Se il Cattolicesimo ha le sue radici in una serie di dogmi e verità assolute, esse devono essere intese come tali, o almeno in una sostanziale correttezza di fondo in tutta la sua storia, non solo in un lasso di tempo più o meno lungo e felice. Se tra i fondamenti della dottrina cattolica è collocata, sicuramente fino al 1909, la generazione della prima donna, Eva, dal fianco di Adamo, come si potrà giustificare l’abbandono radicale di questa affermazione a favore di una opposta lettura mitologica di Gn 2 da cui non possono più derivare analoghe interpretazioni? Come è possibile parlare di naturale dissoluzione? In quale modo si potrà spacciare per indolore sviluppo esegetico un imbarazzante rinne­gamento di una millenaria tradizione dottrinale?
   
      Come strusciar via dalla memoria, dalla storia, intere pagine di vicende personali e sociali pesantemente condizionate da interpretazioni oramai palesemente inadeguate, condotte da chi si arroga addirittura il diritto, la prerogativa di una superiore intelligibilità ed addirittura infallibilità nel campo della fede?
   
      In realtà il Magistero Cattolico risulta essere a tutt’oggi saldamente ancorato alle seguenti proposizioni ufficiali di fede:

      1)       l’universo è stato creato dal nulla dall’intervento di Dio;
2)       l’uomo è stato creato per intervento particolare di Dio; 
3)       l’umanità fu creata nella persona storica ed individuale di Adamo;  
4)       dal corpo di Adamo fu tratta, sempre per diretto intervento divino, la prima donna nella persona individuale di Eva;
5)       la prima coppia umana fu posta da Dio nel giardino dell’Eden in una condizione preternaturale di giustizia, immunità, immortalità corporale;  
6)       Dio ordinò alla coppia formata da Adamo ed Eva di astenersi dalla manducazione dei frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male, al fine di provare la loro obbedienza (sono anche possibili interpretazioni allegoriche);
7)       in seguito alla tentazione del demonio, raffigurato dal serpente biblico, i due trasgredirono uno dopo l’altro l’ordine dato da Dio;
8)       a causa di questo tutta l’umanità, originatasi per generazione naturale da quest’unica coppia capostipite, perderà i benefici dei doni preternaturali elargiti da Dio. La condizione dell’umanità attuale, espressa dai dolori associati alla gravidanza, dai sudori biblici della fronte dell’uomo costretto a lavorare la terra finché polvere tornerà, ed ancor più immediatamente da quest’ultima immagine della morte, subentra nel destino del genere umano e lo seguirà fino alla fine dei tempi;
9)       viene promesso l’arrivo di un Redentore.

Questi sono attualmente i punti «ufficiali» della dottrina cattolica. Ed a questi si deve attenere lo stesso concetto di «dottrina cattolica»: questa è la «dottrina cattolica». Non ci si può allora nascondere, all’occorrenza, dietro la tonaca di questo o quel teologo – come nel caso del gesuita Teilhard de Chardin, autore di uno dei tentativi più noti ed interessanti, ma alla fine inefficace, di mettere d’accordo evoluzionismo e dottrina cattolica, li si è volgarmente avversati in vita – per parare i colpi quando è oramai evidente che la dottrina è in fallo e non si sa come rispondere ad evidenze sempre più significative sulla sua inconsistenza. Ebbene: qualsiasi ipotesi esegetica di Gn 1-3 sensibile alle attuali problematiche scientifiche, ed in particolare dell’evoluzionismo, non può che porsi in contrasto più o meno netto con esso a causa dei punti 2), 3), 4), 5), 8).  
        La prova tangibile di ciò deriva dall’analisi delle ipotesi sviluppate per ottenere interpretazioni coerenti con l’evoluzionismo di Gn 1-3. I teologi cattolici, stanno ricorrendo ad interpretazioni del Genesi in cui, ad esempio, il termine Adamo viene sempre più inteso in un’accezione plurale che indicherebbe l’umanità in generale, non «un uomo», o ancor più «il primo uomo»!
   
     Già, perché uno dei problemi più gravi è dato dal fatto che la dottrina cattolica ha da sempre sostenuto che Adamo fosse storicamente il «primo uomo», ed Eva la sua compagna, da cui tutti, senza eccezione alcuna, deriveremmo geneticamente. La dottrina cattolica è stata per tutta la sua storia perfettamente monogenistica; questo è quanto. Ricorrendo al concetto di «unità non più biologica quanto teologica» dell’umanità, in grado di superare il problema monogenismo/poligenismo, non sostenendo più l’esistenza di una «coppia capostipite del genere umano direttamente ed immediatamente creata da Dio», i teologi hanno dunque cercato il compromesso in grado almeno di salvaguardare un monogenismo teologico, necessario alla dottrina cattolica, con l’ormai inconfutabile «poligenismo» biologico sostenuto dalla scienza moderna.
   
     È chiaro che l’idea di una disobbedienza originale individuale, le cui conseguenze infauste si sarebbero poi riversate in tutta l’umanità successiva, grazie proprio al monogenismo biologico – idea che fino a ieri sorreggeva perfettamente il monolite dell’intera teologia cattolica –, sia del tutto vanificata in questi nuovi scenari, dove tale evento viene a smarrirsi in contenuti vaghi quanto incomprensibili.
   
     L’intento di riparare dai problemi che scaturiscono da un’accettazione materiale delle teorie evoluzionistiche nell’ambito dell’edificio esegetico cattolico di Gn 1-3 spostando il concetto di caduta in un piano teologico, distinto da quello in cui si riferisce la teoria scientifica dell’evoluzione biologica è chiaro: sfuggendo dal terreno naturale dei processi dell’evo­luzione in una dimensione in cui l’umanità viene intesa unicamente nell’ambito di un’economia di salvezza sovrannaturale, si sollevano i dogmi del canone cattolico dalle obiezioni del mondo scientifico. Il monogenismo necessario per il dogma del peccato originale viene così mantenuto, ad onta delle critiche esatte dall’evoluzionismo, in un contesto prettamente teologico. Afferma in proposito mons. Carlo Molari: «La sostanza della dottrina cattolica legata al monogenismo riguarda infatti l’unico Salvatore dell’uomo dal peccato, e quindi l’unica economia salvifica, corrispondente all’unità del genere umano. Abitualmente l’unità del genere umano veniva collegata all’origine da un’unica coppia. Quando la teoria evoluzionistica si diffuse venne spontaneo considerare l’unità del genere umano più come una chiamata che come uno stato».
   
     I teologi cattolici, appurato che «... scientificamente parlando dunque... un monogenismo è quasi inammissibile, metodologicamente impensabile... » nell’ambito della genesi dell’uomo, iniziarono dunque ad avanzare, con esemplare ingegno, dubbi sul fatto che «... l’affinità, attraverso la discendenza a livello umano dell’evoluzionismo, sia veramente il fattore più importante di unità...» giungendo infine ed affermare, non si vede con quanta coerenza con le stesse affermazioni di poco antecedenti all’enciclica H. Generis, come «... la solidarietà umana...» così decisiva per il dogma del peccato originale «... è comprensibile anche se non è ancorata nella discendenza fisica di tutti gli uomini da un solo padre» biologico. Bella trovata!
   
     Il dogma del peccato originale iniziò allora ad essere inteso in un ambito più vago, così da aprire un qualche spiraglio per una convivenza con l’ormai imprescindibile poligenismo biologico per le origini dell’uomo. Purtroppo, o per fortuna, però c’è chi ha mente libera e montagne di documenti e fatti storici, e non si tace sulla netta incoerenza tra queste nuove interpretazioni di Gn 1-3 ed i punti fondamentali sostenuti per secoli e secoli dall’infallibile Magistero cattolico!
   
     Ma andiamo avanti. Cosa concludono questi tentativi di revisione? Ecco un esempio dello stato dell’arte di questa nuova «teologia revisionistica di frontiera». Cosi scrive mons. Molari: «Quanto al peccato di Adamo, o peccato delle origini, i teologi dichiarano apertamente di non sapere molte cose. Certamente la catena del peccati nella storia dell’uomo ha avuto un inizio.
   
     Certamente le prime scelte negative hanno esercitato un influsso notevole nelle generazioni successive, e il peccato si è moltiplicato con i secoli. Ma in che cosa siano consistiti i primi errori dell’umanità, come sarebbe progredita l’umanità se non fosse stato commesso alcun peccato, dove e quando l’umanità ha cominciato a sbagliare, non ci è dato saperlo. Possiamo quindi senza alcun timore esprimere la nostra completa ignoranza su questi temi, che d’altra parte non costituiscono nuclei centrali della fede cristiana» (sottolineatura aggiunta n.d.a.).
   
     Non c’è che dire… un bell’escamotage interpretativo – ma si provi a rileggere i documenti precedentemente elencati per osservare la coerenza di tutto ciò! Il fatto è che questo soprassedere, pur se legittimo, a tali problemi è essenzialmente scorretto e fazioso – e questo è solo un eufemismo! Se negli intenti dei teologi, della Chiesa Cattolica, c’è un autentica volontà di accettare il dialogo proposto dalle scienze profane, di conoscere e promulgare i contenuti autentici di questi antichi testi; se veramente si vuol giungere ad una base interpretativa chiara e scientificamente convalidabile, non si può affrontare la traduzione dei secondi due capitoli del Genesi senza la stessa prontezza e sensibilità opportunisticamente mostrata nel sottolineare il parallelo tra il primo capitolo del Genesi ed alcuni aspetti desunti da teorie cosmologiche come quella del Big Bang.
        Questa revisione deve essere condotta introducendo senza alcun pregiudizio le nuove conoscenze nell’esegesi di Gn 1-3, e rispettando sempre il taglio metodologico esplicativo della scienza, soprattutto a quei secondi due capitoli che pongono seri ostacoli al proseguimento di una revisione poligenistica ed evoluzionistica del Genesi. Il risalto teologico, esplicativo e salvifico dell’intera Bibbia e poi della figura ed opera di Cristo, sono sempre stati sostenuti dalla dottrina cattolica insistendo su una storicità che non può, alla bisogna, esser messa sotto il tappeto e/o dimenticata ad arte. Dal punto di vista dei contenuti è quanto meno riduttivo circoscrivere in un ambito solamente sovrannaturale il messaggio del Genesi, quando tale narrazione è obiettivamente ancorata a contenuti sensibili, ad agganci storico geografici particolareggiati – e in grazia dei quali la si è intesa come storica in modo esplicito sino al 1966!
   
     La canonica interpretazione di Gn 1-3, collocata in un quadro fissista, non evolutivo della realtà, compone un dramma mitologico sull’evento della caduta, da cui deriverebbe un enorme degrado nel creato e nell’uomo. Un punto notevole da considerare è il significato psicologico del mito di Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre e della perdita delle condizioni originarie in seguito alla loro disubbidienza. La lettura monogenistica sostenuta per secoli dal magistero permetteva una traduzione individuale di tale evento. Questo ha fatto sì che il gesto della caduta fosse visto come una scelta perfettamente soggettiva, da intendere alla luce di quella singolarità, fatalità ed eccezionalità che distinguono le scelte individuali dalla valenza gregaria con cui lo stesso può rappresentare la collettività umana; di ciò che, in definitiva, contraddistingue l’operato e le responsabilità di un uomo, dalle responsabilità dell’uomo, del genere umano. Tale distinzione, rovesciando i termini del problema, separa oggi l’umanità successiva e la responsabilità del singolo individuo dalle responsabilità personali dei due capostipiti. Ed è proprio questo poter distinguere, in un’ipotesi monogenistica, l’umanità dalle persone dei costituenti della coppia originaria, i cosiddetti protoparenti, che realizza la netta distinzione tra la coppia primordiale ed il successivo genere umano, che così può «prenderne le distanze».  
       
L’ortodossa interpretazione della caduta originaria dell’uomo non fa che giustificare e fissare un rapporto tra l’uomo e la divinità in cui viene definita una lacerazione su cui si incentra tutta la teologia biblica. Le recenti interpretazioni poligenistiche, alterando il senso personale delle figure dei protoparenti a favore della valenza collettiva del terzo capitolo del Genesi, fanno scompare la condizione da cui derivano i processi di rimozione, razionalizzazione e proiezione psicologica della colpa, sinora perfettamente veicolati dalla canonica lettura del brani all’esterno della collettività. Una trasformazione dal profondo effetto psicologico.La causa dell’opprimente macchia interiore dalla quale ogni credente si sente personalmente contaminato, e dalla quale deriva la necessità di contrizione, obbedienza, della fede in Dio per l’estrema salvezza, non sono più collocabili al di fuori della propria responsabilità, ma diventa espressione interiore della umanità da tutti condivisa. Tutto ciò precipita nel profondo dell’Io individuale, nel nostro essere frazione di un’umanità non più vittima quanto colpevole.
   
     Un altro aspetto fondamentale dell’ortodossa inter­pretazione cattolica di Gn 1-3 è rappresentato dalla collocazione che il taglio monogenistico sa dare all’originario evento della caduta in seno al genere umano. L’umanità totalmente compiuta colta fin dai primissimi istanti dell’esistenza nelle figure dei protoparenti, supporta meravigliosamente l’idea di un evento primordiale – propriamente umano – dalle cui conseguenze sarebbe stata poi investita l’intera specie umana. L’immediatezza con cui l’iniziale destino dei protoparenti si riverserebbe per discendenza carnale in tutte le successive generazioni è indissolubilmente connessa ad una concezione monogenistica capace di assumere perfettamente l’aspetto unico, individuale, e nel contempo ecumenico, di evento primordiale della storia dell’uomo. Solo rivolgendosi ad un Adamo in cui la nostra attuale umanità sia pienamente compiuta e condivisa, ad un Adamo toccato da ciascuno, senza eccezioni, per una pur lontana ma diretta discendenza carnale, per l’identico essere uomo, il credente può scoprirsi coinvolto nell’infausto destino scaturito dall’originaria disubbidienza.
   
     Ciò consente di sostenere «... come per un uomo il peccato è entrato nel mondo, e per il peccato la morte, e la morte raggiunse tutti gli uomini perché peccarono... Fino alla legge infatti c’era peccato nel mondo e, anche se il peccato non viene imputato quando manca la legge, la morte regnò da Adamo a Mosè pure su quelli che non peccarono con una trasgressione simile a quella di Adamo il quale è figura di Colui che doveva venire...» (Lettera ai Romani 5, 12-14 Paolo). È quindi la diretta discendenza postulata dall’ipotesi fissista del creato e dell’uomo che spinge Paolo ad affermare: «... la colpa di uno solo si riversò su tutti gli uomini a condanna... Come, per la disubbidienza di uno solo, tutti sono stati resi peccatori...» (ibidem 5, 18-19). Questi concetti costituiscono la fonte della formulazione della dottrina del peccato originale nel concilio di Trento, totalmente attuale nel magistero di Roma, concetti ai quali sono rimasti comunque legati anche i teologi che hanno cercato di sviluppare nuove interpretazioni di Gn 1-3 debitrici delle odierne teorie evoluzionistiche. Ma è oramai intuibile come questi aspetti, imprescindibilmente connessi ad un contesto filosofico fissista e monogenista, vengano meno qualora si cerchi di impiantare l’interpretazione di Gn 2-3 su di una visione evoluzionistico poligenistica del creato.
   
      La moderna visione del processo di ominazione presenta due aspetti decisivi che contrastano irrimediabilmente con l’affermazione che il «degrado fisico spirituale sia ereditato da ciascun uomo e a seguito di una totale e diretta discendenza da individuo primogenito autore di un gesto personale di disobbedienza a Dio». Questi aspetti balzano immediatamente all’evidenza non appena ci si accinge a collocare storicamente tale evento nel processo evolutivo dell’ominazione. In quale era dell’evoluzione umana sarebbe possibile infatti porre questa decisiva tappa? E chi ne poté essere l’artefice? L’Homo habilis, o l’Homo erectus, l’H. ergaster o il Cro magnon? Questi sono gli insormontabile, devastanti problemi che si sono posti davanti agli studiosi che, optando per una lettura di Gn 1 compatibile con le odierne discipline scientifiche, si sono azzardati alla esegesi dei successivi due capitoli del Genesi. E qui si è tragicamente caduto nel comico. Si pensi solo a questo problema: da quando ci fu nel processo di ominazione quell’infusione diretta dell’anima nell’individuo umano sostenuta dalla dottrina cattolica? Quali di suddette specie furono escluse? E perché, sulla base di quali elementi obiettivi? E poi: l’infusione diretta di tale anima deve forzatamente iniziare a partire da un individuo. Ed i suoi genitori? Può un uomo con anima nascere da genitori senza anima? Dove mettere la «bandierina» con la scritta «soul inside» se facciamo una visita ad un museo di scienze naturali? Su quali teschi fossili?  
        Trattare in questa sintesi tutte questi aspetti renderebbe oltremodo pesante la trattazione. Ci limiteremo ad accennare solo alcuni sprazzi. La conclusione dunque sembra sempre di più evidente. Ogni tentativo di proporre una coesistenza tra teoria evoluzionistica e dottrina cattolica conduce a far nascere più problemi di quelli che si vorrebbero risolvere. Qui viene in mente un passo evangelico: «Nessuno mette un pezzo di stoffa nuova su un vestito vecchio, perché il rattoppo strappa il vestito e lo strappo si fa maggiore. Né si versa del vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si rompono gli otri e il vino si spande e gli otri si rovinano. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l’uno e gli altri si conservano.» (Mt. 9,16-17)
   
     Ebbene: illustrata la dottrina canonica cattolica, o in generale il modo di interpretare il Genesi alla luce di idee teoetotomistiche e concezioni non evoluzionistiche (DDF e (A)) passiamo allora ad esporre l’alternativa: la «nuova sintesi». Le scoperte susseguitesi nel campo dell’antropologia e della paleontologia hanno ampliato a dismisura i limiti della storia del genere umano rispetto al passato. In questo lunghissimo arco di tempo, attraverso una serie di lente mutazioni, si è realizzato un plastico processo evolutivo chiamato ominazione. Seguendo una progressione di forme, iniziando dalle più remote ed arcaiche, possiamo osservare il progressivo perfe­zionamento di quel meraviglioso organo pensante che è il cervello umano. Il dispiegarsi di questo prodigioso organo ha lasciato dietro di sé, all’esterno, tracce che i paleontologi hanno iniziato a cercare soprattutto tra le testimonianze dell’ambiente. Uso dello spazio, produzione di manufatti, organizzazione sociale etc. rappresentano tracce essenziali dell’approdo a quella condizione esistenziale, sociale e culturale definibile con l’aggettivo umana. Tale condizione è debitrice di un livello intellettuale capace quanto meno di supportare una presa di coscienza, se non analoga, prossima a quella dell’uomo moderno e di aprire all’individuo prospettive distinte dal circoscritto, fuggevole attimo del presente.
   
      Ma questa dimensione sembra realizzarsi completamente solo nelle specie più recenti, come i tardi H. erectus e i primi H. sapiens, dunque da circa 400 ¸150.000 anni or sono. Soltanto questi individui potrebbero aver dato luogo a contesti sociali e culturali almeno sufficientemente analoghi a quelli delle successive popolazioni di H. sapiens sapiens, dell’uomo moderno. Nell’ambito del discorso relativo all’interpretazione di Gn 1-3 ciò rappresenterebbe un argomento notevolissimo: nel continuum evolutivo del processo dell’ominazione la comparsa di popolazioni pienamente umane rappresenta un evento estremamente tardivo, verificatosi molti millenni dopo l’avvenuta diffusione planetaria delle varie specie di ominidi: un problema insolubile sia per l’esegesi ortodossa che per quei fautori di una revisione poligenistica che ipotizzano all’origine dell’umanità non una ma più coppie progenitrici. Lo spessore umano richiesto filosoficamente per le figure dei protoparenti del terzo capitolo del Genesi, ci spinge inevitabilmente verso fasi recenti dell’ominazione; più precisamente, verso le popolazioni, pienamente umane, che ritroviamo sulla faccia della terra a partire dalle ultime centinaia di migliaia di anni. Solamente così potrebbe essere salvaguardata il significato di una disubbidienza etica, cosciente ed autonoma al «... Principio supremo di etica, per diventare principio di se stessi...» con la quale, secondo i Padri della Chiesa, la coppia capostipite dell’umanità scelse coscientemente un «abuso di vita e di potere», quell’autonomia etica che non si sarebbe addetta a creature ma che sarebbe esclusivo «privilegio degli Elohim». Qualsivoglia esegeta biblico, dinnanzi all’abissale iato temporale dispiegato dall’evoluzione umana, può riconoscere un Adamo solo nelle specie più recenti, nei momenti conclusivi dell’ominazione!
   
      Non può dunque estendere questa valenza ad ominidi preumani, alle popolazioni di H. habilis od ai più antichi H. erectus, capaci di affermarsi nei più disparati ambienti del pianeta grazie ad una già consistente organizzazione sociale ed ad un corpo di conoscenze materiali assai affinate. Questi individui risultano ancora incompleti nella maturazione di quella condizione psichica, cognitiva ed intellettuale del proprio essere, di quella condizione esistenziale da noi intesa e condivisa come umana.
   
     Il fatto è però che questa collocazione tardiva è in netto contrasto con la fondamentale esigenza di garantire il principio dell’assoluta discendenza biologica dell’intera umanità se non da una coppia iniziale, almeno dal gruppo a cui imputare la responsabilità locale, circoscritta, dell’infausto gesto della caduta, che faccia nel contempo salva anche la valenza ecumenica dello stesso. È facile capire come le considerazioni sul supporto psico-intellettivo delle popolazioni a cui poter imputare quest’evento conducano ad una collocazione estremamente tardiva dello stesso nella storia umana; ma rivolgendosi a tempi così recenti risulta poi impossibile definire un gruppo eventualmente responsabile di questo fatto che possa essere poi inteso come nucleo biologico originario dell’intera  specie umana attuale. Come salvare capra e cavoli? Stando alla esegesi cattolica di Gn 2-3, la diffusione dell’ipotetico stato di degrado interiore nel consorzio umano è assimilato, per modalità e contenuti, a quella di vero e proprio carattere universale della specie uomo acquisito e trasmesso per generazione naturale a tutta l’umanità, senza eccezione alcuna! Non ci possono essere uomini, popolazioni attuali, che non siano direttamente derivati da quel nucleo o coppia. Il che evidentemente non è, poveri i nostri teologi.  
         Dinnanzi al processo dell’ominazione ricostruito dalla scienza moderna, il biblista classico rischia di perdere il lume della ragione, sonno e fede: non può più contare neanche su uno straccio di umanità che sia contemporaneamente sufficientemente evoluta, geograficamente e numericamente circoscritta e capace poi di diffondersi in tutto il globo in modo tale da permettere di ipotizzare che, se non una coppia, almeno un piccolo gruppo umano originario possa essere verosimilmente imputato di un gesto le cui conseguenze possano poi trasmettersi per generazione naturale in tutte le generazioni future. Le evidenze di un umanità ampiamente diffusa sulla terra ad orizzonti culturali molto precedenti sono difatti incompatibili con la necessità teologica di circoscrivere il più possibile tale evento alle origini dell’uomo, al fine di salvaguardarne contemporaneamente sia l’ecumenismo che la fatale singolarità; ciò comporta conseguenze interpretative particolarissime.
   
      L’impossibilità di poter fare affidamento su tale concomitanza di condizioni nella storia del genere umano rende poi un’altra sfaccettatura di quest’evento: dovremmo identificarlo come un atavico rifiuto fisiologico e totale del disegno divino da parte dell’intera specie umana. Un rifiuto, una fuga, da qualcosa... umanamente insopportabile, assolutamente incompatibile con quella natura e condizione umana che si stava inesorabilmente realizzando: un processo di rigetto espresso non appena la pienezza dell’ominazione si realizzò. Un’espulsione collettiva, totale, la cui origine dovrebbe però esser cercata non nella sfera soggettiva e consapevole dell’individuo, nell’ambito di scelte personali coscienti e volitive, quanto in quell’inconscio e profondo retroterra emozionale di pulsioni ataviche che, come Freud ha dimostrato, si originano dalla componente istintiva, animale ed impersonale della nostra essenza interiore, dal nostro Es. Ma attenti ora: una radice biologica questa assemblatasi ben prima della diversificazione delle prime forme proto umane come abbiamo visto. Dunque retaggio del mondo animale, di quella natura di cui siamo parte in un modo molto più profondo di quanto si sia pensato ed asserito sinora, come mostrano le neuroscienze, ma che, questo è teologicamente devastante… lo stesso Creatore avrebbe responsabilmente realizzato nel suo prodigioso progetto creativo! Ma allora non si potrebbe infatti più parlare di lucida scelta personale e responsabile, di cosciente disubbidienza; non si potrebbe più ignorare la componente istintiva, inscindibilmente connaturata nella nostra natura biologica… di cui sarebbe responsabile… al creatore! Bel problema, non c’è che dire.
         Secondo recentissimi studi nel campo delle neuroscienze,  ogni attività intellettuale, sia dello stravagante  inventore o del filosofo disincantato, non risulta separata dall’emotività, dalle passioni, così che una dotta lezione accademica di fisica teorica possa sembrar assolutamente distinta dalle infuocate parole d’amore di un’amante passionale. Il fatto è che non è più proponibile l’immagine di una attività cosciente, lucida e logica, fredda, mito incarnato nella separazione cartesiana tra res cogitans e res extensa, come contrapposizione ad emotività, passione e sentimento. Le prerogative logico intellettive dell’uomo, base di ogni evento cosciente, razionale, pescano direttamente, senza eccezione, dalle radici istintuali, emotive dell’animale uomo. Sono anche esse prodotto finale di un processo di scultura anatomico funzionale del tessuto cerebrale da parte delle esperienze, dunque della realtà esterna, attuato da fenomeni, in parte geneticamente predeterminati, assolutamente inconsci. Ovvero: «Pensare è un’emozione!».
   
     In ogni scelta etica dell’uomo, sin nella più consapevole e razionale scelta che un essere cosciente possa attuare, si esprime un’inconscia quanto estesa influenza della frazione emotiva, istintuale, animale... risultato di millenni di evoluzione condotti ben prima che qualsiasi barlume di umanità o individualità cosciente tremolasse sulla faccia della terra. Questa situazione è paradossale nel nostro caso. Come si potrebbe affermare che il processo evolutivo, teologicamente visto come prodigioso strumento creativo del creatore, possa poi esser concausa essenziale del rifiuto abominevole con il quale la creatura umana, frutto di un’evoluzione intesa come gesto creativo di Dio, si sottrasse inorridita, ribelle ad suo stesso creatore senza inevitabilmente chiamare in causa principalmente la responsabilità di quest’ultimo? La conclusione sarebbe devastante: il gesto della caduta sarebbe riconducibile principalmente alla frazione animale creata da Dio! Dio sarebbe corresponsabile – in quanto creatore della stessa – del peccato originario, della decadenza dell’uomo! Questo è troppo! Già vedo teologi stracciarsi le vesti.
   
      Ma questo è quanto sostengono le scienze moderne. Ed allora? Cosa fare? Buttare la Bibbia alle ortiche? A primo acchito questo è un gesto presuntuoso. Non si potrebbe, molto più saggiamente, pensare che sia una data interpretazione da buttare alle ortiche? Prima si dovrebbe provare a far questo… poi, eventualmente si vedrà.
   
      Sì, le cose si risolveranno… buttando l’interpretazione. Ma torniamo a noi. Nell’eventualità di cui stava accennando, l’umanità resterebbe coinvolta in un gesto che esula dall’ambito in cui tremola la fiamma della ragione e libero arbitrio umani, per affondare nelle nebbie ataviche della nostra radice animale. Una scelta così totale ed ecumenica poi dovrebbe aver coinvolto inevitabilmente ogni luogo del pianeta uomo, dagli aspetti più soggettivi fino a quelli della sfera socio economica, dai più intimi rapporti personali ai tratti psicologici collettivi, ai più disparati contenuti sapienziali e culturali. Una frattura di cui, nella misura in cui dovrebbe essere intesa quale evento storico – così come recitava sino a qualche anno fa la dottrina cattolica –, si dovrebbe avere profonda eco nell’ambiente sociale, materiale e culturale; di cui dovremmo osservare in qualche modo tracce concrete, data la sua ampiezza e rilevanza. Eppure… intorno a noi… niente, niente di niente. Di questo fantomatico evento originario, così decisivo e cosmopolita, non abbiamo la benché minima documentazione paleontologica o storica. Se anzi volessimo trarre delle conclusioni sulla base delle evidenze archeologiche e paleo etnologiche in nostro possesso, dovremmo affermare che per quel che riguarda la storia del genere umano delle ultime decine di migliaia di anni, fino alla scoperta dell’agricoltura (circa 8 ¸10.000 anni or sono), si può parlare esclusivamente di un lentissimo e continuo progredire socio biologico, pur se non si escludono intensi e puntuali picchi evolutivi – ma non del tipo che andiamo cercando. Un continuum monotono, in cui nuova diversità si accumula inavvertitamente alla precedente, spesso sublimandola, per andare a comporre quel mosaico che è la natura umana da noi tutti condivisa.
   
     Nessun segno di immani trasformazioni interiori ed esteriori sembra emergere dai muti e delicati siti fossili, dalle testimonianze del nostro passato; nessuna soluzione di continuità può essere invocata nel senso richiesto da tali ipotesi sulla base delle odierne conoscenze circa le origini della nostra storia. L’assunto che l’umanità abbia conosciuto nel passato un evento universale di cui tutte le generazioni successive possano esser state negativamente coinvolte sotto l’aspetto ontologico, esistenziale e spirituale, non sembra avere alcun riscontro dalle documentazioni finora raccolte sulla storia del nostro sin più remoto passato.
   
     Ma se questa è la situazione, è giusto rifugiarsi in dimensioni e significati sovrannaturali? Che senso ha restare a cercare tra i muti resti dei nostri predecessori, nelle polverose, umili e terrene documentazioni, in quegli ambiti dove traccheggiano materiali, confutabili e fallibili teorie delle scienze terrene?
   
     È chiaro perché certe interpretazioni metafisiche, o meglio escamotage, siano così allettanti: grazie ad esse l’ortodosso edificio teologico relativo alla caduta originale si può facilmente svincolare, con qualche ritocco, dalle contestazioni della moderna teoria evoluzionistica, sollevando la dottrina cattolica dai limiti e contraddizioni in cui era rimasta imbrigliata.
   
     Una fuga nella metafisica, in contesti interpretativi decisamente sganciati dalla realtà naturale delle scienze profane, è però un’affannosa fuga dalla realtà che denuncia solo limiti ed ambiguità di un espediente filosofico, di un disperato tentativo di risolvere con la fuga lacune oramai devastanti di una consunta ideologia; non un tentativo di giungere ad una più oggettiva conoscenza della realtà naturale ed eventualmente sovrannaturale dell’uomo, ed ancor più dell’autentico messaggio celato nel testi biblici. È solo il disperato tentativo di salvaguardare un’interpretazione inadeguata ma vitale per una dottrina oramai decisamente sconfessata… ed il potere che essa dava.
   
     Ancora una volta i teologi hanno sacrificato alla fede nei dogmi la possibilità di giungere ad un’interpretazione di questi testi finalmente coerente con la visione scientifica della realtà. Il fatto è che per giungere a tale obiettivo bisogna abbandonare stantie posizioni ideologiche improntate che siano ad un rampante ateismo scientifico o ad una cieca, insolvente fede in una secolare quanto inconsistente tradizione ideologica. È necessario avere ad una razionale e fondata fiducia nelle potenzialità del metodo scientifico unita, finalmente, non alla fede in una qualsivoglia tradizione esegetica, quanto nella possibilità di una oggettiva validità del contenuto celato in Gn 1-3.

L'insieme delle scoperte scientifiche sull'uomo e la natura deve costituire non una serie di scabrosi ostacoli per la definizione di un eventuale credo religioso, come è inteso sinora, quanto un indispensabile strumento di verifica per un'interpretazione scientificamente convalidabile dei testi in esame. Cerchiamo allora di partire proprio da dove l'attuale teologia si è impantanata.

  Capitolo VII°                                                                Back